1919-2019 Cento anni sono passati dalla nascita dell’Internazionale Comunista. I tempi della storia non sono i tempi della nostra vita ma è un periodo certamente breve, di cui dobbiamo tracciare un bilancio che oggi non può che essere dialettico. Se da un punto di vista statuale, politico ed organizzativo quelle idee sono passate attraverso la sconfitta dell’Urss e del campo socialista, dall’altro lasciano aperta, con la crisi del modello del capitalismo globalizzato, l’enorme potenzialità del Socialismo come una soluzione a questo crescente stato di crisi.
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Il 4 marzo 1919 il Congresso dell’Internazionale comunista, riunitasi per la prima a Mosca, approvò le Tesi redatte da Lenin.
Com’è ben noto la II Internazionale, l’Internazionale a cui Engels aveva dedicato tante sue energie negli ultimi anni della sua vita, era naufragata all’inizio della I Guerra Mondiale, quando la maggior parte dei partiti che la costituivano, contrariamente a quanto giurato solennemente fino a prima, fecero fronte comune con le proprie borghesie, facendo precipitare il Continente in un gigantesco massacro di proletari.
Lenin tra ottobre e novembre 1918 scrisse La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky, in cui dice che «l’opuscolo di Kautsky uscito recentemente, è uno degli esempi più lampanti del completo e ignominioso fallimento della II Internazionale.»
Dopo la vittoriosa rivoluzione dei soviet[1] fu messa all’ordine del giorno la riorganizzazione del movimento rivoluzionario e quindi si impose la necessità di convocare un congresso di quei partiti o organizzazioni che vedevano nell’esempio dell’Ottobre la strada da seguire nei propri paesi.
L’Ottobre 1917 in Russia fu un grande detonatore che consentì di ricostituire una nuova internazionale appunto detta “Terza” perché sostituiva definitivamente la Seconda, riprendendo il cammino di Marx e di Engels che, anche attraverso l’esperienza della Comune di Parigi, si distaccarono dall’eclettismo ideologico dell’anarchismo e del democraticismo.
Il 24 gennaio del 1919 fu rivolto un Invito a 39 organizzazioni operaie di tutto il mondo nel quale si precisavano 15 Affermazioni, che dovevano costituire la base per la nuova Internazionale comunista.
Naturalmente la sede del Congresso fu fissata a Mosca inizialmente per il 15 febbraio, ma le difficoltà per i delegati di raggiungere la capitale dei soviet non furono poche e quindi esso fu rimandato e si tenne dal 2 al 6 marzo. Vi parteciparono 35 delegati con diritto di voto, in rappresentanza di 19 partiti e organizzazioni, e 19 delegati, a titolo consultivo, in rappresentanza di 16 organizzazioni.
Lenin lesse le sue Tesi che furono approvate dal Congresso. Le tesi e il discorso di Lenin servirono come base per le decisioni della conferenza.
In queste Tesi espone con estrema chiarezza il punto di vista dei comunisti – già oggetto del suo pamphlet contro Kautsky – sulla differenza tra la democrazia borghese e la dittatura proletaria.
La chiarificazione si rese ancor più necessaria, non solo per i compiti che attendono i comunisti in una fase in cui il ciclo rivoluzionario è ancora aperto, ma soprattutto per contrastare i capi socialdemocratici, messi in allarme dal rafforzamento degli elementi internazionalisti, dalla nascita dei partiti comunisti e dallo sviluppo che stava assumendo il movimento per la costituzione della nuova Internazionale, avevano indetto una conferenza internazionale a Berna (Svizzera) dal 3 al 10 febbraio 1919 e decisero di ricostituire la II Internazionale.
Lenin precisa da subito:
«In primo luogo, l’argomento [della conferenza di Berna] fa uso di concetti astratti di “democrazia” e “dittatura”, senza specificare qual è la classe in questione. Il porre il problema in questo modo, al di fuori o al di sopra del punto di vista di classe, come se fosse valido in quanto punto di vista dell’intera nazione, è una vera e propria irrisione della teoria fondamentale del socialismo, vale a dire della teoria della lotta di classe che, è vero, a parole è ancora accettata dai socialisti che sono passati al campo della borghesia, ma che a giudicare dalle loro azioni non è tenuta in nessun conto. Perché in nessun paese capitalista civile c’è “democrazia in astratto,” c’è solo democrazia borghese, e la questione non è quella della “dittatura in astratto,” ma della dittatura della classe oppressa, cioè del proletariato, sugli oppressori e sugli sfruttatori, cioè sulla borghesia, al fine di vincere la resistenza opposta dagli sfruttatori che cercano di mantenere il proprio dominio. [Tesi 2]
… l’attuale difesa della “democrazia borghese” in discorsi sulla “democrazia,” e l’attuale protesta contro la dittatura del proletariato nello schiamazzo sulla “dittatura,” sono un tradimento bell’e buono del socialismo, un passare oggettivamente al campo della borghesia, una negazione del diritto del proletariato alla propria rivoluzione politica, una difesa del riformismo borghese, e questo proprio nel momento storico in cui il riformismo borghese è andato in pezzi in tutto il mondo e in cui la guerra ha creato una situazione rivoluzionaria.» [Tesi 3]
… le idee formulate con estrema precisione scientifica da Marx ed Engels quando dissero che persino la repubblica borghese più democratica non è niente altro che lo strumento con cui la borghesia opprime la classe operaia, con cui un pugno di capitalisti domina le masse operaie. [Tesi 4]
Dopo aver richiamato l’esperienza della Comune di Parigi e la valutazione che ne fece Marx, Lenin passa a elencare quali sono le “libertà” borghesi e qual debba essere l’atteggiamento del proletariato verso di esse.
La “libertà di riunione” … Per conquistare un “uguaglianza effettiva, per fare della democrazia una realtà per i lavoratori, gli sfruttatori debbono prima venir privati di tutti gli edifici pubblici e privati, e bisogna che sia dato tempo libero ai lavoratori e che la loro libertà di riunione sia difesa da lavoratori armati e non dai rampolli della nobiltà o da ufficiali provenienti dalla cerchia capitalista al comando di una truppa di soldati intimiditi. [Tesi 7].
La “Libertà di stampa” … Per ottenere effettiva uguaglianza ed effettiva democrazia per le masse lavoratrici, per gli operai e per i contadini, bisogna prima che venga tolta ai capitalisti la possibilità di tenere scrittori al proprio servizio, di accaparrarsi case editrici e di comperare gli organi di stampa. [Tesi 8]
Lenin, in perfetta continuazione con quanto scrisse Marx nella sua Critica al programma di Gotha, pone il punto essenziale sulla valutazione che devono fare i proletari in merito alle forme di espressione che il potere borghese garantisce loro. Se è fin toppo ovvio che queste libertà – laddove presenti o addirittura strappate con le lotte di massa – vanno difese e anzi allargate il più possibile; per l’organizzazione non è certo equivalente in un paese in cui non ci si può neanche riunire senza finire in galera o perseguitati pesantemente. Solo uno stupido o uno che non ha a che fare quotidianamente con la repressione poliziesca, giudiziaria e burocratica del potere borghese può sottovalutare questo aspetto.
Ma il punto teorico sollevato da Lenin non è questo. A che vale potersi riunire, stampare materiale di propaganda, oggi possiamo aggiungere: accedere ai mezzi di informazione e ai social network, se poi questi strumenti sono vanificati dal peso schiacciante dei mezzi di informazioni in mano al potere borghese? E quand’anche occasionalmente si riesce a bucare la cappa mediatica che avvolge le masse, gli strumenti di recupero in mano alla borghesia sono immensi. Le cose stanno davvero sotto gli occhi di tutti e non vale neanche la pena di ricordarle a chi con queste cose si scontra tutti i giorni.
La guerra imperialista del 1914-18 ha smascherato una volta per tutte il vero carattere della democrazia borghese in quanto dittatura della borghesia anche ai lavoratori più arretrati, anche nelle repubbliche più libere. [Tesi 10]
La cosa principale che i socialisti non capiscono, incapacità che riflette la loro miopia intellettuale, la loro dipendenza dai pregiudizi borghesi, la loro slealtà politica nei confronti del proletariato, è che quando, nella società capitalista, la lotta di classe su cui essa si basa diventa più acuta, non c’è nient’altro che la dittatura della borghesia o la dittatura del proletariato. Il sogno di un’altra, terza via è il lamento reazionario della piccola borghesia. [Tesi 12] (grassetto nostro)
L’essenza del potere sovietico sta in questo, che, stabile ed unico fondamento dell’intero potere statale, dell’intero apparato statale, è l’organizzazione di massa proprio di quelle classi che furono oppresse dai capitalisti, cioè degli operai e dei semiproletari. [Tesi 14]
… il potere sovietico, la dittatura proletaria, è organizzato in modo da portare a contatto del meccanismo amministrativo le masse operaie. Il compenetrarsi del potere legislativo ed esecutivo nell’organizzazione sovietica dello stato serve allo stesso scopo a cui tende la sostituzione dell’unità di produzione, officina o fabbrica, al collegio elettorale territoriale. [Tesi 16]
L’abolizione del potere statale è la mèta di tutti i socialisti, incluso, soprattutto, Marx. Se questa meta non viene raggiunta la vera democrazia, cioè libertà ed uguaglianza, non è raggiungibile. Ma di fatto soltanto la democrazia sovietica e proletaria conduce a questa meta, perché incomincia subito a prepararsi per la totale dissoluzione di qualsiasi tipo di stato inducendo le organizzazioni di massa dei lavoratori a una partecipazione costante e incondizionata all’amministrazione statale. [Tesi 20]
Il discorso di Lenin ha un carattere eminentemente strategico e per questo motivo è valido oggi come allora e non dipende dalle “fasi” nelle quali può venirsi a trovare la lotta di classe. La democrazia borghese e le sue libertà possono essere assunte come valore integrante la democrazia proletaria? Diciamo meglio e più nel concreto, fino a che punto difendere questa o quella norma che concede questo o quello spazio di manovra al proletariato può far cambiare il proprio atteggiamento strategico nei confronti del governo borghese?
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Le basi politiche ed organizzative furono poi definite meglio nel Secondo Congresso che si tenne nel luglio e agosto del 1920, dove Lenin, con le tesi sui compiti fondamentali dell’Internazionale Comunista, mise il primo mattone sulla prospettiva della rivoluzione come strumento per la trasformazione radicale della società. In quella occasione furono anche promulgati lo statuto dell’Internazionale Comunista in cui non ci si rivolgeva solamente ai proletari dei paesi occidentali sviluppati ma anche ai popoli oppressi dal colonialismo. La parola d’ordine venne aggiornata in “proletari e popoli oppressi di tutto il mondo unitevi!” Quest’ultima definizione, vista anche alla luce delle migrazioni bibliche dovute alle contraddizioni della globalizzazione capitalistica oggi, ha una sua stringente attualità. Nello statuto vennero definiti i punti a cui i partiti nazionali si dovevano attenere. Tra essi la condivisione delle decisioni dei congressi e degli organismi internazionali, nonché il sostegno forte alle repubbliche sovietiche ed infine il nome “comunista”.
Al Terzo Congresso, che si svolse nel giugno-luglio 1921, Lenin parlò della famosa NEP e cioè della Nuova Politica Economica da realizzarsi in Russia e della necessità di usare questa particolare politica economica in un difficile contesto e per un lasso di tempo ed un periodo definito nella forma e nei modi. C’era la necessità per il paese dei soviet, schiacciato da una lunga guerra civile e dagli interventi militari stranieri di oltre una decina di paesi capitalistici, di recuperare le alleanze sociali, in primo luogo con la classe contadina che aveva sofferto maggiormente la necessaria fase del “comunismo di guerra”, allo scopo di un maggiore rafforzamento economico e sociale del paese. In questa fase avvenne il primo contrasto tra Lenin e le opinioni di chi pensava di fare a meno della conquista della maggioranza della classe operaia per ottenere la rivoluzione. La competizione con i partiti della socialdemocrazia si poteva vincere non solo sul terreno ideologico ma su quello più importante delle condizioni di vita delle masse: il lavoro, il pane, la casa.
L’ultimo congresso dell’internazionale a cui partecipò Lenin fu quello del novembre-dicembre 1922, dove si inizia ad avvertire il serrato confronto che si articolerà negli anni successivi sulla possibilità della vittoria del socialismo in un solo paese anche in assenza di rivoluzioni negli altri paesi capitalistici. Lo scontro si polarizzò tra la figura di Joseph Stalin, forte assertore della possibilità di successo del socialismo anche in un paese solo e di Leon Trotsky, che era convinto che l’Unione Sovietica così arretrata non ce l’avrebbe mai fatta a costruire il socialismo e sarebbe stata altresì emarginata come appendice semicoloniale del capitalismo internazionale. Trotsky in sostanza non aveva alcuna fiducia sulla capacità del partito comunista sovietico, che ora aveva in mano le leve dello stato, di superare l’arretratezza economica del paese, mantenendone l’indipendenza politica.
Quello che avvenne negli anni successivi dette ragione a Stalin con la costruzione del socialismo in Urss. Nel 1937 l’URSS divenne la seconda potenza industriale del mondo e, nel 1945, il suo esercito schiacciò a Berlino il mostro nazista che aveva invaso l’intera Europa nel corso della seconda guerra mondiale.
Dopo la morte di Lenin si arrivò ad introdurre il concetto di “marxismo-leninismo” per evidenziare da una parte il marxismo come analisi dello sviluppo del capitalismo e dall’altra il leninismo, come strumento nella fase suprema dell’imperialismo, per compiere la rivoluzione proletaria.
Nell’estate del 1924 si tenne il famoso Quinto Congresso che sviluppò il compito della “bolscevizzazione” cioè della trasformazione all’interno delle specifiche situazioni nazionali l’esperienza bolscevica stesse. I tratti principali erano così definiti:
«il partito deve trasformarsi in un vero e proprio partito di massa per mantenere il più solido contatto con la massa operaia e le sue aspettative, deve essere dinamico e duttile, deve appropriarsi cioè di una tattica non dogmatica e settaria ma deve sapere applicare contro il nemico tutte quelle manovre che gli consentono di mantenere inalterato ed anzi rafforzare il proprio carattere evitando al suo interno ogni frazione, corrente o raggruppamento».
Vennero inoltre definite le cellule di fabbrica e di quartiere che consentivano una maggiore aderenza all’esperienza della realtà sociale.
Nel Sesto Congresso del 1928 si avvertì il rischio del pericolo di una guerra mondiale incombente e quindi della necessaria spinta dell’Urss ad una maggiore industrializzazione ed una maggiore collettivizzazione dei lavori agricoli per ottenere una meccanizzazione durevole ed un aumento forte della produttività. Il contrasto con la socialdemocrazia ebbe il suo apice nell’estate del 1929 con gli avvenimenti del 1° maggio a Berlino dove la polizia, guidata dalla socialdemocrazia, sparò provocando il massacro di una manifestazione operaia e richiamando quindi alla memoria dieci anni prima l’assassinio, per mano socialdemocratica, di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht. Nel frattempo il crollo della borsa Wall Street aprì la fase che portò alla vittoria del nazismo in Germania e alla necessità di definire una linea di larga unità nei confronti del nazifascismo.
L’importanza di queste considerazioni fu argomentata al Settimo Congresso del 1935 in cui Georgi Dimitrov divenne l’estensore della tesi su “l’offensiva del fascismo ed i compiti dell’internazionale comunista nella lotta per l’unità della classe operaia contro il fascismo”. Emergeva in tal senso la linea di costruzione dei “fronti popolari”, un’alleanza di forze politiche e sociali di differente segno, protese ad una mobilitazione di massa contro il fascismo per arrivare a riforme sociali che conseguissero risultati significativi in Francia e in Spagna, e che mantennero una sensibile influenza in altri paesi, costituendo la premessa per la costruzione dei fronti nazionali di liberazione durante la Resistenza e la seconda guerra mondiale. In quegli anni emerge peraltro la particolare dottrina di non opposizione nei confronti del nazismo da parte dei paesi capitalistici con in testa l’Inghilterra e della Francia, che non ebbero remore nel sacrificare prima la Spagna repubblicana e poi nel 1938 la Cecoslovacchia al nazifascismo. Ma il picco della ipocrisia anglo-francese si ebbe con l’estate del 1939. Sino al luglio del 1939 l’Unione Sovietica continuò a chiedere più volte al governo polacco ed al governo inglese di spostare, in modalità totalmente difensiva le sue armate, attraversando la Polonia per posizionarsi al confine tedesco. Ogni proposta fatta in tal senso fu respinta dagli inglesi e ancor più sdegnosamente dai polacchi. Alla luce di tale diniego, alla fine l’Unione Sovietica fu costretta a stipulare il patto di non aggressione Molotov-Ribbentrop per sventare il pericolo concreto di dover affrontare – da sola – una guerra totale nei confronti della Germania mentre in estremo oriente si era già sul piede di guerra con la potenza imperiale giapponese. Quel patto creò certamente un qualche disorientamento all’interno del movimento comunista, ma fu lungimirante e strategico nell’allargare la frontiera sovietica ad Ovest. Ricordiamo che in quell’occasione nessuno dei paesi occidentali avanzò la minima critica all’operato sovietico, contrariamente a quanto invece avvenne nella successiva guerra con la Finlandia. Che fine avrebbero fatto milioni di polacchi – tra cui molti ebrei – se fossero stati lasciati in preda ai nazisti? Che fine avrebbe fatto l’Unione sovietica, e con essa la libertà dei popoli europei, se l’Urss non avesse avuto quei due anni in più di preparazione? Che fine avrebbe fatto l’Unione Sovietica se quei trecento chilometri in più che le armate tedesche ebbero a coprire nel territorio polacco iniziando l’operazione Barbarossa nel 1941 non ci fossero stati? Basti ricordare che nel novembre di quello stesso anno la “croce uncinata” arrivò a meno di 10 chilometri da Mosca prima di subire l’offensiva della “grande guerra patriottica”. Soprattutto, che cosa sarebbe successo se si fosse saldata l’alleanza anticomunista tra fascismi e cosiddette democrazie, già sperimentata durante la Guerra di Spagna? La storia oggi la scrivono i vincitori attuali e quindi non c’è nessuno che evidenzia il fallimento della politica antisovietica dell’inglese Chamberlain e del francese Daladier e quanto questi due strinsero uno stretto rapporto con la Germania che si evidenziò nel settembre 1938 con la fallimentare Conferenza di Monaco. All’interno dell’Internazionale Comunista si ebbero obiettivamente alcune difficoltà ad evidenziare la nuova linea anche di fronte ad un conflitto che, dopo l’invasione della Polonia, pareva esser statico. La valutazione mutò rapidamente dopo la Blitzkrieg (guerra lampo) delle armate corazzate tedesche di Heinz Guderian che, nel giro di poche settimane, arrivarono a prendere a Parigi e a costringere il corpo di spedizione inglese a ritirarsi disordinatamente a Dunkerque.
Come si può notare il contesto internazionale era particolarmente complesso e fu in quel periodo che il partito comunista statunitense sotto la minaccia di essere sciolto e dichiarato fuorilegge per i suoi legami internazionali appunto con l’Unione Sovietica chiese di poter uscire dall’internazionale evitando il dilemma tra esistenza legale e passaggio alla clandestinità. La segreteria dell’Internazionale decise di appoggiare la richiesta, pensando evidentemente ad una misura temporanea, ma gli avvenimenti e la necessità di stabilire ampie alleanze contro il nazismo spinsero addirittura Stalin nell’aprile del ‘41 alla necessità di parlare di scioglimento della internazionale:
«…servirebbe far diventare i partiti comunisti totalmente autonomi, e non sezioni dell’internazionale. Essi devono trasformarsi in partiti comunisti nazionali…. L’importante è che essi si radichino nel proprio popolo e si concentrano sui propri specifici compiti. Devono avere un programma comunista, devono basarsi su una analisi marxista, ma non con lo sguardo rivolto a Mosca; devono risolvere autonomamente i compiti concreti che stanno davanti a loro nel paese dato…».
La grande lungimiranza di Stalin nei confronti della lotta contro il mostro nazista era sotto gli occhi di tutti, e spinse tutti a concentrarsi dopo l’invasione dell’Urss nel giugno 1941. Da quel momento tutti gli sforzi dell’Internazionale Comunista furono impegnati nella lotta di resistenza all’aggressore nazista. Da questo punto di vista di vita del Comintern fu assolutamente efficace: vennero date direttive, sostegni finanziari e materiali ai partiti comunisti di ogni parte del mondo, vennero unificate le parole d’ordine finalizzate alla formazione di fronti unitari e alla necessità dell’apertura di un “secondo fronte” sia da parte della lotta partigiana sia con la richiesta di uno sbarco da parte delle forze anglo americane che alleggerisse la situazione ad Est (avvenne molto in ritardo Normandia). Ci si preoccupò seriamente di promuovere la lotta partigiana nei paesi occupati con la valorizzazione dell’inserimento di quadri esperti nella guerriglia clandestina e nelle attività politiche in quei paesi, a partire dalle trasmissioni radio nelle rispettive lingue per definire la propaganda contro gli eserciti invasori e a costruire un lavoro politico di propaganda e formazione negli stessi campi di prigionia. Il lavoro dell’Internazionale Comunista durante la prima parte della guerra mondiale costituì le basi per la vittoria che cominciò a delinearsi nell’estate del 1943. In quella estate fu progettata la risoluzione in cui Dimitrov e Manul’skij fecero discutere ed approvare dal presidium del comitato esecutivo il 13 maggio lo scioglimento dell’Internazionale stessa. A tal proposito Stalin dichiarò:
«… non è possibile dirigere il movimento operaio di tutti paesi del mondo da un unico centro internazionale. Soprattutto ora, nel contesto della vera guerra, quando i partiti comunisti di Germania e d’Italia come di altri paesi hanno il compito di rovesciare i loro governi e attuare una tattica disfattista, mentre i partiti comunisti dell’Inghilterra e dell’America ed altri hanno al contrario il compito di sostenere in tutti modi i governi affinché si sconfigga rapidamente il nemico… L’ulteriore esistenza dell’Internazionale Comunista screditerebbe l’idea stessa dell’Internazionale, cosa che non vogliamo. Per lo scioglimento dell’Internazionale Comunista c’è anche il motivo per cui i partiti comunisti membri sono falsamente accusati di essere una sorta di agenzia di uno Stato straniero e questo ostacola il loro lavoro tra le masse. Con lo scioglimento dell’Internazionale Comunista si strappa questa carta dalle mani dei nemici. Questo passo rafforzerà senza dubbio i partiti comunisti come partiti nazionali e al tempo stesso rafforzerà l’internazionalismo delle masse popolari, base del quale è l’Unione Sovietica».
Il 21 maggio del 1943 l’Internazionale Comunista come partito mondiale cessava di esistere, la pratica politica aveva dimostrato che il cammino degli sfruttati e degli oppressi verso la propria liberazione è difficile ed ha tempi lunghi. Un lavoro eccezionale era stato fatto per estendere e radicare in tutto il pianeta l’idea dell’organizzazione comunista. Che proseguì con l’attività del Cominform (l’Ufficio d’Informazione dei Partiti Comunisti ed operai – costituito a Belgrado nel 1947).
In Italia, nel periodo 1943-1947 la prospettiva avanzata dal PCI fu quella dell’unità antifascista per sconfiggere innanzitutto i fascisti e cacciare lo straniero nazista dal nostro Paese. Le forme furono attuate con il Comitato di Liberazione Nazionale a somiglianza di quanto si fece nel resto d’Europa di fronte all’occupazione nazifascista. Questa forma di “condivisione” del potere però fu subito disarmata all’indomani della Liberazione, quando i partigiani deposero le armi. Nell’immediato dopoguerra, fu proprio questo l’errore che si fece: scambiare la forma democratica che stava uscendo dalla lotta antifascista come un involucro entro il quale potessero maturare le condizioni per un cambiamento in senso “progressivo” della società, senza che questo fosse sostenuto e accompagnato da una “rottura” istituzionale che mettesse fuori gioco le forze borghesi, quasi che insieme ad esse e non contro di esse si potesse costruire il socialismo. Si disarmò la Resistenza, si smobilitarono i presìdi proletari nelle fabbriche e nelle istituzioni, si puntò tutto sulla strada parlamentare senza avere nessun’altra carta di riserva. Il risultato fu che nel giugno del 1947, ancor prima dell’entrata in vigore della Costituzione – in nome della quale tutto ciò era stato fatto – le forze popolari che avevano fatto la Resistenza, socialisti e comunisti, furono espulsi dal governo senza neanche battere un colpo, senza uno sciopero, a parte qualche innocua protesta. La prima riunione del Cominform, riunitasi per l’occasione in Polonia, bacchettò pesantemente l’operato del PCI. In quella occasione Pietro Secchia ebbe a dire «vi sono delle battaglie che occorre combattere anche se si sa di perdere immediatamente. Esse servono per il domani. In ogni caso ritengo che si perda di più ogni volta che si cedono posizioni importanti senza dar battaglia.».
Il paragone con le democrazie popolari che nel frattempo si stavano avviando nell’est europeo liberato dall’Armata Rossa non era proponibile. Perché lì invece il socialismo poté essere avviato senza l’uso della forza? Ma fin troppo ovvio! Perché le forze della reazione non potevano organizzare la loro resistenza con l’appoggio della forza militare dell’imperialismo, al contrario di quello che avvenne in occidente.
E tuttavia ancora questo non è completamente esatto.
Primo, non è vero che la reazione non tentò di tutto per ostacolare questo processo. I fatti di Praga del 1948, dimostrano che senza una mobilitazione di massa del proletariato, la reazione avrebbe vinto. Anche i fatti d’Ungheria del 1956 dimostrano che l’imperialismo non rinunciò al tentativo di sovvertire il socialismo, soprattutto nella fase di disorientamento che il XX Congresso del PCUS indusse nel movimento comunista internazionale.
Secondo, studiando attentamente la transizione dei paesi a democrazia popolare, si vede che la rottura istituzionale ci fu e come, anche se essa non fu sanguinosa per i motivi che abbiamo evidenziato. La prima fase – in Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia e altri paesi – fu una fase in cui le riforme economiche furono avviate con gradualità e il potere politico era condiviso tra forze di diversa estrazione. Ricordiamo come in Polonia addirittura si parlava di “terza via, tra socialismo sovietico e socialismo scandinavo”. Nel 1947/48, anche in conseguenza della reazione imposta dall’imperialismo e dall’introduzione del Piano Marshall in Europa Occidentale, vi fu una decisa sterzata in direzione della pianificazione centralizzata, dell’abolizione integrale dello sfruttamento salariato e dell’assoggettamento del settore cooperativistico al settore socialista centralizzato.
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Le Tesi di Lenin ancora oggi mostrano ancora la loro abbagliante attualità. Nel momento di scontro più acuto tra borghesia e proletariato sono parole che dànno l’indirizzo e il senso dei compiti da svolgere.
Ad esempio, noi sosteniamo la difficile battaglia che il Partito Comunista del Venezuela sta conducendo in una situazione in cui il processo rivoluzionario in quel paese non evolve, anzi rischia di soccombere del tutto. Il segretario generale del PCV ha affermato che «attraverso la partecipazione operaia-contadina e popolare, bisogna esercitare il controllo dei processi produttivi. Un controllo rivoluzionario e popolare, non un controllo burocratico e corrotto. Controllo popolare, controllo operaio, controllo rivoluzionario» ha ribadito insieme alla richiesta di approfondire le sanzioni imposte al grande capitale e ai settori finanziari. «Stabilire una politica di prezzi sotto il controllo operaio e popolare, così come la nazionalizzazione della banca e dei settori finanziari» e un «programma di emergenza economica, sociale e politica sotto il controllo e la partecipazione operaia, contadina, comuneros (le comuni) e popolare», sono le altre proposte dei comunisti. In caso contrario – temiamo noi– tutto il processo è in pericolo e si aprono le porte alla sconfitta più bruciante.
Lenin conclude nella Tesi 22, elencando quali sono i compiti immediati dei partiti rivoluzionari oggi:
1. Spiegare alle grandi masse della classe operaia il significato storico della necessità politica e pratica di una nuova democrazia proletaria che deve soppiantare la democrazia e il parlamentarismo borghesi.
2. Estendere e rafforzare i consigli operai in tutte le branche dell’industria, nell’esercito e nella marina, e anche tra i lavoratori agricoli e i piccoli contadini.
3. Conquistare una maggioranza comunista salda e cosciente nei consigli.
Questi sono i compiti che si pongono ai partiti comunisti ancor oggi a distanza di cento anni.
Come Partito Comunista abbiamo in tal senso contribuito alla nascita della Iniziativa dei Partiti Comunisti ed Operai d’Europa che è oggi un’organizzazione politica che riunisce i partiti comunisti marxisti-leninisti europei.
È stata fondata a Bruxelles il 1º ottobre 2013. Nonostante l’Iniziativa operi principalmente all’interno dell’UE, la partecipazione è aperta anche a partiti non facenti parte dell’Unione.
La Segreteria dell’Iniziativa è attualmente composta da 9 partiti: il Partito Comunista di Grecia, il Partito Operaio Ungherese, il Partito dei Lavoratori (Irlanda), il Partito Comunista (Italia), il Partito Socialista di Lettonia, il Partito Comunista di Slovacchia, il Partito Comunista dei Popoli di Spagna, Partito Comunista di Svezia e il Partito Comunista di Turchia.
Nonostante non siamo in condizioni soggettivamente rivoluzionarie, nonostante il temporaneo crollo del socialismo, nonostante la condizione di arretratezza del movimento comunista internazionale, nonostante gli sfavorevoli rapporti di forza tra proletariato e borghesia nei nostri paesi – anzi forse ancor di più a causa di queste tutte condizioni negative – questi compiti sono e restano i compiti fondamentali di tutti i partiti comunisti, a cominciare dal Partito che opera in Italia.
Il nostro lavoro non deve limitarsi a un’estetica celebrazione del socialismo. Dobbiamo in ogni occasione essere in grado però di collegare le lotte proletarie che auspicabilmente dirigiamo all’obiettivo di elevare la coscienza delle masse, a cominciare dalla sua frazione più genuinamente rivoluzionaria, il proletariato. Dobbiamo far capire, con le nostre azioni e con i nostri slogan, che le rivendicazioni che agitiamo non potranno mai trovare piena attuazione in questa società borghese, basata sul profitto, anzi sul massimo profitto, della borghesia. Dobbiamo sempre individuare obiettivi che siano concreti, ossia immediatamente comprensibili e credibili da parte delle masse, pur irraggiungibili nel quadro del mercato capitalistico. Questo vale per una vertenza di fabbrica, così come per la richiesta di nazionalizzazione di un complesso industriale, così come per lo svincolamento del nostro paese dai conglomerati imperialisti, UE e NATO. Qualunque borghese democratico può schierarsi contro le industrie inquinanti, ma solo i comunisti possono spiegare come la soluzione della contraddizione salute-lavoro può trovare attuazione solo nel socialismo. Qualunque borghese democratico può parteggiare per le lotte dei pastori, dei contadini, dei tassisti, degli operai licenziati, può perfino invocare la nazionalizzazione, ma solo i comunisti possono dare a questa richiesta un carattere veramente rivoluzionario, dicendo “nazionalizzazione senza indennizzo con affidamento delle aziende ai lavoratori”: il socialismo non è la nazionalizzazione dell’Alitalia in mano ai padroni dove i loro guasti e le loro ruberie sono pagati col debito pubblico, ma il Consiglio di Amministrazione presieduto dai migliori quadri politici dei lavoratori. Qualunque borghese democratico si può ribellare alla violazione del diritto internazionale perpetrato dall’imperialismo, ma solo i comunisti possono tramutare il pacifismo, per quanto sincero, in forza rivoluzionaria. Qualunque borghese democratico può opporsi a tutte le discriminazioni di genere e di razza, ma solo i comunisti possono mostrare che solo il socialismo può liberare tutti gli oppressi con la liberazione del lavoro salariato. Qualunque borghese democratico può “ideare” una “nuova” società in cui lo sfruttamento sia abolito, ma solo i comunisti – armati della teoria marxista – hanno la strategia e la tattica scientifiche e le verifiche storiche della sua attuazione nelle forme attuate dal socialismo reale.
A questo scopo è indispensabile ampliare l’influenza dei comunisti dentro le lotte proletarie, favorire l’autorganizzazione cosciente nei luoghi di lavoro, ridare al proletariato e alle masse il senso dell’unità di classe e la forza che questa classe ha quando è unità su obiettivi di classe, dalla lotta per l’unità coi lavoratori stranieri, l’unità coi lavoratori licenziati, l’unità tra lavoratori e lavoratrici, tra lavoratori del nord e del sud, tra lavoratori di tutta Europa. L’unità dei proletari non si costruisce a tavolino, ma nel fuoco della lotta e lì dobbiamo essere presenti. Difficile? Certo! Scomodo? Scomodissimo! Ma non c’è una scorciatoia. Il Partito Comunista non può essere un partito di opinione, un partito che si accontenta di esprimere le sue posizioni sui social. Già questa via è stata perseguita per troppi anni in Italia. Basta! Anche l’unità dei comunisti deve essere perseguita tenendo tutto ciò come stella polare. Non arroccamento settario ma tagliente lama leninista che taglia a fette l’opportunismo di chi in questa direzione non vuole andare.
E veniamo al problema del lavoro, il problema in Italia. Dopo una serie di sottovalutazioni, il nostro Partito, col suo II Congresso e la Conferenza operaia del 1° dicembre 2018, ha posto le basi per un serio intervento del Partito in questo strategico campo. Purtroppo in Italia oggi non possiamo registrare la presenza di un sindacato che abbia una natura di classe compiutamente definita e assimilata da tutti i suoi dirigenti e men che meno dai suoi aderenti. Vi sono degli interessanti settori avanzati nei sindacati di base. I sindacati più numerosi, anche se in caduta libera di consensi, ormai sono del tutto e da tempo assimilati al sistema borghese e non esprimono più neanche una conflittualità se non talvolta di retroguardia in vertenze ormai perse. In questa situazione il compito dei comunisti, per «conquistare una maggioranza comunista salda e cosciente», deve essere quello di sostenere organizzativamente e ideologicamente i settori più avanzati, dove ciò non significa sostituirsi ad essi nella costruzione del sindacato di classe, ma dare “benzina” alle loro lotte per renderle sempre più efficaci e combattive, non da “grilli parlanti” esterni a quelle lotte, ma come parte di avanguardia di esse. È l’unico modo che i comunisti hanno per svolgere efficacemente il loro compito di “educare” il proletariato distinguendo infine la costruzione del Partito nei luoghi di lavoro dalla costruzione del sindacato di classe. Il sindacato promuove gli interessi dei lavoratori, il Partito Comunista lavora per la presa del potere politico.
È indispensabile infine chiarire che quindi la forma della democrazia borghese non è e non può mai essere la forma in cui il proletariato può riconoscersi. È un gioco truccato in cui esso ha solo da perdere. In qualche momento potrebbe essere opportuno accettare tatticamente e temporaneamente questa forma per dare il tempo all’organizzazione proletaria di rafforzarsi e radicarsi, ciò non lo si può e non lo si deve escludere a priori. Ma far assurgere l’involucro della democrazia borghese a forma al di là e al di sopra delle classi come condizione sine qua non per lo sviluppo rivoluzionario, scambiare una scelta occasionale tattica per una prospettiva strategica, è una posizione profondamente antimarxista e antileninista che ha creato e continua a creare i guasti peggiori nel movimento comunista internazionale.
Quando la tattica viene elevata al rango di strategia è lì che comincia l’opportunismo. “Dentro e fuori la Duma” ammoniva Lenin. Ricordiamo questo grande insegnamento del capo della rivoluzione vittoriosa.
Viva l’Internazionale Comunista! Viva la Conferenza dei Partiti Comunisti ed Operai d’Europa!
Nota:
[1] In realtà Lenin ne aveva accennato già nelle Tesi di Aprile del 1917 e il congresso che ne seguì deliberò il 29 aprile che «è compito del nostro partito, che agisce nel primo paese in cui la rivoluzione ha avuto inizio, prendere l’iniziativa della creazione di una terza Internazionale». Un ulteriore stimolo fu fornito dalla formazione del Partito comunista tedesco nel dicembre 1918.
24 gennaio 1919
A nostro parere la nuova internazionale dovrebbe basarsi sul riconoscimento delle seguenti affermazioni, qui poste come piattaforma ed elaborate sulla base del programma dello Spartakusbund in Germania e del partito comunista (bolscevico) in Russia:
1.L’epoca attuale è l’epoca della disintegrazione e del crollo dell’intero sistema capitalistico mondiale, che trascinerà con sé tutta la civiltà europea se il capitalismo non viene distrutto insieme alle proprie insolubili contraddizioni.
2.Il compito attuale del proletariato è di impadronirsi immediatamente del potere statale. La conquista del potere statale significa la distruzione dell’apparato statale borghese e l’organizzazione di un nuovo apparato di potere proletario.
3.Questo nuovo apparato dovrebbe concretizzare la dittatura della classe operaia (e in certi posti anche del semiproletariato rurale, dei poveri delle campagne), cioè, dovrebbe essere lo strumento per la soppressione sistematica delle classi sfruttatrici e per il loro esproprio. Non falsa democrazia borghese – quest’aspetto ipocrita del dominio dell’oligarchia finanziaria – che è eguaglianza meramente formale, ma democrazia proletaria, che dà alle masse lavoratrici l’opportunità di fare della propria libertà una realtà; non parlamentarismo, ma autogoverno di queste masse attraverso i propri organismi scelti per elezione; non burocrazia capitalistica, ma organi di amministrazione creati dalle masse stesse, con la reale partecipazione delle masse al governo del paese e alla costruzione socialista – questo dovrebbe essere il modello dello stato proletario. La sua forma concreta è data nel sistema dei soviet o di organismi analoghi.
4.La dittatura del proletariato deve essere la leva per l’esproprio immediato del capitale e per l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione e per la loro trasformazione in proprietà nazionale. Nazionalizzazione dell’industria di grosse dimensioni (intendendosi per nazionalizzazione l’abolizione della proprietà privata ed il suo trasferimento alla proprietà dello stato proletario, per essere sottoposta alla amministrazione della classe operaia) e dei suoi centri organizzativi, le banche; confisca dei possedimenti dei grandi proprietari terrieri e nazionalizzazione della produzione agricola capitalista; monopolio sul commercio all’ingrosso, nazionalizzazione dei grossi caseggiati nelle città e dei latifondi; introduzione della gestione operaia e centralizzazione delle mansioni economiche nelle mani di agenzie della dittatura del proletariato – questi sono i problemi essenziali del presente.
5.Al fine di salvaguardare la rivoluzione socialista, di difenderla da nemici esterni ed interni, di dare aiuto agli altri settori nazionali del proletariato in lotta ecc., è essenziale disarmare completamente la borghesia e i suoi agenti, e armate il proletariato.
6.Oggi la situazione mondiale richiede il contatto più stretto possibile tra i differenti settori del proletariato rivoluzionario e una completa unione dei paesi in cui la rivoluzione socialista ha già trionfato.
7.Metodi fondamentali di lotta sono le azioni di massa del proletariato volte ad aprire un conflitto armato con il potere politico del capitale.
8.La vecchia Internazionale si è divisa in tre gruppi principali: i socialsciovinisti dichiarati, che durante la guerra imperialista del 1914-18 appoggiarono le proprie borghesie e trasformarono la classe operaia in boia della rivoluzione internazionale; il “centro,” il cui leader teorico è Kautsky, composto di quegli elementi che sono sempre tentennanti, incapaci di una linea di condotta decisa, e che sono a volte del tutto infidi; infine c’è la sinistra rivoluzionaria.
9.Verso i socialsciovinisti, che ovunque nei momenti critici si rivoltano in armi contro la rivoluzione proletaria, non è possibile nessun altro atteggiamento che una lotta implacabile. Quanto al “centro,” la tattica è quella di staccarne gli elementi rivoluzionari, di critica spietata e di smascheramento dei capi. Ad un certo stadio di sviluppo è assolutamente essenziale una separazione organizzativa dai centristi.
10.D’altra parte, è necessario formare un blocco con quegli elementi del movimento operaio rivoluzionario che, per quanto in passato non abbiano fatto parte di partiti socialisti, ora in generale appoggiano la dittatura proletaria sotto la forma del potere sovietico. Primi tra questi sono i quadri sindacali del movimento operaio.
11.Infine e necessario recuperare tutti quei gruppi e quelle organizzazioni che, per quanto non si siano uniti apertamente alla sinistra rivoluzionaria, sembrano tuttavia muoversi in questa direzione.
12.In termini concreti, noi proponiamo che i rappresentanti dei seguenti partiti, gruppi, e tendenze partecipino al congresso (saranno riconosciuti membri a tutti gli effetti della terza Internazionale quei partiti che ne condividono la piattaforma):
13.La base della terza Internazionale e già fornita dall’esistenza, in varie parti d’Europa, di gruppi e organizzazioni di compagni che condividono le stesse idee e che hanno una piattaforma comune e che in linea di massima utilizzano gli stessi metodi tattici. Primi tra questi sono gli Spartachisti in Germania e i partiti comunisti di molti altri paesi.
14.Il congresso deve costituire un organo comune di lotta con il proposito di mantenere un coordinamento permanente e una leadership sistematica del movimento, un centro dell’Internazionale comunista, che subordini gli interessi del movimento in ciascun paese al comune interesse della rivoluzione internazionale. La forma effettiva che dev’essere presa dall’organizzazione, la rappresentanza dell’organizzazione stessa ecc., saranno elaborate dal congresso.
15.Il congresso deve assumere il nome di “primo congresso dell’Internazionale comunista,” e i singoli partiti ne diventeranno sezioni. Marx ed Engels avevano già trovato il termine “socialdemocratico” scorretto teoricamente. Il crollo ignominioso dell’”Internazionale” socialdemocratica rende inoltre necessario un netto distacco su questo punto. Infine, il nucleo del grande movimento e già formato da un certo numero di partiti che hanno assunto questo nome. In considerazione di quanto sopra, noi proponiamo a tutte le organizzazioni e i partiti fratelli di discutere la questione della convocazione del congresso internazionale comunista.
4 marzo 1919
Queste tesi, scritte da Lenin, furono adottate dal congresso.
La crescita del movimento rivoluzionario del proletariato in tutti i paesi ha spinto la borghesia e i suoi agenti nelle organizzazioni operaie a sforzi convulsi per trovare argomenti teorici in difesa del dominio degli sfruttatori. Tra questi, si dà un particolare rilievo al rifiuto della dittatura e alla difesa della democrazia. Comunque, la falsità e l’ipocrisia di quest’argomento, ripetuto in un centinaio di forme dalla stampa capitalista e alla conferenza dell’internazionale gialla a Berna nel febbraio 1919, sono chiare a chiunque non voglia tradire i principi del socialismo.
In primo luogo, l’argomento fa uso di concetti astratti di “democrazia” e “dittatura, “senza specificare qual è la classe in questione. Il porre il problema in questo modo, al di fuori o al di sopra del punto di vista di classe, come se fosse valido in quanto punto di vista dell’intera nazione, è una vera e propria irrisione della teoria fondamentale del socialismo, vale a dire della teoria della lotta di classe che, è vero, a parole è ancora accettata dai socialisti che sono passati al campo della borghesia, ma che a giudicare dalle loro azioni non è tenuta in nessun conto. Perché in nessun paese capitalista civile c’è “democrazia in astratto,” c’è solo democrazia borghese, e la questione non è quella della “dittatura in astratto,” ma della dittatura della classe oppressa, cioè del proletariato, sugli oppressori e sugli sfruttatori, cioè sulla borghesia, al fine di vincere la resistenza opposta dagli sfruttatori che cercano di mantenere il proprio dominio.
La storia ci insegna che una classe oppressa non è mai arrivata e non può mai arrivare al potere senza passare per un periodo di dittatura, cioè senza la conquista di un potere politico e la repressione violenta della resistenza più disperata e forsennata, che non indietreggia di fronte a nessun crimine, che sempre viene opposta dagli sfruttatori: La borghesia, il cui dominio è ora difeso dai socialisti che esprimono ostilità verso “la dittatura in generale” e che parteggiano corpo ed anima per “la democrazia in generale,” ha preso il potere nei paesi civili con una serie di rivolte, guerre civili, e la soppressione violenta del regime monarchico, dei signori feudali e dei proprietari di schiavi, e dei loro tentativi di restaurazione. Migliaia e milioni di volte, nei loro libri e opuscoli, nei loro discorsi e nelle loro delibere congressuali, i socialisti di tutti i paesi hanno spiegato al popolo il carattere di classe di queste rivoluzioni borghesi. Ecco perché l’attuale difesa della “democrazia borghese” in discorsi sulla “democrazia,” e l’attuale protesta contro la dittatura del proletariato nello schiamazzo sulla “dittatura,” sono un tradimento bell’e buono del socialismo, un passare oggettivamente al campo della borghesia, una negazione del diritto del proletariato alla propria rivoluzione politica, una difesa del riformismo borghese, e questo proprio nel momento storico in cui il riformismo borghese è andato in pezzi in tutto il mondo e in cui la guerra ha creato una situazione rivoluzionaria.
Riconoscendo il carattere classista della democrazia borghese, del parlamentarismo borghese, tutti i socialisti hanno espresso chiaramente le idee formulate con estrema precisione scientifica da Marx ed Engels quando dissero che persino la repubblica borghese più democratica non è niente altro che lo strumento con cui la borghesia opprime la classe operaia, con cui un pugno di capitalisti domina le masse operaie. Non c’è un solo rivoluzionario o un solo marxista, tra coloro che ora sollevano tanto clamore contro la dittatura e invocano la democrazia, che non abbia giurato con voce alta e solenne ai lavoratori di riconoscere questa verità fondamentale del socialismo; ma ora, che tra il proletariato rivoluzionario ha preso l’avvio un fenomeno e un movimento volto a spezzare questa macchina di oppressione e a lottare per la dittatura del proletariato, questi traditori del socialismo presentano le cose come se la borghesia avesse fatto dono di una “democrazia pura” ai lavoratori, come se la borghesia avesse rinunciato alla resistenza e fosse pronta a sottomettersi ad una maggioranza operaia, come se nella repubblica democratica non ci fosse un apparato statale per l’oppressione dei lavoratori da parte del capitale.
La Comune di Parigi, che tutti quelli che hanno voluto essere considerati socialisti hanno esaltato a parole, dato che sapevano che le masse operaie avevano per essa una grande e genuina simpatia, ha rivelato in modo particolarmente chiaro il condizionamento storico e la validità limitata del parlamentarismo borghese e della democrazia borghese, che sono istituzioni assai progressiste a paragone del Medioevo, ma che nell’epoca della rivoluzione proletaria esigono di venir cambiate da cima a fondo. Fu Marx stesso, che attribuì il massimo valore al significato storico della Comune, che nella propria analisi su di essa dimostrò il carattere di sfruttamento della democrazia borghese e del parlamentarismo borghese, in cui alla classe oppressa è concesso il diritto, una volta ogni parecchi anni, di decidere quale deputato delle classi possidenti debba rappresentare e tradire il popolo in parlamento. È adesso, quando il movimento dei soviet, che sta conquistando il mondo intero, porta davanti agli occhi di tutti la causa della Comune, che i traditori del socialismo dimenticano l’esperienza reale e le lezioni concrete della Comune di Parigi e ripetono il vecchio cumulo di scemenze borghesi sulla “democrazia in generale.” La Comune non fu un’istituzione parlamentare
Il significato della Comune inoltre consiste in questo, che essa fece un tentativo per distruggere e sradicare completamente il meccanismo dello stato borghese, apparato burocratico, giustizia, esercito, e polizia, e per sostituirlo con l’organizzazione di massa dell’autogoverno dei lavoratori senza alcuna separazione tra il potere legislativo e il potere esecutivo. Tutte le repubbliche democratico-borghesi del nostro tempo, inclusa quella tedesca, che i traditori del socialismo, irridendo la verità, chiamano proletaria, mantengono quest’apparato statale borghese. Questo prova una volta di più, in modo chiaro e lampante, che il clamore in difesa della “democrazia” non è altro che la difesa della borghesia e dei suoi privilegi di sfruttamento.
La “libertà di riunione” può costituire un esempio di richiesta di “democrazia pura.” Ogni lavoratore dotato di coscienza di classe che non abbia rotto con la propria classe capisce immediatamente che sarebbe mostruoso assicurare la libertà di riunione agli sfruttatori in momenti e situazioni in cui essi stanno opponendosi al proprio rovesciamento e difendendo i propri privilegi. Né in Inghilterra nel 1649, né in Francia nel 1793, la borghesia rivoluzionaria garanti la libertà di riunione ai fautori della monarchia e alla nobiltà quando questi raccolsero nel paese truppe straniere e “si riunirono” per organizzare un tentativo di restaurazione. Se la borghesia d’oggi, che è da lungo tempo diventata reazionaria, pretende che il proletariato garantisca in anticipo che verrà assicurata la “libertà di riunione” agli sfruttatori nonostante la resistenza che i capitalisti oppongono al proprio esproprio, i lavoratori si limiteranno a ridere di tanta ipocrisia borghese. D’altra parte i lavoratori sanno benissimo che anche nella repubblica borghese più democratica la “libertà di riunione” è una vuota frase, perché i ricchi hanno a propria disposizione i migliori edifici pubblici e privati, hanno anche abbastanza tempo libero per le riunioni e godono della protezione dell’apparato borghese di potere. Il proletariato di città e di campagna, così come i piccoli contadini, che sono la stragrande maggioranza della popolazione, non hanno né la prima, né la seconda, né la terza cosa. Finché questo è vero, l’”uguaglianza,” cioè la “democrazia pura,” è un’illusione. Per conquistare un “uguaglianza effettiva, per fare della democrazia una realtà per i lavoratori, gli sfruttatori debbono prima venir privati di tutti gli edifici pubblici e privati, e bisogna che sia dato tempo libero ai lavoratori e che la loro libertà di riunione sia difesa da lavoratori armati e non dai rampolli della nobiltà o da ufficiali provenienti dalla cerchia capitalista al comando di una truppa di soldati intimiditi. Soltanto dopo tali mutamenti è possibile parlare di “libertà di riunione”, di uguaglianza, senza farsi gioco dei lavoratori, degli operai, dei poveri. Ma nessuno può determinare questi mutamenti tranne l’avanguardia dei lavoratori, il proletariato, sconfiggendo gli sfruttatori, la borghesia.
“Libertà di stampa” è un’altra eminente parola d’ordine di “democrazia pura.” Ma i lavoratori sanno, e i socialisti di tutti i paesi l’hanno riconosciuto un milione di volte, che questa libertà è illusoria finché i migliori stabilimenti tipografici e le più grosse forniture di carta sono nelle mani dei capitalisti, e finché il capitale mantiene il proprio potere sulla stampa, un potere che in tutto il mondo si esprime tanto più chiaramente, duramente e cinicamente, quanto più sono sviluppati la democrazia e il regime repubblicano, come ad esempio in America. Per ottenere effettiva uguaglianza ed effettiva democrazia per le masse lavoratrici, per gli operai e per i contadini, bisogna prima che venga tolta ai capitalisti la possibilità di tenere scrittori al proprio servizio, di accaparrarsi case editrici e di comperare gli organi di stampa. È perciò necessario scuotersi di dosso il giogo del capitale, sconfiggere gli sfruttatori e annientarne la resistenza. I capitalisti hanno sempre dato il nome di libertà alla libertà dei ricchi di accumular profitti e alla libertà dei poveri di morire di fame. I capitalisti danno il nome di libertà di stampa alla libertà dei ricchi di comperare la stampa, alla libertà di usare la ricchezza per creare e distorcete la cosiddetta opinione -pubblica. I difensori della “democrazia pura” si rivelano una volta di più difensori del sistema sporco e corrotto di dominio dei ricchi sugli strumenti dell’educazione di massa, ingannatori del popolo che con frasi ben coniate ma assolutamente false lo distolgono dal compito storico concreto di liberare la stampa dal capitale. L’effettiva libertà e l’uguaglianza si troveranno nel sistema istituito dai comunisti, nel quale non ci sarà nessuna opportunità di diventare ricchi a spese di altri, nessuna possibilità effettiva di assoggettare, direttamente o indirettamente, la stampa al potere del denaro, dove nulla impedirà ai lavoratori (o a qualsiasi ampio gruppo di lavoratori) di avere e godere di eguali diritti, di far uso di tipografie e carta appartenenti alla società.
La storia del XIX e del XX secolo ci ha dimostrato, anche prima della guerra, che cosa significhi in realtà sotto il capitalismo questa tanto lodata “democrazia pura”. I marxisti hanno sempre sostenuto che quanto più sviluppata, quanto più “pura” è la democrazia, tanto più apertamente, duramente e implacabilmente avanza la lotta di classe, tanto più chiaramente viene in luce l’oppressione del capitale e la dittatura della borghesia. L’affare Dreyfus nella Francia repubblicana, gli scontri sanguinosi tra lavoratori in sciopero e mercenari armati da capitalisti nella repubblica libera e democratica d’America, questi e migliaia di fatti simili svelano la verità che la borghesia cerca invano di nascondere, vale a dire che in realtà il terrore e la dittatura borghese dominano la repubblica più democratica, e vengono apertamente a galla ogni volta che agli sfruttatori sembra che il potere del capitale sia messo a repentaglio.
La guerra imperialista del 1914-18 ha smascherato una volta per tutte il vero carattere della democrazia borghese in quanto dittatura della borghesia anche ai lavoratori più arretrati, anche nelle repubbliche più libere. Per arricchire un gruppo di milionari e miliardari tedeschi e inglesi, furono uccisi decine di milioni di uomini e anche nelle repubbliche più libere fu insediata la dittatura militare della borghesia. Questa dittatura militare sussiste ancora nei paesi dell’Intesa anche dopo la sconfitta della Germania. Fu la guerra, più di ogni altra cosa, ad aprire gli occhi dei lavoratori, a strappare i falsi orpelli alla democrazia borghese, a rivelare l’abisso di speculazione e di avidità di profitti durante la guerra e in connessione con la guerra. La borghesia mosse questa guerra in nome della libertà e dell’uguaglianza; in nome della libertà e dell’uguaglianza gli imprenditori di guerra aumentarono smisuratamente la propria ricchezza. Nessuno sforzo dell’internazionale gialla di Berna riuscirà a nascondere alle masse il carattere di sfruttamento della libertà borghese, dell’uguaglianza borghese e della democrazia borghese, ora finalmente smascherato.
Nel paese d’Europa in cui il capitalismo si è sviluppato al più alto grado, cioè in Germania, i primi mesi di completa libertà repubblicana che seguirono la caduta della Germania imperialista mostrarono al lavoratore tedesco e al mondo intero il vero contenuto di classe della repubblica democratico-borghese. L’assassinio di Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg è un avvenimento di significato storico mondiale non solo per il fatto che morirono tragicamente i migliori dirigenti dell’Internazionale comunista autenticamente rivoluzionaria, ma anche perché mise finalmente a nudo il carattere di classe del principale stato europeo, e, si può dire senza esagerazione, del principale stato del mondo. Se i prigionieri, cioè delle persone che sono state prese sotto la protezione del potere statale, possono essere uccisi impunemente da ufficiali e capitalisti sotto un governo di socialpatrioti, la repubblica democratica in cui questo può accadere è una dittatura della borghesia. Quelli che esprimono indignazione per l’assassinio di Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg ma non capiscono questa verità non fanno che dimostrare la propria ottusità o la propria ipocrisia. In una delle repubbliche più libere e avanzate del mondo, nella repubblica tedesca, c’è la libertà di uccidere i dirigenti del proletariato prigionieri e andare impuniti. E non può essere altrimenti finché il capitalismo rimane in piedi, perché lo sviluppo della democrazia non frena ma acutizza la lotta di classe, che ora, come risultato della guerra e dei suoi postumi, ha raggiunto il punto critico. In tutto il mondo civile i bolscevichi vengono deportati, perseguitati, imprigionati; in Svizzera, una delle repubbliche borghesi più libere, e in America, ci sono pogrom contro i bolscevichi. Dal punto di vista della “democrazia in generale,” o della “democrazia pura,” sarebbe semplicemente ridicolo che dei paesi in continuo progresso, civilizzati, democratici, armati fino ai denti, temessero la presenza di qualche decina di persone provenienti dalla Russia retrograda, affamata, rovinata, descritte come selvaggi e criminali in milioni di copie di giornali borghesi. È ovvio che un sistema sociale che può dare origine a contraddizioni così vistose è in realtà una dittatura della borghesia.
In un simile stato di cose la dittatura del proletariato non è soltanto completamente giustificata, in quanto mezzo per distruggere gli sfruttatori e vincerne la resistenza, ma è assolutamente indispensabile alla massa dei lavoratori in quanto unica difesa contro la dittatura borghese che condusse alla guerra e che si sta preparando a nuove guerre. La cosa principale che i socialisti non capiscono, incapacità che riflette la loro miopia intellettuale, la loro dipendenza dai pregiudizi borghesi, la loro slealtà politica nei confronti del proletariato, è che quando, nella società capitalista, la lotta di classe su cui essa si basa diventa più acuta, non c’è nient’altro che la dittatura della borghesia o la dittatura del proletariato. Il sogno di un’altra, terza via è il lamento reazionario della piccola borghesia. Si può trovare prova di questo nell’esperienza di più di un secolo di democrazia borghese, e, in particolar modo, nell’esperienza degli ultimi cinque anni, La stessa prova è fornita dalla teoria economica, dall’intero contenuto del marxismo, che analizza la necessità economica della dittatura borghese in ogni economia di mercato, una dittatura che non può essere abolita da altri se non dalla classe che attraverso lo sviluppo del capitalismo si sviluppa e cresce essa stessa, diventa più organizzata e potente, cioè dalla classe dei proletari.
Il secondo errore teorico e politico dei socialisti è la loro incapacità di capire che le forme della democrazia sono inevitabilmente cambiate nel corso dei secoli da quando essa comparve per la prima volta nel vecchio continente, man mano che una classe dominante cedeva il posto ad un’altra. Nelle repubbliche dell’antica Grecia, nelle città medievali, negli stati capitalisti avanzati, la democrazia ha forme diverse e scopi differenti. Sarebbe una sciocchezza senza pari presumere che la più radicale rivoluzione nella storia dell’umanità, il primo trasferimento di potere dalle mani della minoranza sfruttatrice alle mani della maggioranza sfruttata, possa aver luogo entro la struttura della vecchia democrazia parlamentare, senza i cambiamenti più radicali, senza la creazione di nuove forme di democrazia, di nuove istituzioni, di nuove condizioni per la loro utilizzazione ecc.
La dittatura del proletariato è simile alla dittatura di altre classi, poiché, come qualsiasi dittatura, nasce per la necessità di soffocare con la forza la resistenza della classe che sta perdendo il proprio potere politico. La differenza fondamentale tra la dittatura del proletariato e la dittatura di altre classi, quella dei latifondisti nel Medioevo e quella della borghesia in tutti i paesi capitalisti civilizzati, sta in questo: che, mentre la dittatura dei latifondisti e della borghesia reprime violentemente la resistenza della stragrande maggioranza della popolazione, vale a dire delle masse lavoratrici, la dittatura del proletariato è la repressione violenta della resistenza degli sfruttatori, cioè della minoranza della popolazione, latifondisti e capitalisti. Ne consegue inoltre che la dittatura del proletariato deve inevitabilmente comportare non soltanto un mutamento nelle forme e nelle istituzioni della democrazia, ma un genere di mutamento che si risolve in una estensione delle effettive consuetudini democratiche, ad un livello mai prima conosciuto nel mondo, alle classi lavoratrici che il capitalismo asserviva. E, di fatto, tutte le forme assunte dalla dittatura del proletariato, che è già stata realizzata, cioè il potere sovietico in Russia, i consigli operai in Germania, i comitati degli Shop Stewards, ed altre istituzioni analoghe ai soviet in altri paesi, rendono reali i diritti e i privilegi democratici per le classi lavoratrici, cioè per la stragrande maggioranza della popolazione; fanno intendere che diventa veramente possibile fare uso di questi diritti e privilegi in un modo e ad un livello che non fu mai neppure vagamente possibile nella migliore repubblica democratico-borghese. L’essenza del potere sovietico sta in questo, che, stabile ed unico fondamento dell’intero potere statale, dell’intero apparato statale, è l’organizzazione di massa proprio di quelle classi che furono oppresse dai capitalisti, cioè degli operai e dei semiproletari (contadini che non utilizzano manodopera e che sono sempre costretti a vendere almeno parte del proprio lavoro). Le masse, che anche nelle repubbliche borghesi più democratiche, in cui per legge avevano eguali diritti, ma in cui era di fatto impedito loro con mille modi e trucchi di prendere parte alla vita politica e di fare uso dei diritti e delle libertà democratiche, ora sono indotte ad una partecipazione costante, libera e decisiva all’amministrazione democratica dello stato.
L’uguaglianza dei cittadini, senza distinzioni di sesso, credo religioso, razza, nazionalità, che la democrazia borghese promise sempre ovunque ma che di fatto non mantenne mai, e che non poteva mantenere a causa del dominio del capitalismo, è stata in un sol colpo realizzata completamente dal regime sovietico, o dittatura proletaria, perché soltanto il potere dei lavoratori che non hanno interessi nella proprietà privata dei mezzi di produzione e nella battaglia per la loro distribuzione e redistribuzione, è in grado di farlo.
La vecchia democrazia, cioè la democrazia borghese e il parlamentarismo, era organizzata in modo che le classi lavoratrici erano proprio le più estranee al meccanismo amministrativo. Invece il potere sovietico, la dittatura proletaria, è organizzato in modo da portare a contatto del meccanismo amministrativo le masse operaie. Il compenetrarsi del potere legislativo ed esecutivo nell’organizzazione sovietica dello stato serve allo stesso scopo a cui tende la sostituzione dell’unità di produzione, officina o fabbrica, al collegio elettorale territoriale.
L’esercito non fu uno strumento di repressione soltanto sotto il regime monarchico; lo è ancora in tutte le repubbliche borghesi, anche nelle più democratiche. Soltanto il potere sovietico, in quanto unica organizzazione statale costituita da tutte le classi oppresse dai capitalisti, è in grado di abolire la dipendenza dell’esercito dal dominio borghese e di fondere realmente il proletariato con l’esercito, di armate il proletariato e disarmare la borghesia, senza di che la vittoria del socialismo è impossibile.
L’organizzazione sovietica dello stato è destinata a dare al proletariato, in quanto classe che fu resa più compatta e cosciente dal capitalismo, il ruolo principale nello stato. L’esperienza di tutte le rivoluzioni e di tutti i movimenti delle classi asservite, l’esperienza del movimento socialista mondiale, ci insegna che soltanto il proletariato è in grado di unire gli strati sociali dispersi e arretrati della popolazione lavoratrice e sfruttata e di farli progredire.
Soltanto l’organizzazione sovietica dello stato è in grado di distruggere, d’un sol colpo e completamente, il vecchio apparato, cioè l’apparato borghese della burocrazia e della magistratura, che sotto il capitalismo, anche nelle repubbliche più democratiche, rimase in piedi e dovette rimanervi, dato che di fatto era l’ostacolo maggiore che si frapponeva alla realizzazione di una effettiva democrazia. La Comune di Parigi fece il primo passo storico a livello mondiale in questa direzione, il regime sovietico il secondo.
L’abolizione del potere statale è la mèta di tutti i socialisti, incluso, soprattutto, Marx. Se questa meta non viene raggiunta la vera democrazia, cioè libertà ed uguaglianza, non è raggiungibile. Ma di fatto soltanto la democrazia sovietica e proletaria conduce a questa meta, perché incomincia subito a prepararsi per la totale dissoluzione di qualsiasi tipo di stato inducendo le organizzazioni di massa dei lavoratori a una partecipazione costante e incondizionata all’amministrazione statale.
La completa bancarotta dei socialisti che si sono riuniti a Berna, la completa mancanza di comprensione delle novità, cioè della democrazia proletaria, che essi hanno dimostrato, emergono con chiarezza da quanto segue. Il 10 febbraio 1919 Branting dichiarò chiusa la conferenza internazionale dell’internazionale gialla a Berna. L’11 febbraio 1919 e i suoi aderenti a Berlino pubblicarono su “Freiheit” un appello degli “indipendenti” al proletariato. In questo appello si ammetteva il carattere borghese del governo Scheidemann. Esso veniva biasimato per il fatto di voler abolire i consigli operai, che venivano definiti “portatori e difensori” della rivoluzione, e veniva avanzata la proposta di legalizzare i consigli, di dare loro diritti statutari, di dare loro il diritto di veto sulle decisioni dell’Assemblea nazionale e di deferire la questione in discussione ad un referendum nazionale. Una proposta di questo tipo rispecchia la completa bancarotta intellettuale dei teorici che difendono la democrazia e non ne hanno capito il carattere borghese. Il ridicolo tentativo di unire il sistema dei consigli, cioè la dittatura del proletariato, con l’Assemblea nazionale, cioè la dittatura della borghesia, così come le loro concessioni codarde alle forze irresistibilmente crescenti della nuova democrazia proletaria, smascherano definitivamente la povertà mentale dei socialisti gialli e dei socialdemocratici, la loro tattica reazionaria e piccolo borghese.
La maggioranza dell’internazionale gialla di Berna, che condannò il bolscevismo ma non osò, per timore delle masse operaie, mettere formalmente ai voti una delibera su questa linea, agi correttamente dal punto di vista di classe. Questa maggioranza è tutt’uno con i menscevichi e i socialrivoluzionari russi e con gli Scheidemann della Germania. I menscevichi ed i socialrivoluzionari russi, che si lagnano di persecuzioni da parte dei bolscevichi, cercano di nascondere il fatto che queste persecuzioni furono provocate dalla loro partecipazione alla guerra civile al fianco della borghesia contro il proletariato. Esattamente allo stesso modo gli Scheidemann e il loro partito in Germania presero parte alla guerra civile dalla parte della borghesia contro i lavoratori. È perciò del tutto naturale che la maggioranza dei partecipanti all’internazionale gialla di Berna si siano rivelati favorevoli alla condanna dei bolscevichi. Ma questo non significava una difesa della “democrazia pura”; era invece l’autodifesa di gente che si accorgeva di essere al fianco della borghesia contro il proletariato nella guerra civile. Per questi motivi la decisione della maggioranza dell’internazionale gialla deve essere definita corretta dal punto di vista di classe. E il proletariato non dovrebbe aver paura della verità, ma guardarla diritto in faccia e trarre le conclusioni politiche che ne conseguono. In base a queste tesi e sentite le relazioni dei delegati di vari paesi, il congresso dell’Internazionale comunista dichiara che i compiti principali dei partiti comunisti, nei paesi in cui il potere sovietico non è ancora costituito, sono: