Siamo scesi in piazza al fianco delle lavoratrici e dei lavoratori della Corneliani, la storica fabbrica tessile d’alta moda mantovana che sta attraversando un ennesimo periodo critico a seguito del mancato rispetto degli accordi concorsuali da parte della proprietà e della mancanza di risposte dal Governo.
Il compagno Michele Orezzi della CGIL sintetizza nella breve intervista (vedi qui Corneliani) che ci ha rilasciato lo stato della vertenza e le aspettative dei lavoratori.
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470 dipendenti della fabbrica di Valdaro più migliaia di addetti nell’indotto vivono una situazione gravissima che vede messo a rischio il posto di lavoro e quindi il loro futuro, mentre paradossalmente la proprietà nemmeno si fa sentire e non risponde al Tribunale.
Il MISE, poi, dopo aver promesso 10 milioni, una cifra comunque grandemente insufficiente per il rilancio del marchio, non si è più fatto vivo, come del resto è accaduto per le altri grandi vertenze italiane, dalla Wirtphol all’ex Ilva.
Agli operai non resta che ripetere la triste sequela di incontri, tavoli istituzionali, politici e sindacali che già avevano sperimentato in estate, dopo 50 giorni di sciopero, 45 di cassa integrazione e la ripresa dell’attività.
L’attuale padrone non sembra abbia alcuna intenzione di investire: il fondo di provenienza araba che detiene la maggioranza del pacchetto, come sempre accade, è avvolto nella nebbia, così come il ramo della famiglia rimasto in azienda ma che si è disinteressato della direzione e delle campagne di presentazione delle nuove collezioni.
Terzi investitori sono una flebile speranza e il governo, con 10 milioni, non può certo ambire a gestire la proprietà: al massimo e sempre se manterrà le promesse, elargirà un contributo promesso in estate, in piena campagna elettorale e che assai probabilmente, non sarà restituito dalla proprietà, ricordando al proposito quanto è avvenuto con l’archetipo di una simile politica: Alitalia.
Il risultato è che la crisi, come nelle altre vertenze, non viene mai superata, e la trafila degli incontri e delle speranze si allunga, insieme alla preoccupazione dettata dall’attuale crisi economico derivante da quella sanitaria.
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Come comunisti siamo sempre al fianco dei lavoratori in lotta, di tutti coloro che vivono del proprio lavoro, che soffrono lo sfruttamento di un padrone invisibile e che sono oggi privi di forza nei rapporti fra parti avverse.
Tuttavia, oggi serve un salto di qualità nella lotta e nell’acquisizione della consapevolezza della forza che può acquisire una classe lavoratrice consapevole, cosciente del propria condizione e rilevanza sociale.
Le classi esistono eccome, l’ideologia anche: oggi i padroni, con le loro, stano stravincendo la lotta di classe, non arretrano di un passo, avendo difronte un avversario debole, mal rappresentato e che sovente ha dimenticato ciò che in passato lo aveva reso forte, temuto e considerato nelle lotte, nelle rivendicazioni, nella prospettiva politica.
Una classe che lottava per ampliare a tutti i lavoratori i diritti conseguiti e per ottenerne di nuovi, che partendo dalle fabbriche trascinava tutte le categorie in un lotta progressista che investiva l’intero corpo sociale.
Oggi si lotta temendo che nulla sia sufficiente per mantenere il lavoro, accettando tutte le condizioni, si lotta per la cassa integrazione, per qualche mese in più di buonuscita.
La classe lavoratrice può tornare protagonista, intensificare le lotte per ottenere i diritti sociali, la loro esigibilità e il complessivo miglioramento della qualità della vita dei lavoratori: potrà realizzarlo costruendo un sindacati di classe, inflessibile, coerente, che non inquini rivendicazioni e battaglie con mediazioni al ribasso e si organizza in una militanza politica capace di riprendere le idee originarie che hanno sostenuto le lotte, quelle per una società socialista.
Superare le rivendicazioni, parlare di socialismo non è un’eresia.
Il capitalismo tanto decantato dalla classe politica che governa e che si oppone, accettato dal sindacato come unica proposta socio economica possibile, è il sistema buono ad alimentare ed arricchire sempre più una classe dominante, oggi più che mai ristretta, composta da un esiguo numero di famiglie nel mondo, capace di dettare le politiche economiche e sociali a stati e governi.
Il capitalismo non può andare bene per i lavoratori, anche nella modalità “buona”: quando la forza del movimento operaio è arretrata, infatti, i padroni hanno innescato la modalità “cattiva” e si sono ripresi tutto quanto gli è stato strappato e con gli interessi.
E’ il socialismo che salva il lavoratori, il socialismo è dei lavoratori.
Monica Perugini
Partito comunista
Mantova