La Francia ha nazionalizzato i cantieri della Stx, prossimi all’acquisizione da parte della compagnia italiana Finmcantieri. I cantieri di proprietà della società coreana in liquidazione, sarebbero stati acquisiti secondo l’accordo da Fincantieri al 48%, mentre il 7% sarebbe andtao alla Cassa di risparmio di Trieste e il 12% alla francese Dcns, con la quale Fincantieri collabora da anni nel settore delle unità militari di superficie, mentre al governo francese sarebbe rimasto il 33%. L’accordo è stato bloccato dal governo Macron che ha esercitato l’opzione della nazionalizzazione. Senza dubbio uno schiaffo al governo italiano che nell’impresa aveva investito molto, che avviene a pochi giorni dal vertice sulla Libia, altro appuntamento che non è piaciuto all’esecutivo di Gentiloni.
Ma davvero la spiegazione di uno scontro tra Francia e Italia può essere esaustiva per spiegare l’accaduto, come la totalità delle forze politiche italiane ha accettato? La questione è che la Francia difende la sua produzione nazionale (i canteri erano già in proprietà di una società sudcoreana) e l’Italia no? I fatti raccontano una realtà un po’ diversa, in cui proprio uno scontro tra capitale in maggioranza italiano, sembra aver avuto un ruolo fondamentale nell’evoluzione della vicenda. Ovviamente questo ragionamento non lo troverete sui giornali italiani, né nelle analisi di una certa sinistra che sembrano aderire tutti alla chiamata nazionale alle armi “nell’interesse delle aziende italiane”.
Nessuno in particolare sembra essersi accorto delle mosse di un altro grande colosso navale, la Mediterranean Shopping Company, che tutti conosciamo come MSC. Per mesi la MSC ha cercato di entrare nella trattativa sulla cessione dei cantieri di Saint Nazaire, puntando ad un’intesa con la statunitense Royal Carribean International (RCCL), senza tuttavia riuscire a scalfire la posizione di Fincantieri. MSC e RCCL insieme sono le maggiori clienti dei cantieri di Saint Nazaire. Concentriamoci un attimo sulla prima. La MSC ha un fatturato annuo che sfiora i 30 miliardi annui, Oggi la MSC è la seconda compagnia merci più grande del mondo dopo la danese Maersk-Line, gestendo oltre 400 navi portacontainer nel mondo, oltre ad avere il controllo di MSC-crociere, una delle principali società al mondo nel campo. Per fare un paragone Fincantieri, che pure è un colosso mondiale nel settore della cantieristica navale, ha un fatturato annuo di 4,18 miliardi nel 2016. Circa un settimo della MSC.
La MSC batte fiscalmente bandiera svizzera, ma è di proprietà italiana. L’amministratore delegato e fondatore è l’italiano Gianluigi Aponte, e il restante 49% delle azioni è di proprietà della società italiana Ignazio Messina & co. La MSC costruisce le sue navi in diversi cantieri. Tra i suoi fornitori Fincantieri e i cantieri navali francesi di Stx France. Da qui un discreto interesse per una trattativa in cui MSC ha cercato di entrare in questi mesi, senza grande sostegno dal governo italiano.
Pochi mesi fa la MSC è rimasta a bocca asciutta nell’affare siglato tra Fincantieri e la e China State Shipbuilding Corporation (CSSC), gigante della cantieristica cinese, e il distretto di Baoshan, per creare un parco della cantieristica navale in Asia, che darà a Fincantieri uno sbocco fondamentale nel mercato del dragone asiatico e in tutta l’area del pacifico, con ripercussioni globali. Per di più tra l’insieme degli accordi siglati, alcuni coinvolgono la Carnival Corporation, società a capitale anglo-statunitense, la più grande compagnia del mondo nel settore delle crociere e partner commerciale della CSSC e, grazie all’accordo, anche di Fincantieri, ma diretta concorrente della MSC nel settore crocieristico. A benedire l’accordo, poche settimane fa, niente di meno che Mattarella e Xi Jimping con una cerimonia ufficiale.
La mossa ovviamente non è andata giù a MSC. Gianluigi Aponte rilascia un’intervista al quotidiano francese Le Monde in cui non le manda a dire, e mette sul chi va la il governo francese: «L’accordo di Fincantieri in Cina ci spaventa. Il governo italiano ha commesso un grave errore autorizzando Fincantieri, che è un’azienda pubblica, a creare questa società comune in Cina malgrado il nostro avvertimento. Abbiamo sottolineato il rischio di fuga all’estero di know how col governo francese. François Hollande aveva capito bene il problema, così come Emmanuel Macron» A fare copia incolla della dichiarazione dell’ad della società navale niente meno che il portavoce del governo francese Christophe Castaner:«Stx fa parte degli interessi nazionali sia per i dipendenti che rappresenta sia per la particolarità di questi cantieri, che hanno un know-how unico». Ma quello che più interessante dell’intervista di Aponte è una richiesta praticamente esplicita al governo francese. «Se fossimo azionisti, così come l’altro grande cliente Royal Caribbean – dichiara l’ad di MSC a Le Monde – faremmo di tutto affinché Fincantieri non saccheggi Saint-Nazaire, né possa trasferire tecnologia all’estero o privilegiare i propri stabilimenti danneggiandone altri in Francia».
Districato questo quadro, la nazionalità c’entra davvero poco. Interessi divergenti di grandi monopoli italiani di primissimo piano a livello internazionale, con alleanze con altrettante società a capitale internazionale di livello primario. Non una semplice partita calcistica tra Italia e Francia come i giornali e, anche troppi a sinistra, cercano di far apparire. E soprattutto è ora che anche a sinistra si archivi il mito dell’Italia colonia, di un capitalismo di secondo ordine, che è da sempre una lamentela eccezionale per far coalizzare un sentire comune popolare verso gli interessi di settori del proprio capitale. Un’analisi attenta della vicenda dei cantieri di Saint Nazaire dice al contrario che grandissime aziende italiane di primissimo piano a livello internazionale, con alleanze trasversali con aziende francesi, cinesi, statunitensi e inglesi si sono contese l’affare, competendo a pari livello tra di loro. Lo stesso che accade per la Libia, e in tutto il mondo.Gli stati intervengono a protezione di questi interessi contrastanti, e non sempre, in un’economia globalizzata, gli interessi di settori dei vari capitali nazionali riescono a trovare un’unità nazionale.