di Ignazio Terrana
L’inizio di agosto ha visto l’esordio di una serie di operazioni militari in Libia aventi come apparente obiettivo lo smantellamento della presenza dello Stato Islamico nel territorio, dove conterebbe fra le proprie fila fino a seimila uomini. A capitanare l’intervento sono gli Stati Uniti, con il supporto anche dell’Italia, che ha messo a disposizione la base siciliana di Sigonella, il sistema di telecomunicazioni militari MUOS, e trasferito uomini senza passare per consultazioni al Parlamento1. Oggetto principale delle operazioni, condotte via cielo e via terra, è la città-roccaforte di Sirte, che è il principale centro dell’ISIS nel Mediterraneo.
La legittimazione dell’intervento arriva sotto richiesta di Fayez al-Sarraj, primo ministro del nuovo Governo d’Accordo Nazionale (GNA), solo recentemente insediatosi a Tripoli, e non senza resistenza da parte delle milizie lì presenti; solo dopo un lungo iter durato mesi – concluso a marzo – il nuovo GNA è riuscito a sostituire il Congresso Nazionale Generale (GNC), che deteneva il potere nella parte occidentale del paese. Scopo del nuovo governo sarebbe quello di riunire la Libia sotto un’unica autorità amministrativa. La Libia è ancora oggi un paese fortemente diviso, costituito da più fazioni spesso in conflitto fra di loro, ognuna con i propri appoggi internazionali. Il GNA di Sarraj, infatti, nato sotto spinta delle Nazioni Unite attraverso la cosiddetta Risoluzione 22592, detiene il potere solo in una parte del territorio; appoggiato da gran parte dell’Alleanza Atlantica, rappresenta non tanto il complicato scenario libico, composto da numerose tribù e fazioni, quanto gli interessi di un pugno di potenze imperialistiche.
È dunque giusto e necessario chiedersi quanto sia legittimo l’intervento militare che stiamo vedendo in questi giorni: se è vero che il diritto internazionale contempla la possibilità di intervento nel territorio di uno stato se è lo stesso a richiederlo, d’altra parte, nel caso della Libia, stiamo assistendo a una richiesta di supporto militare da parte di un governo creato e sostenuto appositamente per poter intervenire. Ne deriva che il consenso dato alle operazioni viene da un fantoccio dell’imperialismo, che per avere autorità piena nel paese deve strumentalmente rendersi portavoce principale della lotta al terrorismo. Nella grande scacchiera dell’imperialismo, infatti, chi vince contro l’ISIS in Libia può partecipare alla spartizione del bottino del paese, e non sono poche le potenze con interessi contrapposti al riguardo. Così come gran parte del mondo arabo, infatti, la Libia è terreno di forti tensioni inter-imperialistiche, tensioni che si manifestano nelle numerose divisioni all’interno del territorio.
In Libia sono presenti due governi ormai da due anni: con capitale a Tobruk, nella parte orientale del paese, la Camera dei Rappresentanti; a Tripoli, nel territorio occidentale, fino a qualche mese fa il Congresso Nazionale Generale – oggi, sotto spinta delle Nazioni Unite, il Governo d’Accordo Nazionale. La divisione inizia nel maggio del 2014, con il lancio da parte del generale Khalifa Haftar dell’operazione “Dignità della Libia”: l’obiettivo del generale, ex fedelissimo di Gheddafi e in seguito uomo della CIA, è quello di debellare il terrorismo islamico nel paese, partendo dai miliziani del gruppo jihadista Ansar al-Sharia nell’area della città di Bengasi. Attraverso l’operazione, Haftar vuole di fatto rendere illegittima l’autorità del Congresso, costituito in larga maggioranza da deputati del Partito della Giustizia e della Costruzione, di forte matrice islamica, facendo capo alla Fratellanza Musulmana3. Non passa molto tempo prima che il GNC lo accusi di star tentando un colpo di stato. Il generale, contando anche sull’appoggio di milizie berbere, attacca il Congresso di Tripoli e costringe ad indire nuove elezioni per la formazione di un nuovo parlamento; l’operazione ha successo, destinando però il paese a una forte spaccatura, ancora oggi presente.
Le elezioni, infatti, vedono una netta sconfitta degli islamisti, nonostante si rechi a votare solo il 18% dell’elettorato: sulla base di questi dati, il governo, trasferito a Tobruk, nella regione della Cirenaica, viene ritenuto illegittimo, e boicottato da parte del Congresso. Gode immediatamente dell’appoggio internazionale il governo di Tobruk, che, delegando al generale Haftar la gestione delle forze armate, gli conferisce un enorme potere decisionale sulle questioni interne. E’ Haftar, dunque, nella prima fase del conflitto libico, a godere i favori delle maggiori potenze imperialistiche: non c’è da stupirsi, d’altronde, considerato che il progetto fosse quello di un governo federalista, progetto pienamente accolto dalla Camera dei Rappresentanti. La NATO ritiene inizialmente di poter contare su Haftar per poter realizzare una Libia federalista, da poter dunque dividere attentamente per la spartizione del ricco bottino libico. Di seguito una cartina che riassume le divisioni presenti in Libia prima dell’insediamento del Governo d’Accordo Nazionale, praticamente identiche a quelle attuali. (Fonte: BBC).
Dalla cartina appare chiaro che il tentativo di unità avanzato dall’ONU poggia su fondamenta inesistenti, ed è dunque evidente che l’intervento militare sia stato legittimato da una struttura governativa nata “per decreto”. Va tenuto a mente, infatti, che il GNA non ha ricevuto la fiducia da parte della Camera dei Rappresentanti. È doveroso quindi ribadire il perché di un intervento militare sotto richiesta di un governo che non rappresenta tutte le regioni della Libia.
La spinta per la riunificazione della Libia nasce dalla volontà di più potenze imperialistiche di possedere delle sfere d’influenza all’interno del paese per potersi accaparrare senza troppe difficoltà le ricche risorse del territorio. Non è più tollerabile per la grande borghesia internazionale e libica una divisione; la lotta contro lo Stato Islamico assolve evidentemente al compito di legittimare l’autorità di uno o un altro governo. La guerra civile in Libia è prima di tutto una guerra fra borghesie della stessa natura, e le forti divisioni sotto gli occhi di tutti sono la manifestazione degli interessi contrapposti della grande borghesia petroliera. Gli appoggi di cui i governi rispettivamente godono rispecchiano pienamente le contraddizioni che l’imperialismo sta vedendo in questa fase a livello internazionale: Tobruk infatti vede i favori del padronato russo, che non potrebbe tollerare – insieme all’Egitto, agli Emirati Arabi e ad alcuni settori della Francia – che un territorio così ricco e rilevante da un punto di vista geopolitico vada in mano all’Occidente. E’ possibile fare un ragionamento identico per quanto riguarda gli interessi contrapposti degli Stati Uniti, dell’Arabia Saudita, della Gran Bretagna e dell’Italia.
L’imperialismo non si serve esclusivamente della guerra (che sarebbe senza alcuni presupposti irrealizzabile e talvolta inutile), ma utilizza anche altri strumenti; l’imposizione di un governo fantoccio in Libia – che si tratti della Camera dei Rappresentanti di Tobruk o del Governo d’Accordo Nazionale di Tripoli – è un esempio, così come il finanziamento del terrorismo islamico, che ora ci si propone di combattere per questioni puramente strumentali. Alla luce di tutto ciò, non si provi a definire legittime operazioni di questo tipo, neanche da un punto di vista giuridico. In questa situazione, infatti, non esiste alcuna legittimità reale, se non quella creata dai capitalisti, che scavalcano lo stesso diritto borghese pur di giustificare l’ennesimo intervento imperialista.
1 “Il loro impiego è consentito dall’articolo 7 bis della legge n.198 dell’11 dicembre 2015 di conversione del decreto di proroga delle missioni militari all’estero, che prevede che vengano inviate in zona di guerra su iniziativa personale del presidente del Consiglio senza alcun voto in Parlamento” – Fonte: Il Fatto Quotidiano.
2 Per la formazione di un Governo d’Accordo Nazionale, con l’obbligo di intervento militare se richiesto da quest’ultimo – http://www.globalr2p.org/resources/906 .
3 I Fratelli Musulmani sono la più grande organizzazione islamista a livello internazionale, che propone un approccio di tipo politico all’Islam. Fuorilegge in numerosi stati, trova riconoscimento nei programmi e nella pratica politica di molti partiti; un esempio è il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo di Erdogan, in Turchia.
1 Comment
[…] Questi uomini si aggiungono a quelli già presenti in Libia con funzioni di “addestramento” del personale militare del governo di Serraj, sui quali nei giorni precedenti si era aperta la polemica in occasione della comunicazione al Copasir.L’invio avviene a pochi giorni dall’inasprirsi della situazione libica, ormai ad un passo dalla deflagrazione di una nuova sanguinosa guerra civile, che nei fatti è già in atto. Nella parte centrale del paese il generale Khalifa Heftar ha lanciato un’offensiva prendendo il controllo di un’area compresa tra Sirte e Ajdabiya, ricca di pozzi petroliferi. La produzione di petrolio della zona si aggira intorno ai 500.00 barili al giorno. Un colpo per la prospettiva di unificazione del paese sotto il controllo del governo di Tripoli, che testimonia quanto sia complessa la situazione del paese nord africano. (per una veloce lettura riassuntiva del quadro: https://www.lariscossa.info/2016/08/29/la-falsa-legittimita-dellintervento-in-libia/) […]