di Graziano Gullotta
Pochi giorni fa l’istituto di ricerca di Credit Suisse ha pubblicato il Global Wealth Report 2017, l’ultimo resoconto annuale sulla ricchezza del pianeta. Questo documento si basa sull’analisi dei dati di 4,8 miliardi di adulti, attraversando continenti e classi sociali.
A dieci anni dalla più grande crisi economica del sistema capitalistico dopo quella del 1927 (per alcuni osservatori quella del 2006-2008 sarebbe ancora peggiore), la mole di dati raccolti in questa ricerca permette di dare ulteriore fondamento statistico ad alcuni ragionamenti sui risultati degli indirizzi politici adoperati nei paesi capitalistici ad economia più avanzata e sul comportamento ed il ruolo delle economie emergenti.
Dal 2007 ad oggi la ricchezza è cresciuta del 27% e la media pro-capite ha toccato un nuovo massimo storico a 56mila dollari. Leggendo il report si nota che “tra le componenti patrimoniali, solo gli investimenti finanziari hanno registrato significativi incrementi dal 2007”, svelando subito il tipo di passaggio che si sta vivendo: c’è stata una ripresa, tutt’ora in corso, fondata, come negli anni ’80 del secolo scorso, sulla speculazione di borsa, e si è allargata e continua ad allargarsi la forbice delle disuguaglianze economiche: meno del 10% della popolazione possiede l’86% della ricchezza globale.
L’1% più ricco possedeva nel 2008 il 42,5% della ricchezza mondiale. Oggi ne possiede 140mila miliardi di dollari, pari al 50,1% del totale. Il numero dei milionari negli ultimi dodici mesi è aumentato di 2,3 milioni di unità. Nella base della piramide ci sono 3 miliardi e mezzo di adulti poveri con un patrimonio stimato in meno di 10 mila dollari ciascuno, che costituiscono il 70% della popolazione mondiale in età lavorativa ma possiedono appena il 2,7% della ricchezza. Per comprendere meglio questo concetto, aggiungiamo dei dati sempre dal rapporto Credit Suisse: nel 2017 basta un patrimonio di 3.582 dollari per essere nella metà più ricca del mondo. Un mondo in cui la metà inferiore della piramide possiede meno dell’1% della ricchezza totale a fronte della metà posseduta dall’1% superiore.
Per quanto riguarda l’ultimo anno, gli Stati Uniti sono l’economia che ha dato il maggior contributo alla crescita mondiale, con circa la metà del totale. Nell’Unione Europea la crescita è stata in linea con il valore medio generale, intorno al 6,4%.
Si prevede che la ricchezza globale continuerà la sua crescita ad un ritmo di circa il 4% nei prossimi anni. Si prevede anche, tuttavia, che i principali vantaggi saranno del segmento degli ultramilionari. Stando alle previsioni il contributo più consistente tra le economie emergenti proverrà dalla Cina. Nella sola Cina, infatti, si è aggiunto un numero stimato di 17.700 adulti facenti parte del ristretto gruppo degli Ultra High Net Worth Individuals (UHNWI), pari al 15% dei nuovi “ultramilionari”, quintuplicati a livello globale.
All’interno di un’Europa in crescita, l’Italia si colloca al sesto posto nella classifica dei Paesi nei quali la ricchezza è cresciuta maggiormente. Nel 2017, rispetto all’anno precedente, ci sono 138mila milionari italiani in più, per un totale di 1,3 milioni di milionari, previsti in ulteriore crescita fino a toccare la soglia del milione e 450 mila individui nel 2022. L’Italia si colloca stabilmente all’interno dei paesi ad economia capitalistica matura e, a dispetto della narrazione dominante, questo tipo di crescita economica non riesce a dare una risposta ai bisogni di milioni di disoccupati e lavoratori, ma risponde benissimo ai bisogni della borghesia italiana che con la scusa della crisi, dei salvataggi bancari, dello spread e del continuo bisogno di competitività, continua ad attaccare i diritti e i salari di un’intera generazione di lavoratori, per profitto personale.
Merita una menzione particolare il capitolo del rapporto dedicato ai cosiddetti Millennials: la generazione dei nati tra il 1980 e il 2000. Secondo Credit Suisse questi ultimi hanno dovuto “affrontare difficoltà iniziali e condizioni di mercato avverse nei primi anni dell’età adulta” limitando fortemente le loro prospettive di avere una vita simile alle generazioni che li hanno preceduti. Disoccupazione, maggiori disparità di reddito, aumento del debito studentesco: tutti questi elementi portano i ricercatori dell’istituto bancario svizzero all’uso della locuzione “Generazione sfortunata”, per riferirsi a questa fascia di giovani.
Secondo un rapporto della Caritas, in Italia prima della crisi erano poveri 2 giovani su 100. Oggi, a dieci anni di distanza, la percentuale è salita oltre il 10%.
In conclusione, dai dati emerge un’immagine chiara del mondo in cui viviamo, dove la questione crescita/recessione diventa secondaria e per certi aspetti inutile: vediamo infatti che se nei periodi di crisi vengono scaricate tutte le perdite finanziarie sulla classe lavoratrice, la tendenza non cambia in situazioni favorevoli di mercato, dove la disuguaglianza assume proporzioni gigantesche. Inoltre appare netta la continuità di politica economica tra il periodo precedente e il periodo successivo alla crisi, durante il quale i lavoratori hanno pagato duramente, e continuano a farlo, la ristrutturazione del sistema al fine di garantire la continuità di profitto ai pochissimi milionari, sulle spalle del proletariato mondiale.
2 Comments
che schifo, occorre liquidare la borghesia
la ripresa di pochissimi e miliardi di persone nella miseria, è questa la vera emergenza, e questo è risultato dell’economia capitalista