LA STORIA CRIMINALE DEGLI STATI UNITI

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LA STORIA CRIMINALE DEGLI STATI UNITI

Storia criminale Stati Uniti

LA STORIA CRIMINALE DEGLI STATI UNITI

 

Il testo che segue è la relazione tenuta dal sottoscritto Alessandro Pascale, responsabile nazionale Formazione del Partito Comunista, nell’ambito della scuola popolare di formazione politica Antonio Gramsci. La presentazione è stata fatta a Milano il 20 maggio 2023 presso i locali della cooperativa Labriola. È disponibile la registrazione video caricata sulla pagina youtube del Partito Comunista Milano (@ pcmilano). Si ringrazia la compagna Giorgia Barone per il lavoro di trascrizione del testo.
Gli Stati Uniti sono la principale potenza imperialista mondiale. Il problema non risiede nello stato in sé, ma è rappresentato dall’affermarsi di un’élite borghese transnazionale che governa e decide sulle vite della gran parte del mondo, l’Occidente in modo particolare. Il sistema di potere mondiale non è in mano semplicemente a uno stato oppure a un insieme di stati come vorrebbero farci credere i liberali, ma a un intreccio di élite politica, economica, culturale e anche militare. Fatta questa precisazione, è indubbio che gli Stati Uniti siano la principale forza organizzata dell’imperialismo; diventa quindi indispensabile cercare di conoscere nel dettaglio quello che, nella categoria marxista fin dai tempi di Togliatti, viene identificato come il nemico principale dei proletari e dei lavoratori, dunque dei comunisti che sono l’avanguardia del movimento operaio.

 

 

UN REGIME TOTALITARIO

Nel libro Storia del Comunismo[1] ho dedicato due capitoli all’analisi esclusiva degli Stati Uniti: il primo, intitolato Il totalitarismo degli Stati Uniti, riguardava la politica interna, perché quella statunitense di fatto è una società di tipo totalitario. Molti di noi sono nati e cresciuti con il mito degli Stati Uniti come faro della democrazia, della libertà: l’apogeo della civiltà mondiale e dei diritti realizzati in una società senza conflitti… il massimo benessere! Tutto ciò che c’è di buono su questa terra è dovuto agli Stati Uniti, tutto ciò che c’è di male è dovuto o al nazismo o al comunismo: è questa la vulgata in cui siamo stati immersi. Non si ricorda però una serie di aspetti, alcuni più noti, altri meno. La storia del movimento operaio statunitense ci mostra già un controllo ferreo da parte del regime borghese, pienamente monopolistico, che si è instaurato alla fine dell’Ottocento, oltre a tutte le lotte del movimento operaio degli Stati Uniti, ben raccontate nel libro di Richard Boyer e Herbert Morais, Storia del movimento operaio negli Stati Uniti 1861-1955. Il testo è scritto dagli stessi sindacati statunitensi, ed è considerato una piccola Bibbia per i lavoratori americani: diventato un vero e proprio culto negli Stati Uniti con tre edizioni e 27 ristampe, affronta in modo approfondito la storia del paese nel corso del secolo scorso, adottando una prospettiva dal basso: quella degli oppressi. Attraverso questa pubblicazione e altri contributi simili, si mette in luce l’importanza delle lotte di classe che hanno coinvolto i sindacati statunitensi nel corso del XIX secolo. In quel periodo, si sono verificate intense battaglie sindacali, che sono state gradualmente sedate solo dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Tuttavia non possiamo ignorare che l’intero primo Novecento sia stato un periodo di conflitti incessanti, tanto che anche negli Stati Uniti è sorto un partito comunista;  In realtà, si tratta di ben due partiti, che hanno raccolto un notevole consenso tra decine di migliaia di lavoratori organizzati. Purtroppo i governi statunitensi hanno represso brutalmente queste prime organizzazioni: un esempio lampante è il caso di Sacco e Vanzetti: due operai anarchici colpevoli di essere non soltanto dei sovversivi, ma anche stranieri, appartenenti a una minoranza etnica. È importante ricordare che fino alla metà del Novecento, gli Stati Uniti erano caratterizzati da una forte segregazione razziale e da un’identità nazionale che si basava principalmente sull’appartenenza WASP – White Anglo-Saxon Protestant, cioè bianchi, anglosassoni, protestanti e con l’inglese come prima lingua. L’assassinio di Sacco e Vanzetti rappresenta solo una delle tante nefandezze commesse, sebbene sia la più famosa. Altre episodi meno noti riguardano le retate operate contro le organizzazioni comuniste, in cui migliaia di persone venivano improvvisamente arrestate, imbarcate su navi e mandate in Russia. Queste azioni hanno violato tutti i diritti civili di lavoratori che non avevano commesso reati, ma erano colpevoli solamente di avere opinioni politiche diverse e di organizzarsi, rivelando in modo chiaro l’immagine di un totalitarismo statunitense che macchia la reputazione del paese. In sintesi: attraverso il libro scritto dai sindacati statunitensi e altri contributi simili, emergono le lotte di classe, l’oppressione subita dai lavoratori e le violazioni dei diritti civili avvenute negli Stati Uniti durante il secolo scorso. È fondamentale conoscere e comprendere queste vicende per una visione più completa e critica della storia del paese.

  • [1] La gran parte delle citazioni sono tratte da A. Pascale, Storia del Comunismo, intellettualecollettivo.it, 2019 [1°ed.  In difesa del socialismo reale e del marxismo-leninismo,  2017] dove è possibile trovare le fonti dettagliate. Altra opera da cui sono stati ripresi temi e argomenti in maniera più approfondita è A. Pascale, Ascesa e declino dell’impero statunitense,  Tomo 1 – Genesi di un impero elitario (dalle origini al 1945), La Città del Sole, Napoli 2022.

 

IL TERRORE VERSO LE MINORANZE ETNICHE E POLITICHE

Di fatto, c’è un regime razziale imposto agli afroamericani che perdura almeno formalmente fino alla metà degli anni ’60. Su questo argomento esiste tanto materiale disponibile, anche negli ultimi anni. Tuttavia per molto tempo è stato un tema di nicchia. Ad esempio pensiamo a Spike Lee, diventato un autore di culto solo dagli anni ’80 in poi. Ma nemmeno lui e altri artisti e intellettuali di colore hanno avuto una vita facile.
È importante ricordare che, mentre nell’Unione Sovietica c’era il terrore staliniano e in Europa c’era il terrore del nazifascismo, negli Stati Uniti si verificavano pubblici linciaggi, annunciati sui giornali; negli stati del sud era considerata una cosa normalissima. Inoltre per circa 70 anni viene applicata una completa segregazione razziale nella società, a livelli senza precedenti in Europa. Questa situazione è rimasta famosa per noi, guardando le vicende del Sudafrica, che ha mantenuto un modello simile fino agli anni ’90. Negli Stati Uniti, invece, questo regime è durato fino agli anni ’60, generando molteplici contraddizioni. La società statunitense si basava sul fatto che il benessere dei bianchi padroni, che costituivano una sorta di aristocrazia operaia, si fondava sul doppio sfruttamento di un proletariato in parte bianco e, soprattutto, di una minoranza (circa il 5-10% della popolazione) ridotta in schiavitù sostanziale. Questa minoranza aveva stipendi mediamente più bassi e condizioni più svantaggiose nei luoghi di lavoro e nella società in generale. Le lotte delle Black Panthers rappresentano un momento importante nella storia degli Stati Uniti, collegandosi anche alle contestazioni contro la politica guerrafondaia del paese. In questa opera, mi limito a segnalare tutte queste contraddizioni. Ad esempio William Du Bois, un importante intellettuale afroamericano, accosta Hitler agli Stati Uniti, ricordando come gli afroamericani riescano ad ottenere alcuni diritti minacciando Roosevelt di organizzare una marcia contro il razzismo a Washington durante la seconda guerra mondiale. Questo episodio avrebbe potuto essere strumentalizzato dai nazifascisti a proprio vantaggio nel contesto della propaganda in corso per sconfiggere il regime razziale di Hitler.
Gli anni ’70 sono stati un periodo di importanti lotte. Le Black Panthers, un movimento che univa anche elementi di marxismo in un discorso complessivamente anti-imperialista, hanno svolto un ruolo significativo. Tuttavia si tratta di organizzazioni che non riescono a sfondare, con poche migliaia di persone, ma molto ben organizzate e ideologizzate. Hanno subito una durissima repressione negli anni ’70, portata avanti da Nixon, in cui tutti i leader del movimento sono stati assassinati senza pietà. Gli anni ’60 sono stati un momento particolarmente delicato nella storia degli Stati Uniti dal punto di vista della politica interna. In quegli anni, si sono verificati gli assassinii di Malcolm X, Martin Luther King e dei fratelli Kennedy. Questi eventi tragici indicano l’instabilità e le tensioni che attraversano il paese in quel periodo.
Un altro episodio poco conosciuto è la questione dei campi di concentramento per i cittadini di origine giapponese durante la Seconda guerra mondiale. Centinaia di migliaia di cittadini statunitensi di origine giapponese furono presi e deportati in campi di concentramento situati in zone desertiche. Questa violazione dei loro diritti civili è stata una realtà sconvolgente. Solo alla fine del secolo il presidente degli Stati Uniti ha presentato le scuse formali per questo trattamento ingiusto. Nel secondo Novecento, gli Stati Uniti non erano il faro dei diritti civili e delle libertà per tutti, come spesso si è creduto. Questo cinquantennio si apre con il maccartismo, una fase in cui la società statunitense è diventata effettivamente totalitaria o è tornata ad esserlo, dopo il breve intervallo degli anni ’30 del New Deal. Limitiamoci a fornire una panoramica generale delle contraddizioni presenti. Ho citato il processo farsa ai coniugi Rosenberg come esempio: accusati di essere conniventi con l’Unione Sovietica e spie del KGB. Persino Marilyn Monroe, insieme ad altri leader politici, era sotto sorveglianza dell’FBI. È molto probabile che la sua morte sia stata causata anche dai suoi contatti e dalle sue idee che la mettevano in una posizione considerata troppo “rossa”; non era semplicemente una “bambolina” ingenua come spesso viene presentata, anche in film recenti, ma aveva cognizioni politiche.
Infine ho concluso questo capitolo sottolineando le persistenti violazioni dei diritti umani che ancora oggi si verificano. Ad esempio, abbiamo riflettuto sulla questione del muro che divide gli Stati Uniti e il Messico. Questo muro tende ad essere associato a Donald Trump, ma la sua costruzione è iniziata negli anni ’70. Durante la guerra fredda decine di migliaia di persone sono morte nel tentativo di attraversarlo, e i migranti continuano a morire tutt’oggi mentre cercano di oltrepassarlo. Un confronto con il muro di Berlino sarebbe difficile da fare, sia per il numero di morti (che ammontano a circa 150), sia per la funzione completamente diversa.

 

“IL GRANDE NEMICO DEI POPOLI DEL MONDO”

Passiamo ora a esaminare il secondo capitolo del libro che si concentra sul ruolo internazionale svolto dagli Stati Uniti, che possiamo definire come “il grande nemico dei popoli del mondo”. Nel corso di poco più di un secolo, tra il 1890 e il 2014, gli Stati Uniti hanno invaso e bombardato 150 Paesi in tutto il mondo. Questo dato non tiene conto di tutta la storia precedente, che farebbe salire notevolmente il numero di interventi. In pratica, si possono contare sulle dita di una mano i Paesi in cui gli Stati Uniti non sono intervenuti militarmente o con azioni di intelligence sanguinose. Nel libro riporto una cronologia delle operazioni estere statunitensi che copre il periodo dal 1798 al 1945. Ciò che è curioso è che questa cronologia non è stata redatta da un bolscevico, ma da Dean Rusk, segretario di Stato di John Fitzgerald Kennedy nel 1962. Serviva all’amministrazione democratica di Kennedy per giustificare l’intervento in Vietnam, dimostrando che gli Stati Uniti sono sempre stati un paese espansionistico. Vengono poi ricordati gli interventi degli Stati Uniti durante la guerra fredda. È evidente che gli Stati Uniti hanno avuto un ruolo predominante nelle dinamiche internazionali, ma il libro mette in luce come tale ruolo spesso sia stato caratterizzato da azioni militari e di intelligence violente. Questa prospettiva critica evidenzia la tendenza espansionistica degli Stati Uniti e solleva importanti questioni sul loro impatto globale.

 

I RAPPORTI CON IL NAZISMO

Durante questa parte del libro vengono evidenziati i legami tra diverse aziende statunitensi e il regime nazista di Hitler, nonché le connessioni tra queste aziende e l’amministrazione degli Stati Uniti. Tali relazioni sono documentate sin dagli anni ’30 e proseguono anche durante la seconda guerra mondiale. Uno studio rilevante su questo argomento è il saggio di Jacques R. Pauwels, storico e politologo belga, intitolato Le corporations americane e Hitler. Il saggio mette in luce come gli americani abbiano continuato a sostenere i nazisti, a difenderli e ad accoglierli all’interno delle proprie istituzioni, anche dopo la fine della seconda guerra mondiale. Ciò è avvenuto perché l’avversario non era più la Germania nazista, ma formalmente l’Unione Sovietica, il comunismo. Questo punto solleva interrogativi importanti riguardo alle connessioni tra interessi economici, politica e potere, mettendo in evidenza come gli Stati Uniti abbiano potuto avere un atteggiamento ambiguo nei confronti del regime nazista, in funzione delle loro priorità geopolitiche e ideologiche. L’analisi di questi legami offre una prospettiva critica sulla politica estera statunitense e sulla complessità delle relazioni internazionali durante quel periodo storico. Il concetto esposto da Costanzo Preve nella sua analisi della seconda guerra mondiale si basa sull’idea che il conflitto possa essere visto come la combinazione di tre fattori principali. Innanzitutto, un conflitto geopolitico tra le potenze europee, rappresentato dalla rivalità tra Germania, Francia e Inghilterra, che rappresentava una resa dei conti dopo la prima guerra mondiale. In secondo luogo un conflitto ideologico tra la Germania nazista e l’Unione Sovietica comunista, rappresentando lo scontro tra due grandi ideologie dell’epoca. Infine un elemento importante è l’ascesa dell’impero statunitense, che rappresenta la storia dell’affermazione mondiale degli Stati Uniti.

 

DAL FAR WEST ALL’AMERICA LATINA

Tutta la storia statunitense può essere interpretata come un processo di espansione che parte dai primi coloni sull’oceano Atlantico attraverso la conquista del Far West. Questa visione è radicata nella memoria culturale della nazione e nelle sue radici teologiche, derivanti dal calvinismo puritano. La convinzione di essere il popolo eletto ha portato gli Stati Uniti a compiere azioni come il genocidio degli indiani nativi americani e l’istituzione di un sistema schiavista. Dalla fine del XIX secolo, gli Stati Uniti si sono affermati come la principale potenza industriale mondiale in termini di PIL e i successivi 40 anni sono stati cruciali per la transizione da un’economia capitalistica concorrenziale a una monopolistica, con la creazione di grandi dinastie capitalistiche che perdurano fino ai giorni nostri, come i Ford e i Rockefeller.
Dopo aver completato la conquista del Far West, gli Stati Uniti hanno iniziato un processo di espansione che ha coinvolto inizialmente l’America Latina, con il controllo della regione centrale durante il periodo di Theodore Roosevelt all’inizio del XX secolo. Il 1898 è un anno cruciale: nonostante non fossero ancora una grande potenza militare, gli Stati Uniti riescono a sconfiggere facilmente l’impero spagnolo nella guerra ispano-americana e a conquistare territori come Cuba e le Filippine. Pochi anni dopo acquisiscono il controllo di vari territori minori dell’America centrale, tra cui Panama. Inizialmente Panama faceva parte della Colombia, che all’epoca era parte di un’unione denominata “Grande Colombia”. Gli Stati Uniti avevano interessi strategici in Asia e la costruzione di un canale era essenziale per il loro obiettivo di egemonizzare la Cina. Tuttavia le richieste della Colombia per la costruzione del canale erano considerate troppo alte dagli statunitensi, che di  conseguenza hanno organizzato una sorta di rivoluzione colorata a Panama: hanno sostenuto un gruppo nazionalista locale che ha dichiarato l’indipendenza di Panama dalla Colombia. Poco dopo, i leader di questo movimento firmano un accordo, sotto la supervisione delle aziende americane, che concede agli Stati Uniti la striscia di territorio necessaria per costruire il canale di Panama. Questa azione ha consolidato il controllo degli Stati Uniti sull’America centrale e ha rafforzato il loro impianto economico e finanziario. In conclusione: verso la fine del XIX secolo gli Stati Uniti hanno acquisito il controllo di una parte significativa dell’America centrale, sebbene non ancora dell’America meridionale. Questo consolidamento territoriale e l’espansione del loro dominio economico sono fattori importanti per il ruolo svolto come potenza emergente sulla scena mondiale, soprattutto alla vigilia della prima guerra mondiale.

 

LE CONSEGUENZE DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE

La grande guerra ha avuto un impatto significativo sulla posizione economica e finanziaria degli Stati Uniti. Prima del conflitto, l’impero britannico è considerato la principale potenza finanziaria mondiale, con territori in ogni continente. Tuttavia durante la guerra gli Stati Uniti vedono un’opportunità economica e finanziaria e decidono di intervenire attivamente. Finanziano principalmente i paesi alleati, come Regno Unito e Francia, diventando così creditori piuttosto che debitori. Il passaggio da debitori a creditori è stato significativo, portando gli Stati Uniti da un debito di circa 500 milioni di dollari, in gran parte verso il Regno Unito, a un credito di oltre 2 mila miliardi di dollari. Gli Stati Uniti decidono di entrare direttamente nel conflitto nel 1917 principalmente a causa della crescente minaccia tedesca verso la Francia e il Regno Unito. L’intervento degli Stati Uniti è determinante per l’equilibrio delle forze sul fronte occidentale e potrebbe essere attribuito anche a interessi economici. La vittoria delle potenze centrali avrebbe significato perdite finanziarie significative per gli Stati Uniti, quindi Wall Street e i suoi interessi finanziari hanno un ruolo importante nel convincere la presidenza a cambiare approccio e ad entrare in guerra. Dopo la prima guerra mondiale gli Stati Uniti emergono come la principale potenza economica e finanziaria del mondo, in particolare grazie al loro ruolo di creditore. Questo cambiamento di posizione contribuisce ad affermare la leadership economica e politica degli Stati Uniti sulla scena internazionale nel periodo successivo alla guerra. È corretto affermare che negli anni ’20 gli Stati Uniti sono già una potenza influente a livello internazionale, soprattutto dal punto di vista finanziario ed economico. Durante questo periodo i monopoli statunitensi hanno tratto enormi benefici dai prestiti concessi alla Germania attraverso i piani di risanamento finanziario, che hanno permesso loro di acquisire il controllo di diverse industrie tedesche, inclusa l’amministrazione controllata delle ferrovie (seppur per un breve periodo). La politica anti-sovietica e anticomunista è un tema prominente nell’agenda politica delle élite statunitensi tra le due guerre mondiali. Gli Stati Uniti non sono quel paese isolazionista come ci raccontano, ma hanno una politica estera attiva che mira a isolare l’Unione Sovietica. Ad esempio hanno indirettamente sostenuto il regime di Francisco Franco in Spagna fornendo rifornimenti petroliferi durante la guerra civile spagnola a partire dal 1936.

 

LA FORMAZIONE DEL DEEP STATE E IL NEW DEAL

Gli anni ’20 sono stati un periodo in cui il dominio invisibile della borghesia si è consolidato e nuovi strumenti di controllo sociale sono stati sviluppati. Edward Bernays, nel suo libro Propaganda ha analizzato come la propaganda commerciale possa essere applicata alla società per ottenere un controllo ideologico. Questo testo è utile per comprendere il livello di potere raggiunto dal cosiddetto “deep state” negli Stati Uniti, che esisteva già dalla fine del XIX secolo. È importante sottolineare che queste considerazioni sono fatte dagli stessi intellettuali statunitensi dell’epoca. Charles Wright Mills è il più grande sociologo statunitense e, in generale, uno dei più grandi del Novecento. È autore del libro Le élite del potere del 1956 in cui descrive il funzionamento dell’élite e fornisce spiegazioni razionali su come vivono, quali scuole frequentano, che tipo di insegnamenti ricevono e come vengono selezionati. Nelle stesse aziende c’è un percorso di formazione che include un’educazione politica, ideologica e sentimentale. La situazione di dominio che si è registrata negli anni ’20 si incrina con la grande crisi capitalistica del 1929 e la caduta di Wall Street. Negli Stati Uniti degli anni ’30 ci sono 25 milioni di disoccupati e la distruzione del sogno idilliaco americano. A questo punto subentra Roosevelt, uno dei peggiori rappresentanti di questa élite, nonché il più furbo, perchè ha compreso perfettamente che in un contesto simile o il capitalismo si riforma da solo, cioè la politica torna a imporre regole all’economia, o il capitalismo sarebbe stato travolto da una rivoluzione sociale. E questa era la cosa che più lo terrorizzava.
L’idea di fondo del suo New Deal è molto semplice ed è ancora attuale: auto-riformare il sistema in modo da riacquistare la fiducia delle masse e fare alcune concessioni temporanee a debito. Tutto questo è possibile continuando chiaramente lo sfruttamento dell’America Latina, che prosegue tranquillamente durante gli anni ’30, così come le attività di strozzinaggio finanziario a livello internazionale. La politica estera di Roosevelt non è affatto democratica. A un certo punto, Roosevelt decide di passare all’offensiva contro la Germania principalmente per una questione geopolitica: c’è il rischio concreto che si crei un impero europeo in grado di rivaleggiare con gli Stati Uniti. Questo è il motivo per cui Roosevelt decide di entrare nel conflitto, attraverso il famoso episodio di Pearl Harbor, che è stato un incidente volutamente scatenato ad arte dalle stesse agenzie di intelligence statunitensi. Hanno costruito piani già dal 1940, con l’avvio di un percorso che attraverso una decina di step doveva portare al conflitto con il Giappone, facendosi dichiarare guerra.

 

IL RUOLO DELLE ÉLITE

L’intervento nel conflitto mondiale non è stato determinato solo da queste considerazioni di Roosevelt, ma è stato anche influenzato dalla consapevolezza che l’Inghilterra e la Francia erano ormai in forte crisi e c’era un mondo da conquistare: in Africa e in buona parte dell’Asia. Le amministrazioni francesi e inglesi non esistevano più in molti territori, e anche le altre potenze coloniali minori erano in crisi. Alle potenze vincitrici, soprattutto agli inglesi, viene richiesto di fare molte concessioni ai popoli coloniali, promettendo loro diritti e democrazia. Si creano quindi movimenti nazionalisti, non necessariamente di classe, ma a volte anche egemonizzati dal Komintern o comunque in generale dai comunisti: pensiamo ad esempio al Partito Comunista vietnamita fondato nel 1930, che guiderà la gloriosa resistenza e cacciata degli americani dal territorio nella metà degli anni ’70. La questione di fondo è che con la seconda guerra mondiale gli Stati Uniti effettivamente creano un impero di proporzioni mondiali in due modi: il primo è quello di avere basi militari sul territorio e, all’occupazione militare, segue la costruzione di un regime politico, sociale ed economico corrispondente alle esigenze degli Stati Uniti e della sua élite. Un esempio di riferimento è quello dell’impero romano: gli americani cooptano i vertici politico-economici dei vari paesi secondo diversi livelli. Il primo livello riguarda l’Europa occidentale, con la NATO fondata nel 1949 e la CECA (Comunità economica del carbone e dell’acciaio) del 1950, che comprende i principali stati dell’Europa occidentale come Italia, Germania Ovest, Francia e il Benelux. La NATO si espande successivamente per includere altri paesi. Pochi anni dopo, nel 1954, sorge il Club Bilderberg, che serve come luogo di incontro annuale per le élite politiche, economiche e culturali del blocco della NATO. Inizialmente, il club comprende principalmente membri bianchi e cristiani, rappresentando una cerchia ristretta. Tuttavia, successivamente si creano il secondo e il terzo cerchio attraverso altre organizzazioni come la Commissione Trilaterale, coinvolgendo pezzi selezionati delle élite di altri paesi alleati, ovvero paesi con una sovranità limitata. In questo modo si cerca di mantenere un collegamento con queste élite che collaborano per mantenere una facciata di democrazia, per evitare che sorga un movimento politico popolare in uno di questi paesi sottomessi all’impero statunitense, che sollevi questioni in conflitto con gli interessi dei capitalisti statunitensi e delle multinazionali. Non sono più solo i capitalisti statunitensi ad essere coinvolti, ma a seguito di questi accordi avviene una spartizione che coinvolge anche le multinazionali. È importante ricordare che il colonialismo termina in una parte del mondo alla fine degli anni ’40, mentre in un’altra parte termina intorno al 1960, con alcuni paesi che devono continuare la lotta fino agli anni ’70. È altrettanto importante sottolineare che gli Stati Uniti hanno promosso fin da subito l’abbandono del vecchio colonialismo da parte degli alleati europei, sostenendo che il mantenimento del colonialismo avrebbe favorito l’Unione Sovietica, che fin dagli anni ’20 aveva incoraggiato i popoli del mondo a ribellarsi. Ci sono numerosi esempi di movimenti comunisti e nazionalisti che si sono sviluppati in tutto il mondo, spesso in modo indipendente ma a volte interconnessi. Ad esempio in Indonesia fino agli anni ’60 esiste un partito comunista con un milione e mezzo di iscritti, il secondo partito più forte dell’Asia dopo quello cinese, che “minacciava” di salire al potere. Situazioni simili si sono verificate in diverse parti del mondo, con movimenti che lottavano contro francesi, inglesi, americani, giapponesi e altri, sin dal 1945. In alcuni casi la seconda guerra mondiale non era ancora finita quando questi movimenti si sono formati, con i partigiani che combattevano contro gli occupanti stranieri, che si presentavano come liberatori ma nel frattempo costruivano basi militari e interessi a lungo termine. In queste situazioni, è evidente come il tema dell’indipendenza nazionale, della lotta contro l’occupazione straniera e dell’opposizione al controllo imperialista sia molto rilevante. Con l’avvento della società mediatica e la consapevolezza dell’importanza del consenso delle masse, le strategie di dominio imperialista sono cambiate. La guerra, specialmente dopo l’invenzione delle armi nucleari, si gioca sempre più sulla costruzione del consenso globale. Formalmente il colonialismo tradizionale non può esistere più nel contesto moderno. Tuttavia il controllo delle risorse naturali che garantiscono la ricchezza dell’Occidente, lo sfruttamento intensivo della natura e lo sfruttamento dei paesi del Terzo Mondo continuano ad essere necessari. La quadratura del cerchio passa dal neocolonialismo, una ristrutturazione dell’imperialismo in cui il controllo mondiale non avviene più direttamente attraverso il dominio politico e militare, ma attraverso il controllo delle multinazionali da parte di élite corrotte o opportuniste. Studi recenti condotti da studiosi come Giorgio Galli e rapporti di banche svizzere hanno evidenziato che circa 2-3.000 persone in tutto il mondo controllano le 150 principali multinazionali che detengono circa il 50% della ricchezza mondiale. Gli altri 8 miliardi di persone si spartiscono la restante parte della ricchezza in modo diseguale, secondo vari livelli di potere. Le politiche utilizzate dagli anni ’50 in poi per ridurre la sovranità politica dei paesi sono le stesse che vengono applicate ancora oggi. Vi è una pubblicistica abbastanza vasta sull’argomento, come ad esempio il libro I crimini delle multinazionali, da cui ho tratto diverse informazioni ben note. Vent’anni fa c’è stato un periodo in cui si discuteva molto di una cultura “no global”che metteva in luce gli abusi e gli scandali delle multinazionali. Durante quel periodo si è verificato un calo nella credibilità e nell’immagine pubblica delle multinazionali. Un esempio noto di interferenza delle multinazionali negli affari politici di un paese è il caso della “Repubblica delle banane” promossa da Chiquita. Come è risaputo Chiquita è stata una delle principali protagoniste del colpo di stato organizzato dagli Stati Uniti in Guatemala nel 1954. Questo evento è solo uno degli interessanti casi di golpe orchestrati dagli USA, come quello avvenuto in Iran nel 1953. Analizzando le dinamiche di tali eventi, emerge che si tratta di forme di “rivoluzioni colorate” ante litteram. La tecnica è sempre la stessa: coinvolgere individui che manifestano e riescono a portare in piazza anche solo alcune centinaia di persone, filtrando determinati movimenti e creando una minima contestazione di piazza. Non è importante che la protesta sia numerosa, ma è cruciale supportarla in ogni modo possibile, anche mediante l’organizzazione di aggressioni militari con mercenari, facendole apparire come una rivolta popolare legittimata dall’esterno.

 

OPERE PREZIOSE DIMENTICATE

Alcuni consigli bibliografici per approfondire.

Howard Zinn, autore di Storia del popolo americano del 1492 a oggi, è considerato a ragione uno dei più importanti storici statunitensi. Fin dagli anni ’80 ha messo in evidenza le distorsioni degli Stati Uniti sia nei confronti del proprio popolo che nei confronti di altre nazioni. Altro storico molto influente appartenente alla cosiddetta nuova sinistra è Leo Huberman, autore nel 1932 di una Storia Popolare degli Stati Uniti inizialmente pubblicata come libro per ragazzi e successivamente rielaborata nel ’47 per un pubblico adulto. Quest’opera divenne un bestseller, raccontando storie dal punto di vista delle persone comuni e mostrando le contraddizioni della politica estera internazionale. Altro testo significativo è Il capitale monopolistico di Paul Baran e Paul M. Sweezy, due importanti intellettuali statunitensi associati alla nuova sinistra nel secondo dopoguerra. Questo libro, come suggerisce il sottotitolo, è un saggio sulla struttura economica e sociale degli Stati Uniti. Se il testo di Charles Wright Mills aiuta a comprendere il funzionamento delle élite fino alla metà degli anni ’50, il testo di Baran e Sweezy, scritto dieci anni dopo, conferma scientificamente la necessità strutturale per gli Stati Uniti di un’industria militare sviluppata. Essi notano che le politiche del New Deal di Roosevelt, pur avendo l’intenzione di creare un capitalismo meno sfruttatore, non riuscivano a risolvere il dramma sociale, e che solo attraverso la guerra gli Stati Uniti riuscivano a eliminare la disoccupazione per qualche tempo. Un altro libro importante è Il linguaggio dell’impero, lessico dell’ideologia americana di Domenico Losurdo. Il tema di fondo è semplice: molti liberali e una parte significativa della società negano l’esistenza di un impero statunitense. Si fa riferimento al fatto che gli Stati Uniti sono considerati una democrazia che promuove valori come il matrimonio gay, e quindi sembra incompatibile l’idea di un impero statunitense. Tuttavia, esistono numerosi studiosi che parlano dell’impero statunitense, alcuni già a partire dalla fine del XIX secolo, anche se molti di loro sono stati sistematicamente ostracizzati e ignorati. Freschissima la pubblicazione dello studioso Daniele Ganser, uno svizzero, di una Breve storia dell’impero americano, un libro che mette in luce un’America senza scrupoli. Il testo più importante su questo argomento è Il libro nero degli Stati Uniti di William Blum, un’imponente opera di 900 pagine che Noam Chomsky ha definito il miglior libro al mondo sugli interventi americani. Pubblicato nel 2003, Blum era un ex dipendente del dipartimento di Stato statunitense che ha lavorato all’interno dell’amministrazione statunitense fino alla fine degli anni ’60. Ha poi lasciato il suo incarico a 34 anni in segno di protesta contro l’operato degli Stati Uniti in Vietnam. Ha condotto diverse indagini sulla CIA, tra cui quella sul colpo di stato in Cile nel 1973. Questo libro rappresenta il frutto di diversi decenni di lavoro e offre un’ampia panoramica degli interventi statunitensi nel mondo. Basta guardare l’indice del libro per vedere la quantità di interventi degli Stati Uniti, a partire dal 1945 con la partecipazione nella guerra civile cinese, quando gli statunitensi armavano i soldati giapponesi che prima avevano combattuto contro di loro, affinché aiutassero i nazionalisti cinesi a combattere i comunisti.
Un altro libro che fornisce informazioni preziose, spesso assente nei manuali scolastici, è sicuramente CIA di Tim Weiner, vincitore di premi prestigiosi, che conferma e amplia il quadro presentato da Blum. Weiner ha condotto ricerche approfondite, esaminando migliaia di documenti declassificati della CIA e intervistando numerose persone coinvolte nell’organizzazione, compresi i direttori della CIA.

 

LA QUESTIONE COLONIALE E GLI INTERVENTI IMPERIALI

Un libro fondamentale è Il secolo corto di Filippo Gaja, pubblicato negli anni ’90, che fornisce importanti informazioni. Gaja afferma una cosa molto semplice che spesso ci sfugge: la situazione che si sviluppa in Cina si estende in tutto il mondo. Dopo la fine della seconda guerra mondiale ci il sistema collassa in diverse parti del mondo, compresa l’Africa, l’Asia, varie parti dell’Europa, nonché in America Latina. Emergono movimenti di resistenza militare, politicizzati come la Resistenza Partigiana, e riflettono su come agire. Alcuni desiderano prendere il potere e ottenere un’indipendenza formale piena nelle colonie, altri aspirano a un diverso sistema socio-economico. Il mondo sembra sull’orlo di una rivoluzione. È per questa ragione che non si può continuare con il colonialismo aperto; è necessario mascherare il dominio.
Ad esempio: la concessione dell’indipendenza alle Filippine, che erano una storica colonia statunitense, è avvenuta con una serie di trattati che ricordano quello imposto a Cuba all’inizio del Novecento; fondamentalmente, si stabilisce l’impossibilità di avere una politica estera autonoma e il mantenimento di basi militari sul territorio. Tutto questo periodo della guerra fredda, come afferma anche Blum, è una storia in cui la guerra al comunismo diventa solo una scusa. Certamente è un elemento presente, tuttavia l’Unione Sovietica non può realmente sostituire il dominio statunitense nel mondo a causa della sua arretratezza economica. Anche se l’Unione Sovietica crea delle scomodità all’imperialismo occidentale, si concentra principalmente su paesi in cui si verificano con successo rivoluzioni sociali o nazionali. Spesso quando queste rivoluzioni hanno successo vengono creati regimi che sfidano le multinazionali statunitensi. Prendiamo il caso di Cuba: inizialmente Fidel Castro non era nemmeno iscritto al Partito Comunista, anche se il suo movimento era a sfondo sociale e antimperialista. Tuttavia, una volta preso il potere, incontra l’opposizione delle multinazionali che non intendono accettare condizioni, e si rivolge a Mosca. La presenza del blocco socialista è progressiva in questo senso, poiché tutti i paesi che rifiutano di sottomettersi ai diktat delle multinazionali e degli ambasciatori statunitensi possono cercare sostegno nel blocco sovietico. In America Latina, questo tipo di politica è sempre stata considerata intollerabile dagli USA. Ogni tentativo  di instaurare anche solo un ordine democratico costituzionale liberale, come aveva fatto Allende in Cile, è sempre stato ostacolato e poi represso brutalmente, essendo gli Stati Uniti molto interessati al loro “cortile di casa”, come è stato più volte definito. L’America Latina è la base del loro impero. Anche se oggi potremmo dire che uno degli elementi di crisi dell’impero statunitense è evidente nell’America Latina, dove si manifestano segni di declino della loro influenza.
Per semplificare, non potendo elencare tutti gli interventi degli Stati Uniti, ci limiteremo a elencare solo i principali: ci sono stati interventi in Italia nel 1947-1948, in Grecia nel 1947 fino ai primi anni ’50, nelle Filippine, in Corea, in Albania e tutte le azioni di destabilizzazione nell’Europa orientale contro i comunisti. Negli anni successivi alla crisi di Suez, cioè dalla fine degli anni ’50, gli Stati Uniti hanno sostenuto e incoraggiato i tentativi di rivolta nell’Europa orientale, come a Berlino nel 1953, in Polonia e soprattutto a Budapest nel 1956, e successivamente a Praga (1968). Pensiamo anche al movimento Solidarność in Polonia, che è stato finanziato e sostenuto dalla CIA, anche attraverso la Chiesa cattolica. In sostanza hanno combinato di tutto, non solo nel “Terzo Mondo”, sostenendo i regimi dittatoriali e militari peggiori, ma ovunque ci fosse il pericolo di una democrazia di “centro-sinistra” autonoma. Basta che un paese minacci di stabilire relazioni diplomatiche con un paese socialista per diventare una buona giustificazione per rovesciare il leader o il presidente in carica e sostituirlo con una marionetta. Si pensi all’Africa, nel Congo all’inizio degli anni ’60: Patrice Lumumba, un sincero patriota anti-colonialista che cercava di liberare il proprio paese dall’oppressione straniera, viene assassinato brutalmente e sostituito da Mobutu, un dittatore violento che resterà al potere per decenni fino agli anni ’90.
Le stesse rivoluzioni di fine anni ’80 che si svolgono nell’Europa orientale seguivano le tendenze degli anni precedenti e sono di fatto delle rivoluzioni colorate. La tattica del colpo di stato militare (Cile) o l’intervento diretto di truppe statunitensi (Vietnam) vengono utilizzati solo come estrema ratio a causa delle forti opposizioni, anche interne agli Stati Uniti; tanto che negli anni ’80, c’è stato solo un intervento, quello a Grenada, un’isola minuscola con una popolazione di soli 20.000 abitanti, dove i marines hanno agito facilmente per sopprimere i medici cubani che avevano offerto la loro cooperazione al piccolo Stato che aveva appena subito una rivoluzione. In Nicaragua, negli anni ’80, per cercare di distruggere la rivoluzione sandinista, gli Stati Uniti hanno finanziato i contras, i peggiori banditi fascisti sul territorio. Inoltre la CIA ha agito di comune accordo con il presidente Reagan, senza il consenso del parlamento, vendendo armi all’Iran (di cui erano nemici) per ottenere i fondi necessari a sostenere la controrivoluzione. Gli Stati Uniti nel frattempo sostenevano l’Iraq di Saddam Hussein nella sua guerra contro l’Iran; una guerra che negli anni ’80 ha causato un milione di morti… simile a ciò che sta accadendo attualmente in Ucraina e Russia, dove si sta verificando una guerra per procura. Gli Stati Uniti sono intervenuti in Afghanistan dalla fine degli anni ’70 (ben prima dell’intervento sovietico) finanziando e armando Bin Laden, creando dal nulla il fenomeno del terrorismo islamico, che prima non esisteva o era estremamente marginale.
Il Medio Oriente, decolonizzato dagli anni ’50 in poi, aveva trovato i propri leader come Nasser e Gheddafi, che spesso erano esponenti del mondo laico, con ideologie come il panarabismo o una combinazione di socialismo e islam. In Africa, il compagno Thomas Sankara del Burkina Faso è stato brutalmente assassinato, anche con il coinvolgimento della CIA. È importante ricordare che l’Africa non è solo un terreno di caccia per gli Stati Uniti, ma anche per l’Europa, in particolare per francesi e inglesi, che sono ancora le principali potenze coinvolte nei conflitti africani. Questi conflitti spesso mirano a destabilizzare i paesi che stanno cercando di sviluppare relazioni più favorevoli con la Cina e la Russia, che offrono loro condizioni economiche migliori nell’ambito di una cooperazione.

 

IL “SECOLO CORTO” E LA “VOLONTÀ DI POTENZA”

Il libro Il Secolo corto di Filippo Gaja è importante perché aiuta a comprendere la dinamica delle convinzioni di superiorità e il ruolo degli Stati Uniti dalla seconda guerra bondiale ad oggi. Tornando al testo di Gaja, esso ci mostra come la guerra al comunismo sia stata motivo costitutivo del ‘900: possiamo dire che la guerra fredda è iniziata ancor prima della fine della seconda guerra mondiale; già dal marzo del ’45, quando ancora si combatteva in Europa, Hitler non voleva cedere, essendo convinto che gli Alleati non potevano in alcun modo allearsi con i sovietici (è probabile che sapesse delle trattative in corso tra Allen W. Dulles, il futuro direttore della CIA, e R. Gehlen, capo dei servizi segreti nazisti sul fronte orientale). Un altro aspetto mostrato nel libro di Gaja è l’ossessione statunitense di portare a termine il progetto della bomba atomica il prima possibile perché l’Unione Sovietica era considerata un nemico già durante la Seconda Guerra Mondiale. Lo sbarco in Normandia nel 1944 è stato effettuato non per alleggerire la pressione dei sovietici ma per evitare che liberassero Parigi da soli. I piani per lo sbarco in Normandia erano già iniziati nel 1941, anche prima dell’entrata in guerra degli USA. Inglesi e statunitensi avevano già concordato strategie belliche in previsione di un coinvolgimento futuro. Tuttavia l’invasione dell’Unione Sovietica da parte della Germania nel 1941 ha portato a un cambiamento di piano e a una maggiore attenzione verso il fronte orientale. L’Unione Sovietica ha resistito all’invasione tedesca nonostante abbia avuto grandi perdite umane e sociali. Perciò alcuni esponenti politici come Truman sostenevano che se Germania e Unione Sovietica si indebolivano reciprocamente, sarebbe stato vantaggioso per gli interessi degli Stati Uniti. Tuttavia quando nel 1944 si è capito che i sovietici stavano avanzando rapidamente in Europa, gli Alleati hanno deciso di intervenire con lo sbarco in Normandia per fornire un sostegno diretto. La bomba atomica è la chiave di volta per cambiare questa situazione. Tutto cambia nel momento in cui comunicano a Truman che gli esperimenti a Fort Alamogordo sono andati bene e la prima bomba è esplosa con successo. Truman partecipa a una conferenza importante, che si svolge all’inizio di luglio del ’45 a Potsdam, in Germania. Da quel momento, gli Stati Uniti cambiano completamente atteggiamento nei confronti di Stalin nelle trattative diplomatiche in cui si discute del nuovo assetto mondiale. L’accelerazione delle bombe atomiche sul Giappone, effettuata all’inizio di agosto, non è assolutamente necessaria. Analisi dell’epoca condotte dai servizi strategici statunitensi, sia nell’intelligence che nel settore militare, sostengono che il Giappone fosse già una potenza sconfitta e che non costituisse più una minaccia. Truman si è giustificato dicendo che non poteva permettere che altre vite umane venissero perse nelle varie isole giapponesi. In realtà già nel giugno del ’45 il Giappone aveva accettato l’offerta di pace e tutte le condizioni tranne una: salvaguardare la figura dell’imperatore. Gli Stati Uniti pretendevano invece una resa incondizionata, anche se era chiaro che l’avrebbero tenuto comunque l’imperatore, perché era conveniente. È quindi importante chiarire questo punto: le bombe atomiche sono state lanciate sul Giappone all’inizio di agosto del ’45 come messaggio all’Unione Sovietica. Negli stessi giorni l’URSS ha invaso i territori controllati dai giapponesi in Manciuria e in Corea, come annunciato da Stalin tre mesi prima. L’Armata Rossa stava inevitabilmente avanzando. L’Unione Sovietica stava effettivamente espandendosi verso est, liberando le zone settentrionali della Cina e della Corea, fatto che preoccupava gli Stati Uniti, che di conseguenza cercano di raggiungere la pace il prima possibile con il Giappone. Le due bombe atomiche sono utilizzate per accelerare la sua resa. Va notato che in realtà la resa del Giappone non fu determinata esclusivamente dalle bombe atomiche, ma anche dalla dichiarazione di guerra dell’Unione Sovietica, che determinò l’impossibilità di proseguire mantenendo le posizioni in Cina.
In questo contesto l’acquisizione delle armi atomiche da parte degli Stati Uniti ha avuto un impatto significativo sia sulle strategie militari che politiche. Già durante la seconda guerra mondiale si stanno elaborando piani sempre più sofisticati per distruggere l’Unione Sovietica, compresi progetti che prevedono l’utilizzo di armi nucleari. La “filosofia del bombardamento preventivo”, come afferma Gaja, si basa sulla logica che se si ha la possibilità di farlo, si deve bombardare per eliminare la minaccia. L’unico motivo per cui ciò non viene fatto è solo perché gli Stati Uniti non dispongono di un numero sufficiente di bombe o aerei e perché si rendono conto che in un contesto mondiale tumultuoso, sarebbe controproducente e porterebbe alla distruzione di una grande parte della popolazione, ma solo nelle città sovietiche, e non nelle zone rurali (ancora densamente popolate). Di conseguenza l’Armata Rossa sopravvivrebbe e ci sarebbe un enorme danno d’immagine per gli Stati Uniti a livello globale. Ciò comporterebbe il rischio che i comunisti prendano facilmente il potere in tutta Europa, poiché avrebbero dalla loro parte la forza della morale storica. Pertanto la decisione di non effettuare il bombardamento preventivo è basata su considerazioni di tipo tecnico.
Per riprendere un’espressione di Nietzsche, la “volontà di potenza”, gli Stati Uniti si ergono quantomeno a gendarme del mondo, cercando di imporre il proprio dominio totale su tutto il pianeta. Questa situazione perdura per tutto il primo decennio, dal 1945 alla metà degli anni ’50.
È vero che l’Unione Sovietica riesce a costruire la propria prima bomba atomica nel 1949, sorprendendo tutti gli analisti statunitensi che pensavano che ci sarebbero voluti almeno 20 anni. Qui vediamo la grandezza del modello sovietico e la lungimiranza di Stalin, che aveva investito in questo settore fin dagli inizi degli anni Quaranta. Non è solo lo “spionaggio dei Rosenberg”, anche se certamente l’intelligence sovietica ha contribuito non poco. In realtà tutte le grandi potenze avevano i propri programmi di ricerca nucleare. Tuttavia, fino al 1957, quando i sovietici mostrano la propria superiorità lanciando lo sputnik, il primo satellite nello spazio, gli statunitensi sono convinti di essere all’avanguardia. In diverse occasioni, i comandi militari, convinti della propria superiorità, hanno spinto sulla presidenza di Truman ed Eisenhower affinché si faccia uso dell’arma atomica risolvendo la questione una volta per tutte.
Questa “volontà di potenza” crea un irrigidimento anche nel blocco comunista.
Nell’Europa orientale Stalin voleva effettivamente mantenere delle democrazie popolari, diciamo abbastanza libere e anche pluripartitiche, ma le destabilizzazioni e il clima di guerra fredda creato dagli Stati Uniti causano un irrigidimento verso forme di governo che in alcuni casi possono contare su una vasta base di massa: in Cecoslovacchia i comunisti rappresentavano oltre il 30% ed erano il primo partito, avendo guidato la resistenza. In altri paesi, come in Polonia e Ungheria, i comunisti erano molto deboli. Non a caso, questi saranno due paesi che costituiranno una spina nel fianco durante la guerra fredda. La volontà di potenza è il periodo in cui gli Stati Uniti si preparano alla guerra atomica, un decennio in cui non a caso emerge il maccartismo, in cui bisogna reprimere tutti i dissidenti interni. Ricordiamoci che in guerra, chiaramente, si reprimono le voci dissidenti. Lo sputnik è un evento simbolico traumatico per gli Stati Uniti, che alla fine degli anni ’50 si rendono conto di non avere più il primato tecnologico su tutto. Rimangono e rimarranno sempre, fino a oggi, la principale potenza economica mondiale, la principale potenza produttiva industriale, la principale potenza finanziaria e, in alcuni aspetti, ancora la principale potenza militare. Al di là del nucleare, hanno un settore avanzato e una flotta aerea e flotte marittime (con portaerei) sparse in tutto il mondo. Tuttavia dal punto di vista militare c’è il problema dell’Armata Rossa e dei suoi alleati che si sono raccolti in difesa attorno al Patto di Varsavia (1955). Il venir meno di Stalin e l’avvento di Kruscev, un segretario che allenta i toni contro l’imperialismo, creano le condizioni per un primo “disgelo” nei rapporti diplomatici, dopo che gli Stati Uniti hanno capito di non essere invulnerabili. Se i sovietici sono in grado di mandare missili nello spazio, è possibile che siano in grado di inserire bombe nucleari su missili che colpiscano gli Stati Uniti. In realtà, non sono in grado di farlo, ma bluffando affermano di esserlo; le élite statunitensi hanno paura. Il momento di distensione alla fine degli anni ’50 è seguito comunque dalla prosecuzione dell’interventismo attivo nel resto del mondo.

 

LA CRISI E LA RISTRUTTURAZIONE DEGLI ANNI ’70

Qui subentra la questione del Vietnam, che assorbe sempre più energie. Tuttavia, negli anni ’60, gli Stati Uniti sembrano un regime in crisi. Negli anni ’60 e fino alla fine degli anni ’70, gli Stati Uniti entrano in una parabola discendente di crisi e ristrutturazione. Ci sono contestazioni interne, lotte degli afroamericani, movimenti studenteschi e persino una cultura hippie che a molti appare sovversiva. In Vietnam la guerra va male e muoiono migliaia di giovani ogni mese: un disastro per l’immagine pubblica. Con la decolonizzazione si stanno perdono molti paesi. La situazione sembra volgere verso il trionfo del socialismo nel mondo.
Fino alla metà degli anni ’70, la tendenza è una crisi dell’imperialismo, ma in realtà l’imperialismo si è già ristrutturato senza che se ne accorgessero persino a Mosca. Gli anni ’70 sono il periodo in cui il fenomeno delle multinazionali assume sempre più importanza e acquista una dimensione inedita in termini quantitativi. È il decennio in cui si struttura la globalizzazione, non solo in senso liberista, ma anche verso il neoliberismo, basandosi sulle elaborazioni sviluppate già all’inizio degli anni ’70 dalla scuola di Chicago, da vari Friedman e da altri pensatori ostili alle ricette socialiste e keynesiane. Gli anni ’70 rappresentano quindi un periodo di ristrutturazione che prepara l’offensiva degli anni ’80, che si svolge sotto la presidenza di Reagan. Per comprendere questa offensiva, bisogna capire che le élite occidentali negli anni ’70, all’apice della crisi, si stanno rendendo conto che la pace sta distruggendo il loro potere. La pace crea le condizioni per il disgelo, la distensione e gli accordi di riduzione delle armi nucleari. Tutto questo danneggia le élite capitalistiche perché consente l’ascesa di un mondo multipolare, in cui l’Unione Sovietica assume un crescente ruolo egemonico. Fin dagli anni ’50 molti Paesi nel mondo cercano di sottrarsi al dominio statunitense dichiarandosi neutrali. Questa neutralità è una politica adottata per cercare di legittimare la collaborazione anche con il blocco comunista. Gli Stati Uniti combattono questa forma di neutralismo intervendo a eliminare o cambiare il governo di uno stato neutrale.

 

DALL’OFFENSIVA REAGANIANA AL NUOVO ORDINE MONDIALE

Negli anni ’80, in particolare durante il mandato di Reagan, viene rilanciato il mito dell’impero del male dell’Unione Sovietica. Questo decennio è caratterizzato da una finanziarizzazione estrema dell’economia e da una ristrutturazione selvaggia che si basa sulla New Economy, la quale avrà il suo culmine negli anni ’90. Questo processo è il risultato degli insegnamenti del ventennio precedente, poiché dagli anni ’80 riprende vigore il totalitarismo statunitense, che aveva mostrato diverse crepe negli anni ’70. Non ci sono più giornalisti statunitensi critici durante le guerre, scompaiono le foto che mostrano la violenza visivamente, come quella della famosa bambina vietnamita… Questi eventi scandalizzano l’opinione pubblica occidentale, cosa che non deve più accadere. Da quel momento in poi diminuiscono le inchieste di questo genere. Cambia il modo di fare giornalismo. È qui che scatta il totalitarismo. Non si vedono più casi di giornali come quelli che avevano denunciato il Watergate, quindi apparentemente liberi di condurre inchieste anche contro il potere. Non ce ne sono più: lo abbiamo visto con Julian Assange, completamente ignorato dall’opinione pubblica. Quello che si è avviato dagli anni ’80, che sono anche gli anni della crisi del blocco comunista, è la ripresa di un dominio totalitario. Lo si vede anche dal modo in cui viene percepita la politica estera: in quegli anni i sovietici vengono dipinti come brutti e cattivi, accusati dell’invasione l’Afghanistan. Non viene menzionata la realtà storica secondo cui gli Stati Uniti iniziano a finanziare il movimento islamico fanatico ben prima dell’intervento militare sovietico. Gli USA finanziavano quindi un’opposizione terroristica interna di un paese sovrano, che aveva compiuto una rivoluzione politico-sociale e desiderava intrattenere relazioni diplomatiche e commerciali avanzate con l’Unione Sovietica; avevano appena perso l’Iran con la rivoluzione islamica di Khomeini (1979) e non volevano perdere anche l’Afghanistan. Negli anni ’80 gli USA riconquistano l’egemonia culturale e negli anni ’90, con la caduta dell’Unione Sovietica, si costruisce il “nuovo ordine mondiale”, come descritto dal presidente Bush senior. Questa situazione di dominio perdura per tutti gli anni ’90 e gli anni 2000. Durante questo periodo non si può dire che la storia sia finita, ma a Washington si inizia a pensare a come mantenere questa posizione dominante. Un libro molto interessante per comprendere gli ultimi 30 anni è L’Arte della Guerra di Manlio Dinucci, una raccolta di articoli di uno dei giornalisti più importanti ancora in attività. È importante sottolineare che Dinucci ha collaborato per molti anni anche con Il Manifesto, tuttavia a un certo punto il giornale ha vergognosamente deciso di interrompere la pubblicazione dei suoi articoli. Dinucci riesce ad analizzare le strategie ufficiali messe in atto dal National Security Strategy, che traccia le linee guida delle strategie statunitensi nel mondo. Già nel 1991-1992 si riflette sul fatto che i nemici potenziali sono la Russia e la Cina. Per quanto riguarda la Russia si cerca di mantenere un certo grado di sudditanza attraverso B. Yeltsin e il liberalismo selvaggio. Tuttavia si è già consapevoli che nel lungo termine la Cina rappresenterà una minaccia.
Negli anni ’90 si è verificato un decennio di apparente grande sviluppo e dominio delle multinazionali, seguito dalle contestazioni no-global. Durante il G8 di Genova è iniziata la repressione del movimento, e poco dopo si è verificato l’attentato alle Twin Towers (2001). Questi due eventi sembrano completamente casuali e indipendenti l’uno dall’altro, ma in realtà sono separati solo da pochi mesi. Personalmente, sono sempre stato scettico inizialmente, come molti, riguardo alle teorie del complotto, ma leggendo alcuni libri ho capito che è necessariamente quello che è accaduto: c’è stato un auto-attentato alle Twin Towers. Segnalo un libro su questo argomento: La Fabbrica del Terrore – Made in USA: origini e obiettivi dell’undici settembre di Webster Griffin Tarpley. Ci sono molte opere che mettono in luce non solo le connivenze tra la famiglia Bush e i Bin Laden, come aveva già fatto Michael Moore, ma anche gli obiettivi nascosti di alcune correnti del deep state. Queste correnti, più fondamentaliste e inclini alla guerra, consideravano troppo morbido il governo dei democratici e volevano imporre un’agenda neo-imperiale al nuovo presidente Bush Jr.

 

L’ATTUALE DECLINO

Arriviamo così all’ultimo ventennio, in cui gli Stati Uniti continuano a dominare e agire a loro piacimento. Intervengono in Afghanistan, in Iraq e minacciano di intervenire anche in Iran. Ci sono ancora alcuni paesi che resistono all’imperialismo occidentale e che hanno governi o presenze politiche libere. Tra questi ci sono Gheddafi (Libia) e Assad (Siria). L’obiettivo diventa “normalizzare” questa situazione, considerando che il Medio Oriente è strategico e che gli Stati Uniti devono continuare la loro politica di controllo dell’America Latina, e la spartizione dell’Africa con le grandi potenze europee. Inoltre devono impedire la costruzione di un asse euro-asiatico, che è il grande progetto alternativo della Cina e della Russia per un mondo multipolare. La crisi del 2007-2008 è stata una crisi inaspettata, perché le élite borghesi non sono così astute e commettono errori di analisi. Anche se cercano di ragionare collettivamente, talvolta alcuni aspetti sfuggono loro. Tale crisi ha accelerato una situazione che sta riproponendosi nella storia, ovvero l’ascesa di un mondo multipolare. L’ascesa della Cina nel mondo è un fatto innegabile. Secondo diversi indici, la Cina ha superato gli Stati Uniti come principale potenza economica già dalla metà degli anni ’10. È interessante notare che gli Stati Uniti divennero la principale potenza economica nel 1873, ma ci vollero 40 anni per diventare la principale potenza finanziaria e circa 70 anni per diventare la principale potenza militare e mondiale. Oggi, il mondo si muove più velocemente, e quindi i tempi possono essere ridotti, ma considerando il ritmo attuale di crescita dell’economia cinese e delle spese militari, possiamo ipotizzare che vedremo cambiamenti significativi nel mondo nei prossimi decenni. Washington è consapevole di questa situazione e sta cercando di frenare l’ascesa della Cina intensificando la guerra contro il suo principale alleato, la Russia. Nonostante la Russia abbia una potenza economica relativamente minore, ha ereditato l’arsenale, la tecnologia e la memoria culturale dell’Unione Sovietica, e quindi ha una consapevolezza delle capacità del nemico che noi mediamente non abbiamo. Alla luce di tutto ciò, è evidente che questa tendenza al declino degli Stati Uniti è palese e probabilmente irreversibile.

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