Dopo aver dedicato la copertina di svariati numeri alla questione palestinese occorre concentrare l’attenzione sulle disastrose conseguenze sociali dell’economia capitalistica. Dico chiaramente economia capitalistica non aggiungendo aggettivi, ben sapendo che esiste una grande differenza tra il capitalismo neoliberista – in cui lo Stato interviene attivamente per favorire il grande capitale -, il capitalismo liberista – in cui lo Stato si astiene dall’interferire nel “libero mercato” – e il capitalismo keynesiano – in cui lo Stato interviene attivamente per correggere gli effetti più deleteri del libero mercato, mantenendo un settore economico pubblico. Occorre conoscere queste differenze e ricordare al popolo che il problema non è solo il neoliberismo, né si può pensare di risolvere le questioni con una spruzzata di politica industriale pubblica come ai tempi della “prima repubblica”. Il problema è e rimane la dinamica capitalistica fondata in ultima istanza sullo sfruttamento della manodopera: una logica violenta e antisociale, che consente a ristrette élite, opportunamente organizzate in società più o meno segrete, di indirizzare le sorti del mondo occidentale determinando fin nei minimi dettagli il modo di lavorare, di vivere e di pensare della gran parte del popolo. Popolo che però capisce le storture del sistema, perché soffre sulla propria pelle i risultati di una politica estera disastrosa e intuisce che le politiche economiche che ne conseguono vanno a vantaggio solo di pochi.
La maggior parte dei commentatori liberali smorza, minimizza, o ammette a denti stretti, farfugliando amenità di vario genere. La verità è che si stanno tutti rendendo conto che il sistema si sta incrinando pericolosamente, motivo per cui tentano di prevenire sul nascere lo scoppio della rivolta. Se perfino la CGIL e la UIL sono arrivate a promuovere periodici scioperi ciò non è dovuto soltanto alla necessità promossa dai circolini democratici di alimentare l’opposizione alla Meloni… non è dovuto solo alle manovre di oscuri tecnocrati che si rendono conto della necessità di porre un freno all’ingordigia dei più famelici pescecani, con conseguente eccessivo impoverimento della popolazione… è dovuto in primo luogo al fatto che per milioni di persone la pazienza è colma, motivo per cui si cerca di incanalarne l’inevitabile conflitto verso termini ancora accettabili e interni al sistema, limitandoli a rivendicazioni salariali senza andare a toccare i punti fondamentali del sistema capitalistico. Uno dei grandi limiti delle sinistre “radicali” è proprio quello di non capire che il regime può tranquillamente accettare uno spostamento temporaneo di baricentro da basi neoliberiste a basi neokeynesiane, senza per questo indebolirsi, anzi… Il grande limite della sinistra non radicale rimane invece l’aver assunto su pienamente il puro imprinting neoliberista dell’UE. Come altrimenti si potrebbe spiegare il patetico voto di approvazione del MES da parte del Partito Democratico? I sovranisti di cartone esultano e riconoscono i meriti della Meloni e di Salvini, ma la realtà è che anche in questo caso il gioco è truccato: per un voto contrario al MES, su cui i due leader di centrodestra hanno preso tempo altri 6 mesi (giusto il tempo di andare nel frattempo a votare per le Europee…), è arrivato come contrappeso l’approvazione del nuovo patto di stabilità finanziaria. Cambiano le parole ma la sostanza è la stessa: l’obiettivo dei tecnocrati è sottrarre pian piano quei residui di sovranità di cui godono gli Stati europei, legittimando giuridicamente il grande capitale a commissariare ogni Stato che abbia i conti in disordine. Chi mastica un minimo di economia sa bene che il dissesto dei conti di uno Stato privato di sovranità monetaria deriva dai capricci di quella ristretta élite borghese in grado di costruire dal nulla crisi finanziarie perfino di Stati come l’Italia. Tutto ciò accade mentre l’Italia abbandona formalmente il percorso della nuova via della seta promossa dai cinesi… Intanto in Palestina si sono superati i 20 mila morti e i 50 mila feriti. L’Italia, vassalla e complice dell’imperialismo statunitense, ha la sua parte di responsabilità politica per questi numeri, e i benefici che ne traiamo sono aumenti delle bollette e dell’età pensionabile. Sempre più evidente è la necessità di un forte Partito Comunista.
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