di Antonio Ingroia
Finalmente, con enorme e sospetto ritardo, quasi che si volesse fare passare sotto silenzio la sentenza mentre gli italiani stanno sotto l’ombrellone di un agosto fra i più caldi della storia, i Giudici di Palermo d’appello del processo Trattativa Stato-mafia hanno depositato le motivazioni della sentenza con la quale hanno mandato assolti gli uomini dello Stato e hanno condannato – per lo stesso reato – i capimafia responsabili della stagione stragista del ‘92-’93, dove hanno perso la vita non solo Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ma anche tanti altri uomini e donne, in parte servitori dello Stato, in parte comuni cittadini.
Perché depositare di soppiatto le motivazioni di questa sentenza? Perché è lo Stato che attraverso alcuni suoi giudici piuttosto “prudenti” afferma alcune certezze, ormai innegabili, enormi ed imbarazzanti per lo Stato italiano, che è meglio cercare di far passare sotto silenzio.
Primo: c’è stata, nel pieno divampare della stagione stragista, una vera e propria trattativa fra lo Stato e la mafia. Una trattativa che – riconoscono perfino gli stessi giudici d’appello piuttosto “morbidi” nei confronti degli “imputati di Stato” tanto da averli assolti per il rotto della cuffia – è nata per iniziativa dello Stato e non certo della mafia. Una trattativa per non turbare la quale sono stati commessi da uomini dello Stato degli evidenti reati di favoreggiamento della mafia, non più punibili o perché coperti da precedenti sentenze di assoluzione dovute all’insufficienza delle prove all’epoca disponibili, come la mancata perquisizione del covo di Riina per lanciare un “segnale di buona volontà e di disponibilità a proseguire sulla via del dialogo” con gli assassini di Falcone e Borsellino, o perché ormai prescritti, come il favoreggiamento di Bernardo Provenzano, con la protezione della sua latitanza dettata da “indicibili ragioni di ‘interesse nazionale a non sconvolgere gli equilibri di potere interni a Cosa Nostra che sancivano l’egemonia di Provenzano e della sua strategia dell’invisibilità o della ‘sommersione’, almeno fino a che fosse stata questa la linea imposta a tutta l’organizzazione. Un superiore interesse spingeva ad essere alleati del proprio nemico per contrastare un nemico ancora più pericoloso”. Verrebbe da chiedere ai Giudici che hanno assolto questi uomini dello Stato perché sarebbero “indicibili” queste ragioni di “interesse nazionale” (solo nazionale? O anche internazionale?). Altra domanda : ritengono questi Giudici che essendo tali ragioni “indicibili” sono quindi non esplorabili dalla magistratura? Grave e imperdonabile scelta. Ma andiamo avanti.
Secondo punto acclarato in sentenza: chi fece quella trattativa per conto dello Stato è tutt’altro che un eroe della Repubblica, visto che pose in atto quella trattativa che i giudici, che pure li hanno assolti, definiscono frutto di “improvvide iniziative”, che – come altre sentenze definitive hanno confermato – hanno infatti determinato altro sangue, altre stragi, perché rafforzarono i mafiosi nella convinzione che eseguire stragi metteva lo Stato con le spalle a muro costringendolo a trattare a prezzi sempre più alti. Quindi, abbassi le penne e chieda scusa tutta quella canea di sedicenti “opinionisti” che in questi anni ha osannato chi ha solo tradito la Costituzione e lo Stato di diritto scendendo a patti con i peggiori assassini della storia del nostro Paese. Cosa ormai innegabile perché confermata perfino dai giudici più indulgenti nei loro riguardi.
Valuterà la Procura Generale di Palermo e la Procura Generale di Cassazione se impugnare questa sentenza che, in modo piuttosto incoerente e intimamente contraddittorio, giunge a riconoscere la liceità di un comportamento così obiettivamente agevolativo della mafia, anche da parte degli uomini dello Stato. Ciò che seriamente mi preoccupa è il significato simbolico che in una sentenza del genere possa rivestire la conclusione secondo cui la condotta degli imputati-uomini dello Stato, pur così duramente apostrofata dagli stessi giudici, venga ritenuta penalmente irrilevante perché ispirata da “fini solidaristici”, e cioè la salvaguardia dell’incolumità della collettività nazionale, e “di tutela di un interesse generale – e fondamentale – dello Stato“.
Torna, dunque, il tema della “ragion di Stato”, una malintesa ragion di Stato certamente in contraddizione con le ragioni dello Stato di diritto cui si ispiravano Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che con i mafiosi stragisti non avrebbero trattato mai.
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Fin quando per essere rispettatti basterà arricchirsi a dismisura, senza vincoli morali, fintanto che l’impegno nel lavoro viene considerata un’ingenuità dalla piccola borghesia avremo sempre chi rimpiazza il braccio silente del potere.