La pandemia e la lotta di classe

Non si ferma la lotta dei lavoratori degli appalti per la pulizia delle scuole
aprile 23, 2020
L’Umbria in mano alla Lega e i tagli alla sanità pubblica
aprile 24, 2020

La pandemia e la lotta di classe

di Sabrina Cristallo

 

Sul terreno della crisi pandemica si gioca una partita tra classi opposte, è arrivato il momento di preparare la controffensiva perché il nostro avversario non perde tempo.

Al di là della retorica della ripartenza necessaria, la fase 2, così come è stata pensata per tempistica e modalità, instaura un chiaro presupposto che ci indica quale direzione il regime capitalista intende intraprendere per ristrutturarsi nel futuro post-pandemico.

Nonostante l’emergenza sanitaria abbia portato alla luce le falle del capitalismo e i suoi gravi limiti nella salvaguardia del benessere collettivo e nonostante ci abbia fornito un buon criterio di confronto rispetto, invece, alla superiorità dimostrata da quei paesi considerati “paesi canaglia” per il loro sistema economico differente, il sistema capitalistico lavora per rinnovarsi. Un rinnovamento che non ha niente a che vedere con l’auspicabile miglioramento delle politiche sociali, a partire dal rafforzamento del sistema sanitario nazionale, protagonista indiscusso nella battaglia ancora in atto contro il coronavirus.

Un rinnovamento che mira invece a concentrare maggiori ricchezze e socializzare i costi della crisi, nonché distanziare le persone.

Uno scenario evidenziato dalle migliaia di licenziamenti che stanno avvenendo durante l’epidemia, dall’impossibilità per la stragrande maggioranza di accedere a quei pochi sostegni al reddito erogati fin qui dal governo, dalle multe che ricadono sulle spalle dei cittadini e dagli enormi sacrifici e rischi che corrono i sanitari pubblici e gli altri essenziali e tutti quei lavoratori della produzione non essenziale (o “essenziale” per deroga) che non hanno conosciuto il lockdown o si apprestano a tornare sui luoghi di lavoro con misure di sicurezza inadeguate o inesistenti.

La fase 2 si caratterizza per la riapertura dei luoghi di lavoro affiancata da misure stringenti che incidono sulla vita delle persone e dal distanziamento sociale. Ma se possiamo assembrarci per produrre e lavorare in sicurezza allora possiamo anche organizzarci in sicurezza e riprendere la nostra quotidianità in sicurezza. E invece la vita sociale delle persone risulta essere qualcosa di superfluo, di sacrificabile per il bene supremo dell’economia di mercato.

Il sogno proibito di un sistema fondato sul profitto diventa sempre più tangibile: lavorare, consumare, morire.

Ed ecco che, di concerto, sentiamo levarsi qualche voce che racconta la necessità di una nuova urbanistica, rigorosamente dal volto “pulito” della green economy, come afferma il professore ordinario di progettazione ambientale della Sapienza di Roma, Fabrizio Tucci, “Gli spazi fisici sono espressione della gente. Se le abitudini e le esigenze delle persone mutano, cambiano anche gli spazi” e continua “il peso della città si è spostato su uno spazio residenziale diventato plurifunzionale“. Insomma, proposte che parlano di attrezzare e ampliare balconi e cortili privati allo scopo di destinarvi la maggior parte del nostro tempo libero, adeguare le abitazioni ad un possibile incremento dello smart working – il quale porterebbe a minori possibilità di organizzazione tra i lavoratori (vedi qui) – o addirittura prevedere dispositivi distanziatori permanenti negli uffici e l’abolizione degli spazi open space privilegiando l’uso delle tecnologie, o ancora, concentrare nei quartieri tutto l’indispensabile per evitare grandi spostamenti e assembramenti in aree pubbliche che dovranno essere ridefinite.

A fare eco a tale scenario, si aggiunge una dichiarazione decisamente esplicita dell’assessore all’Ambiente del municipio di Ostia, Alessandro Ieva, il quale, in attesa che il governo dia indicazioni riguardo l’inizio o meno della stagione balneare, valuta – o forse suggerisce – quali potrebbero essere le misure da adottare «Credo che se gli stabilimenti hanno bisogno di lavorare, di ripartire pur con una serie di restrizioni, le spiagge libere al contrario non sono essenziali».

Facendo leva sulla paura più grande dell’essere umano, quella di ammalarsi fatalmente e perdere la propria vita, la pandemia viene usata per limitare libertà e diritti e per veicolare un messaggio evidente: tutto ciò che è fruibile universalmente, tutto ciò che non è sottoposto alla supervisione e gestione privata è potenzialmente pericoloso dal punto di vista della sicurezza sanitaria e va rivisto o militarizzato.

Il controllo privato, dunque, rischia di assumere ora una doppia valenza nel discorso pubblico: se finora la narrazione complessiva indicava tutto ciò che rimane protetto dalle grinfie del mercato – quel che resta dello Stato sociale – come invecchiato e di scarsa qualità, adesso gli spazi pubblici diventano addirittura qualcosa di totalmente fuori controllo, delle vere e proprie bombe epidemiche ad orologeria.

Sappiamo, però, oggi con maggiore forza, a cosa conduce la privatizzazione. Non dimenticheremo le migliaia di persone decedute in pochi mesi a causa di decenni di scelte politiche precise che hanno portato all’indebolimento mirato della sanità pubblica e di tutto quello che presentava una barriera alla commercializzazione.

Il sistema in cui viviamo è venuto meno da anni al compromesso postbellico che ci doveva garantire un’esistenza dignitosa e servizi di primaria necessità accessibili a tutti. Adesso sta a noi organizzarci per trasformare questa crisi in un processo di totale messa in discussione di questo sistema irrecuperabile.

Prima che sia troppo tardi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *