di Giovanni Moriello
Negli ultimi venti anni la scuola italiana è cambiata molto, affascinata dalle sirene della globalizzazione e dal baluginare di un falso progresso. Senza alcuna differenza apprezzabile, tutti i governi, di destra e di sinistra, che si sono finora alternati, hanno lasciato il segno con piccole o grandi riforme, e hanno sempre sostenuto l’inevitabilità dei loro interventi con la necessità di adeguare il Paese ai tempi che correvano: anche l’Italia doveva salire sul treno della globalizzazione e, al di là di più o meno aurei proclami, lo smantellamento della scuola pubblica rappresentava (e rappresenta ancora) un sacrificio necessario.
Dietro la retorica con la quale chi ha finora governato si è avvicinato al mondo dell’istruzione, si sono sempre nascoste intenzioni assai malevoli. La ratio profonda di tutte le riforme fatte sulla pelle dell’istituzione scolastica, sarebbe incomprensibile se noi non inserissimo queste all’interno di una dimensione storico-politica di più ampio respiro, sempre riconducibile, come tutti i fenomeni della nostra epoca, alla lotta classista tra borghesia e proletariato. Con la caduta dell’URSS e la sconfitta del Comunismo, il Capitale mondiale ha esteso il suo dominio mercantilistico ovunque, creando quella rete di interessi e conflitti che noi chiamiamo globalizzazione; e la borghesia, col dominio del denaro, ha potuto impossessarsi del potere in ogni angolo del globo, conducendo una feroce lotta politica, sociale e culturale, contro tutto ciò che rappresentasse un ostacolo al suo dominio di classe. In Europa, seduta sugli scranni dei parlamenti nazionali o di Bruxelles, essa ha sparato a zero contro tutto: lavoro, stato sociale, storia, lingua, identità, cultura, ogni cosa è stata uniformata, semplificata e resa merce da mercato; le barriere sono cadute affinché il prodotto umano potesse essere venduto ovunque e alle stesse condizioni; le classi subalterne sono state minacciate con la fame e la miseria.
Fenomeni simili si sono verificati anche in Italia, specie dalla caduta del PCI in poi. Basti pensare a tutta la legislazione sul lavoro degli ultimi trent’anni, alla privatizzazione di servizi pubblici quali i trasporti e le telecomunicazioni, all’aziendalizzazione della sanità pubblica e della scuola, colpevole, quest’ultima, di avere una forte impronta umanistica e di essere poco incline alla ricerca dell’utile. Su di essa, poi, si sono accaniti in molti: Bassanini, Berlinguer, Moratti, Gelmini, Giannini, tutti hanno sentito il dovere di picconarla poco a poco per introdurvi le logiche del mercato e, dato il suo particolare ruolo sociale, anche per compiere una raffinata operazione di ingegneria culturale sulle menti delle nuove generazioni.
In questi ultimi mesi il MIUR è stato oggetto di molte critiche (più che condivisibili) sulla didattica a distanza e sulle Linee Guida emanate per la ripresa delle lezioni a settembre. Da tutti, persino dall’Associazione Nazionali Presidi, queste ultime sono state giudicate troppo vaghe e farraginose. Giustissimo. Chi potrebbe dire il contrario? Ma buona fede, coerenza ed onestà non dovrebbero mancare anche quando si muovono accuse come queste. Sono più di vent’anni che il Ministero non fa altro che emanare linee guida, e questa politica è perfettamente coerente con il totem che tutti, destra e sinistra, hanno contribuito ad erigere: l’autonomia scolastica. Questa, introdotta dalla legge Bassanini nel 1997, insieme poi all’alternanza scuola lavoro e alla legge 170 di Renzi, ha trasformato la scuola in una vera e propria azienda, a capo della quale vi è un dirigente manager col suo entourage di efficientissimi collaboratori, del quale spesso fanno parte anche docenti che si vendono quotidianamente per pochi spiccioli in più. Il sistema, messo oggi per la prima volta veramente alla prova, ha mostrato tutti i suoi limiti. La scuola-azienda avrebbe dovuto essere molto più efficiente di quella tradizionale e invece è stata un disastro. Basti pensare che non è riuscita neanche a garantire il diritto allo studio di tutti gli studenti e che, a settembre, non ne garantirà nemmeno quello alla salute. E allora a cosa è servita l’autonomia scolastica e tutto quello che si è trascinata dietro? La risposta è semplice: alla distribuzione di premi, benefici e prebende, di cui hanno beneficiato innanzitutto quei dirigenti scolastici che ora si indignano e fanno la voce grossa! Per cui le critiche che oggi muove l’ANP sono veramente opportunistiche e non metto affatto in discussione questa sorta di corruzione di Stato!
Dato tutto ciò, le lotte che condurremo da settembre in poi dovranno essere sia contingenti sia di sistema, e dovranno puntare, in ultima istanza, ad una radicale critica della scuola-azienda, partendo dalla legge Bassanini e arrivando fino alla legge 170. L’autonomia avrebbe dovuto adeguare la scuola ai tempi e, di conseguenza, ne avrebbe dovuto accrescere il prestigio sociale, invece l’apprezzamento e la fiducia di cui essa oggi gode presso famiglie e studenti sono molto bassi. E questo perché il ruolo da essa giocato è divenuto via via meno dignitoso. Mentre in passato si occupava di fornire ai giovani una formazione completa sotto il profilo non solo pratico, ma anche culturale, morale, etico, civile, oggi è invece ridotta ad essere semplicemente un’agenzia di formazione per l’inserimento degli alunni nel mondo del lavoro dipendente ed è asservita ad una sotto-cultura borghese che la vuole succube delle logiche del mercato. Bisogna dirlo con forza: basta con la scuola prostituta del profitto! Basta con la fucina di giovani ignoranti e servi del sistema! La scuola dovrebbe insegnare la vita e non essere subalterna ad essa! Anche gli insegnanti dovrebbero essere consapevoli di tutto ciò, e invece si lasciano abbindolare dalla moneta falsa spacciata dai loro padroni; difendono questa cultura della competizione che premia il più zelante dei lacchè e punisce gli altri perché non hanno saputo fare altrettanto; lavorano gratis affinché il padrone li blandisca; insegnano che siamo tutti uguali, ma non mancano di mettere gli alunni in lotta tra di loro! A settembre la guerra al Capitalismo passerà anche dalle cattedre, e i docenti, per onestà intellettuale e amore della loro professione, dovranno sostenere una grande battaglia per una scuola veramente libera e veramente autonoma. A tal proposito, riportiamo quanto consiglia loro lo storico Alessandro Barbero in una sua recente intervista (https://www.gildavenezia.it/alessandro-barbero-a-oggiscuola-linsegnamento-e-il-piu-frustrante-dei-mestieri-moderni/ ):
«Cominciare a combattere apertamente tutto ciò che in cuor loro riconoscono come offensivo, inutile, frustrante, senza avere il coraggio di dirlo. Non compilare le scartoffie superflue, non andare alle riunioni che fanno perdere tempo, togliere il saluto a chi parla di meritocrazia, isolare nel disprezzo i dirigenti scolastici che si prestano alla distruzione della scuola e all’umiliazione degli insegnanti; e queste cose dirle e spiegarle ai ragazzi e alle loro famiglie. E’ una battaglia e le battaglie si rischia di perderle, ma quando è il momento bisogna comunque combatterle – o arrendersi.»