La BCE ha cessato di seguire la strategia di immissione di moneta senza limiti e i rendimenti dei nuovi titoli che il Tesoro deve mettere sul mercato hanno subito un improvviso aumento. Christine Lagarde ha confermato la fine del piano ordinario di acquisti di titoli di Stato e il primo rialzo dei tassi da 25 punti per il 22 luglio. Solo i titoli che scadono nei due vecchi programmi – il Pepp emesso in seguito alla pandemia e il Paa standard, che assieme hanno uno stock di oltre 5.200 miliardi – potranno essere reinvestiti in nuovi titoli. L’obiettivo dichiarato dell’uso di questi strumenti è quello di evitare l’aumento dello spread, ossia del differenziale dei rendimenti tra i titoli nazionali e quello tedesco, preso come riferimento migliore. Ma ciò deve avvenire senza immettere ulteriore liquidità nel sistema come si avrebbe con l’emissione di nuovi titoli.
Dopo una flessione dei mercati e un’impennata dello spread, salito a fino a 250 il 14 giugno, ora si è assestato poco sotto i 210. Significano 1,8 miliardi di aggravio di interessi che il Tesoro deve pagare per ogni punto percentuale.
Le banche italiane si sono rimpinzate di Titoli di Stato e l’incremento dei tassi fa abbassare il valore di quelli che hanno in pancia. Dopo essersi purgate in questi anni dei crediti inesigibili (NPL), saranno di nuovo nel mirino della speculazione e dei requisiti stringenti europei. Ce la faranno?
I soldi che arriveranno dal PNRR faranno da cuscinetto, assorbendo la metà dell’impatto, calcola Moody’s, ma sappiamo che alla fine quei soldi andranno restituiti o direttamente (prestiti) o come aggravio del bilancio comunitario a cui contribuiamo (la quota cosiddetta “a fondo perduto”).
Una bomba a orologeria che scoppierà alla fine di quest’anno o al massimo l’anno prossimo, quando si vedrà che i calcoli che si basavano sulla “crescita”, già irrealistici prima della crisi ucraina, sono diventati a probabilità nulla di avverarsi. Le agenzie di rating faranno presto ad affondare il debito italiano appena si vorrà deviare dal tracciato fissato.
Alcuni analisti invocano il MES come il vero compratore di titoli di Stato di ultima istanza. Ma sappiamo quali sono le “condizionalità” di quel meccanismo, che riduce a zero la possibilità del governo nazionale di esercitare qualunque politica in difformità da quella dettata dai prestatori.
Si continua a invocare questa o quella misura monetaria come se fosse il pozzo senza fondo di San Patrizio, ma si sa che non è così. Il PNRR era appena sufficiente a mettere in moto interventi molto più vasti che dovevano reggersi sul cofinanziamento privato. Ma questo per mettersi in moto ha ovviamente la necessità di intravvedere una redditività che al momento è fuori dall’orizzonte. L’ambizioso progetto della transizione energetica sta naufragando sulla urgenza di trovare fonti alternative a quelle russe a prezzi moltiplicati e in Germania si rimettono in funzione addirittura le miniere a cielo aperto di lignite. L’uscita dalla crisi pandemica attraverso un radicale nuovo irrobustimento della sanità pubblica di prossimità è ormai dimenticato, pagheremo cara la prossima crisi. L’ingolfamento dei trasporti rende necessarie occuparsi dell’oggi coi mezzi che ci sono e fa apparire sempre più una lontana chimera progetti faraonici (e a nostro avviso inutili) come il TAV e il Ponte di Messina. E si potrebbe continuare.
Insomma sembra che tutte le risorse materiali e progettuali che le manovre monetarie potevano mettere in campo si stiano bruciando rapidamente nel tamponare le emergenze. La cosa è particolarmente grave perché, essendo risorse a debito, potrebbero essere ripagate coi sacrifici dei lavoratori solo se rendessero possibile uno sviluppo permanente dell’economia, ma così non sarà. Per quanti sacrifici si potranno chiedere, essi non basteranno a risalire la china. Quindi si dovranno vendere i gioielli di famiglia, procedendo ulteriormente a raschiare il fondo del barile delle privatizzazioni. È come se un imprenditore ipotecasse i beni dell’azienda non per comprare nuovi e più efficienti macchinari, ma per pagare le fatture passate. Il disastro è dietro l’angolo. Quando ci si renderà conto che questa non è una strategia perseguibile sarà sempre tardi.
Il problema strutturale italiano, e in genere europeo, è che l’inflazione è dovuta principalmente a un incremento dei costi e non, come negli USA, a un surriscaldamento dell’economia. Tutti invocano la necessità di non cadere nella spirale prezzi-salari, il che significa ulteriore compressione della domanda. Quindi la soluzione proposta è solo quella di esportare di più a prezzi concorrenziali, mentre i costi vanno alle stelle e molti mercati ci vengono preclusi dalla politica delle sanzioni. Il trend positivo della bilancia dei pagamenti si è interrotto e nel primo trimestre del 2022 il saldo dello scambio di merci con l’estero ha registrato un valore negativo pari a 3,7 miliardi. Ciò è stato principalmente dovuto ai rincari energetici e di altre materie prime connesse con la crisi ucraina.
Inoltre, il rialzo dei tassi farà tornare l’euro a livelli di cambio col dollaro molto forti, cosa che non aiuta un paese a prevalente vocazione di trasformazione come il nostro, che ricava il margine dal valore aggiunto delle merci che esporta.
Pertanto, se pure le manovre monetarie abbiano una capacità limitata, non potendo creare da sole quella domanda e quello sviluppo senza le politiche economiche adeguate, almeno ci si augurerebbe che non venissero usate per stroncare quel poco di ripresa che ci potrebbe essere. Seguire sulla strada dell’incremento dei tassi gli USA, che come abbiamo detto hanno una situazione opposta alla nostra, sembra davvero voler gettare l’auto nel burrone.
A quale scopo però si persegue questa strada? Riflesso condizionato delle autorità monetarie? Oppure chi ci dovrebbe dirigere ha come stella polare non l’interesse dei popoli europei ma è vincolato a politiche atlantiste a tutti i costi?
Insomma, le autorità monetarie europee seguono il tracciato suicida delle autorità politiche. I mercati se ne accorgono e già gli avvoltoi cominciano a volteggiare.
La notizia che arriva da Madrid, dell’incremento previsto della forza di intervento rapido europeo fino a 300mila unità, non farà che far stringere ancora i cordoni della borsa agli interventi pubblici.
La misura del 110%, il reddito di cittadinanza, perfino il raddoppio della tassazione sui redditi dei contratti di ricerca universitari, tutto è sotto tiro per raschiare il fondo del barile. Misure criticabili per quanto si voglia le prime due, ma che non possono essere abolite di punto in bianco senza un’adeguata sostituzione, pena la messa per strada di famiglie e aziende.
In tutto questo la scure della BCE metterà la pietra tombale sull’economia europea a cominciare da quella più esposta, che è quella italiana.
2 Comments
il capitalismo rovina tutto. Più comunismo e tutto andrà meglio!!
Noi inermi cittadini non riusciamo sul momento a comprendere le ragioni alla base di gestione della cosa pubblica che risultano non solo discutibili ma addirittura tanto folli da non crederci, ragioni che intanto i burocrati al servizio dell’arruffonaggio pubblico comprendono benissimo.