La NATO si oppone al “disarmo nucleare” mentre cresce la corsa agli armamenti

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La NATO si oppone al “disarmo nucleare” mentre cresce la corsa agli armamenti

*di Salvatore Vicario

Nei giorni in cui si sollevano assiduamente grida preoccupate e allarmate sul pericolo nucleare della Corea del Nord che minacerebbe l’esistenza del pianeta, passa quasi del tutto in silenzio la notizia che la NATO si sta opponendo fermamente al “disarmo nucleare”. Mentre il presidente statunitense, Trump, minacciava di “distruggere totalmente la Corea del Nord”, a ragione considerata una vera e propria “dichiarazione di guerra nucleare” da Pyongyang, alle Nazioni Unite si sono aperte, il 20 settembre, le sottoscrizioni del cosiddetto Trattato per la Proibizione delle Armi Nucleari, votato da una maggioranza di 122 stati che impegna a non produrre né possedere armi nucleari, a non usarle né a minacciare di usarle, a non trasferirle né a riceverle direttamente o indirettamente, con l’obiettivo della loro totale eliminazione.

Le nazioni che lo hanno già firmato sono 50 (tra questi anche Cuba, Palestina e Venezuela) di cui 3 lo hanno già ratificato (Guyana, Vaticano, Thailandia). Tra gli Stati che non lo hanno firmato spiccano, naturalmente, gli USA, ma la notizia ancor più emblematica è che la NATO si oppone fermamente alla firma del Trattato da parte dei suoi paesi membri. Nello stesso giorno, 20 settembre, il Consiglio nord-atlantico (formato dai rappresentanti dei 29 stati membri) ha rilasciato infatti una dichiarazione nella quale sostiene che «un trattato che non impegna nessuno degli stati in possesso di armi nucleari non sarà effettivo, non accrescerà la sicurezza né la pace internazionali, ma rischia di fare l’opposto creando divisioni e divergenze». Chiarisce quindi senza mezzi termini che «non accetteremo nessun argomento contenuto nel trattato» proseguendo con una sottile ma efficace minaccia: «Chiameremo i nostri partner e tutti i paesi intenzionati ad appoggiare il trattato a riflettere seriamente sulle sue implicazioni». Così, di fatto, i parlamenti nazionali dei paesi NATO, che stando alle narrazioni democratico-borghesi rappresenterebbero la “sovrana volontà popolare”, non avranno alcuna voce in capitolo su un argomento di tale portata, a maggior ragione, come bombardano i mass media, in questi giorni di “grandi preoccupazioni per i popoli del mondo”. Ma d’altronde il mostro tirannico antidemocratico di cui aver paura è la Corea del Nord.

Il Consiglio nord-atlantico ribadisce che «scopo fondamentale della capacità nucleare della Nato è preservare la pace e scoraggiare l’aggressione» e che «finché esisteranno armi nucleari, la Nato resterà una alleanza nucleare». Assicura infine «il forte impegno della Nato per la piena applicazione del Trattato di non-proliferazione nucleare».  Siamo al grottesco… da un lato si critica il TPAN per non esser vincolante e dall’altro dice di impegnarsi per l’applicazione del TNP che non solo non è vincolante ma è bellamente disatteso, anche dalla sua principale potenza, gli USA. In particolare l’art. VI sul “disarmo nucleare totale”. Ed è proprio questa situazione di continua violazione del TNP ad aver prodotto la situazione attuale con l’aumento delle armi nucleari, oggi circa 70.000 (di cui gli USA detengono 7.000 testate), e degli Stati nucleari da 6 a 10. Il paradosso sta nel fatto che la NATO è la principale artefice di ingerenze, guerre e interventi imperialisti in corso e la sua principale potenza (e guida), ossia gli USA, è l’unica a non aver firmato nemmeno la rinuncia ad utilizzare per primo l’attacco nucleare nei confronti di un altro paese (oltre ad averla effettivamente già usata). Altro che deterrenza e pace, queste semmai, vista le attuali condizioni, sono il motivo per cui un paese come la Corea del Nord si è dovuta dotare per prevenire tale minaccia vista che l’opzione, l’unica realmente percorribile, del disarmo reciproco è stata sempre e costantemente rifiutata dagli USA.

Un esempio lampante di violazione del TNP è quello, tra l’altro, delle bombe nucleari statunitensi B61 – un modello centinaia di volte più distruttivo di quelli adoperati ad Hiroshima e Nagasaki – schierate in cinque paesi non-nucleari – Italia, Germania, Olanda, Turchia e Belgio, a cui si somma l’installazione dello sistema THAAD. Nel nostro paese, con il sostegno dei vari governi, per ultimi Renzi e Gentiloni con l’impegno della Ministra Pinotti, sono collocate circa 70 bombe nucleari statunitensi (su 180 dislocate nel territorio europeo, quasi la metà) a cui si aggiunge che la NATO sta addestrando dei piloti italiani per l’uso delle armi nucleari come previsto nell’accordo di condivisione nucleare.

Nessuna illusione dunque, anche perché l’ONU, e le illegali sanzioni alla Corea del Nord ne sono una ennessima dimostrazione, non è il tanto decantato strumento neutrale per garantire i diritti dei popoli e delle nazioni, né di salvaguardia della pace, tutt’altro, è uno strumento per favorire gli interessi economici e politici dei centri imperialisti, rispecchiando i rapporti di forza della natura degli Stati che lo compongono.

La corsa agli armamenti: l’ammodernamento e potenziamento dell’arsenale nucleare

Le principali potenze imperialistiche stanno intraprendendo una moderna corsa agli armamenti, che riguarda anche l’ammodernamento dell’arsenale nucleare per le nazioni che lo possiedono che stanno investendo massicciamente per una nuova generazione di ordigni che per i suoi contenuti tecnologici e dottrine rende sempre più plausibile una guerra termonucleare. Su tutti gli USA che prevedono un investimento di 1.000 miliardi di dollari in 30 anni in un ambizioso rinnovamento della propria panoplia nucleare che riguarderà interventi sull’ intera triade terrestre, aerotrasportata e sottomarina: la sostituzione di 14 sommergibili lanciatori della classe Ohio, l’aggiornamento dei bombardieri B-52 e B-2 in servizio e lo sviluppo di un nuovo B-21 con tecnologia stealth, l’ammodernamento dei sistemi Trident D-5 e Minuteman III, il completamento dei sistemi spaziali d’allerta avanzata e nuove strutture di comando e controllo. Il primo gioiello di questo nuovo arsenale è la bomba da crociera B61-12, in grado di essere armata con testata nucleare o convenzionale, a potenza variabile e altissima precisione.

Anche la Russia (che detiene il record di testate nucleari: 7.290) si trova in un processo simile, i nuovi SS-27-2 o Yars, missili intercontinentali che possono portare fino a 4 testate Mirv, cioè in grado di rientrare separatamente nell’atmosfera e puntare a diversi obiettivi, gli SS-30 Sarmat a dieci testate, una nuova generazione di sottomarini lanciatori in sostituzione degli 11 attualmente in servizio e la modernizzazione dei bombardieri Tu-160 e Tu-95MS. Non è da meno la Cina che sostituirà i suoi vettori a testata unica con una nuova generazione a testata multipla e propulsione solida. I nuovi sottomarini lanciatori, successori della classe Triomphant, dovrebbero entrare in servizio tra 2035 e il 2048.

Anche la Francia, pur garantendo il mantenimento del livello attuale di testate atomiche (300), modernizzerà i suoi missili intercontinentali M51 e gli ASMP a gittata media aerotrasportati dai Rafale. Quest’ultimi saranno sostituiti entro il 2040, così come la portaerei Charles de Gaulle. Nel frattempo anche il governo britannico (250 testate nucleari) ha annunciato la costruzione di 4 nuovi sottomarini nucleari, in sostituzione di quelli della classe Vanguard, per far fronte all’«aumento degli avversari potenziali e alla modernizzazione delle loro forze». L’ investimento è di 46 miliardi di euro. Si tratta in tutti i casi di paesi che hanno imposto durissime sanzioni alla Corea del Nord.

Incremento della spesa militare

Nel 2018, gli USA, spenderanno 640 miliardi di euro per l’acquisto di nuove armi, comprese quelle strategiche per l’attacco nucleare, con un incremento del 15% rispetto al 2017 delle spese per le armi nucleari, nell’ambito della volontà espressa da Trump di incrementare del 10% la spesa militare complessiva a cui segue l’incremento cinese del 7%, del Giappone che sta portando avanti un costante processo di riarmo incrementando per il sesto anno consecutivo il budget militare del +2.5%, il processo di ulteriore militarizzazione dell’UE ecc. A questo si aggiunge la forte pressione di Trump agli alleati della NATO per far incrementare le rispettive spese militari al 2% dei propri PIL come d’altronde prevede l’accordo voluto da Obama. Un’escalation che, ovviamente, riguarda quindi anche l’imperialismo italiano che accrescerà il suo budget militare da 64 a 100 milioni di euro al giorno. Tutti soldi che, democraticamente, provengono dai tagli alla spesa sociale, ai diritti e servizi sociali fondamentali, dai soldi prelevati ai lavoratori per esser destinate alla protezione degli interessi e profitti dei grandi monopoli nella competizione internazionale e che quotidianamente determinano lo sfruttamento nei posti di lavoro e quelle politiche che ci privano sempre più di tutto, compreso anche di un lavoro, di una casa o delle cure sanitarie.

Nel 2016 il nostro paese si è attestato al 12° posto nel mondo per spesa militare che per il 2017 ammonterà a 23,4 miliardi di euro (dati Mil€X 2017) con un forte incremento del 20,8% rispetto al 2006. Il 24% (15 milioni al giorno) di questa spesa serve ad acquistare nuovi armamenti, con un aumento del 10% rispetto all’anno scorso. A sostenere circa la metà della spesa complessiva per gli armamenti è il Ministero per lo Sviluppo Economico e quindi ufficialmente non viene considerata spesa militare: nel 2016 il MISE ha destinato 2,75 miliardi di euro, pari al 73% dei fondi destinati alla politica industriale e piccole e medie imprese, a Finmeccanica, Fincantieri ed altre aziende direttamente coinvolte nei programmi di armamenti. Stiamo parlando dello stesso Ministero che ha condannato al licenziamento di 1666 lavoratori di Almaviva e ne è artefice di altre migliaia in Alitalia. Stiamo parlando dello stesso governo e dello stesso Stato, che promuove nuovi e continui tagli al bilancio sulla pelle dei lavoratori e dei settori popolari rubando loro parte della ricchezza che producono per investire nella corsa agli armamenti nell’ambito della competizione internazionale inter-imperialista con proiezione sia esterna che interna con la crescente repressione.

«Il militarismo moderno è un prodotto del capitalismo. In entrambe le sue forme esso è una «manifestazione vitale» del capitalismo: come forza militare impiegata dagli Stati capitalistici nei loro conflitti esterniMilitarismus nach aussen», come dicono i tedeschi) e come arma di cui le classi dominanti si servono per reprimere ogni specie di movimento (economico e politico) del proletariato Militarismus nach innen»)» ci ricorda Lenin.

La corsa agli armamenti, cioè la militarizzazione dell’economia e della società, che conferma la tendenza verso la guerra generale a cui tutte le potenze si stanno preparando, assicurano alla borghesia ingenti profitti e da sempre costituiscono delle vie d’uscita per risolvere le più gravi contraddizioni e crisi interne al sistema capitalistico a scapito dei popoli, e dei lavoratori in primis, naturalmente.

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