I recenti movimenti di truppe statunitensi, riportate da fonti pubbliche e organi di stampa, confermano che Washington si dispone ad accerchiare militarmente la Repubblica Bolivariana del Venezuela sotto la scusa di un presunto “intervento umanitario”.
Cuba ha assicurato lo scorso 13 febbraio, attraverso una dichiarazione del Governo Rivoluzionario, che gli Stati Uniti vogliono fabbricare “un pretesto umanitario per iniziare una aggressione militare contro il Venezuela” e ha denunciato voli militari nella regione dei Caraibi come parte dei preparativi.
«Il Governo Rivoluzionario della Repubblica di Cuba denuncia l’escalation di pressioni e azioni del Governo degli Stati Uniti per preparare un’avventura militare camuffata da «intervento umanitario» nella Repubblica Bolivariana del Venezuela e chiama la comunità internazionale a mobilitarsi per impedire che ciò si realizzi. Tra il 6 e il 10 febbraio del 2019, sono stati realizzati voli di aerei da trasporto militare verso l’aeroporto Rafael Miranda de Puerto Rico, la Base Aerea di San Isidro, in Repubblica Dominicana e verso altre isole dei Caraibi strategicamente ubicate, sicuramente senza mettere a conoscenza i governi di queste nazioni, originati dalle istallazioni militari statunitensi dalle quali operano unità di Forze delle Operazioni Speciali e della Fanteria della Marina, che si utilizzano per azioni segrete, incluse quelle contro leaders di altri paesi. Media politici e di stampa, anche nordamericana, hanno rivelato che operano estremisti di questo governo con una lunga carriera di azioni e calunnie indirizzate a provocare e sostenere guerre, come l’Assessore alla Sicurezza Nazionale John Bolton, il Direttore dell’Emisfero Occidentale del Consiglio di Sicurezza nazionale, Mauricio Claver-Carone, con la partecipazione del Senatore della Florida, Marco Rubio, che hanno disegnato e gestiscono il finanziamento, e organizzano direttamente e dettagliatamente da Washington il tentativo di colpo di Stato in Venezuela mediante l’illegale proclamazione di un presidente.»
Anche se fonti a Washington e in alcuni dei paesi coinvolti si sono affrettati a negare le denunce cubane, le ultime informazioni disponibili ribadiscono e ampliano le evidenze di un accerchiamento militare premeditato contro Caracas.
“Gli Stati Uniti accumulano silenziosamente il loro potere militare sul Venezuela“, ha segnalato sul quotidiano Washington Examiner il giornalista ed esperto militare britannico, Tom Rogan. “Una importante presenza navale e marittima degli Stati Uniti sta operando vicino alla Colombia e Venezuela. Che sia una coincidenza o no, questi dispiegamenti danno alla Casa Bianca un crescente rango di opzioni“.
Secondo Rogan, in meno di una settimana il Pentagono è nelle condizioni di dispiegare 2.200 marines, aerei da guerra, carri armati e due portaerei in Venezuela.
Le tre punte del tridente statunitense sono Caraibi, Colombia e Brasile. Non è casuale che l’ammiraglio Craig Faller, capo del Comando Sud, abbia visitato Bogotà, Brasilia e Curazao nelle ultime settimane, sotto la copertura della presunta organizzazione della consegna di “aiuto umanitario” al Venezuela.
Caraibi: la portaerei Abraham Lincoln a Curazao
Con l’autorizzazione dell’Olanda, gli USA organizzano un centro di distribuzione del presunto aiuto nell’isola di Curazao, a pochi km dalle frontiere con il Venezuela.
Ma la mobilitazione militare è molto più ampia nella regione caraibica. Nella denuncia cubana, si spiega come tra il 6 e il 10 febbraio 2019, sono stati realizzati voli di aerei di trasporto militare verso l’Aereoporto Rafael Miranda di Puerto Rico, la Base Aerea di San Isidro, nella Repubblica Dominicana e verso altre isole dei Caraibi strategicamente ubicate.
Adesso si aggiunge l’annuncio che la Marina degli USA ha dispiegato un Gruppo di Attacco con Portaerei (CSG) nell’Oceano Atlantico e di fronte alle coste della Florida.
La flotta è composta dalla portaerei USS Abrahm Lincoln (CVN-72), un incrociatore missilistico e quattro cacciatorpediniere, a cui si aggiunge una fregata della marina spagnola invitata a partecipare.
“Gli CSG hanno capacità multipiattaforma per operare ovunque sia e quando sia richiesto. Inoltre possiede la flessibilità e la capacità per condurre guerre di grande scala e assicurare la libertà dei mari, i CSG sono simboli visibili e potenti dell’impegno degli USA verso gli alleati, partner e amici”, segnala una nota di stampa ufficiale della marina statunitense.
A bordo del USS Abraham Lincoln, portaerei nucleare della classe Nimitz, opera lo Squadrone Aereo Imbarcato (CVW) 7, equipaggiato con i Lockheed F-35C Lightning II, il cacciabombardiere più avanzato dell’arsenale statunitense.
Il gruppo ha iniziato il 25 gennaio le esercitazioni COMPTUEX, destinate ufficialmente a metter a punto la formazione precedente ad un dispiegamento militare.
Anche se la sua ubicazione attuale e l’obiettivo del suo dispiegamento non si conoscono, i consiglieri specializzati negli affari militari Stratfor e Southfront hanno collocato il CSG in qualche punto dell’Atlantico di fronte alle coste dello stato della Florida.
Negli ultimi giorni è stato riportato che il gruppo ha provato un crossover, manovra necessaria per entrare nel Mar Caraibico, dal quale lo separano pochi giorni di navigazione.
Ragan segnala nel suo articolo un altro dato interessante. Gli USA potrebbero avere non una, ma due portaerei nel quadro operativo del Venezuela in una settimana.
La portaerei USS Theodore Roosevelt e la nave da sbarco anfibio USS Boxer, che si trovano “casualmente”, in questo momento, nel porto di San Diego, California, a meno di una settimana di navigazione dalla costa colombiana nel pacifico.
“La USS Boxer ha a bordo la undicesima Unità di Spedizione di Marines (MEU), una delle 7 MEU che possiede l’esercito degli Stati Uniti. Questa unità di Marines è composta di circa 2.000 uomini. Il proposito espresso da una MEU è quello di offrire una rapida capacità di dispiegamento militare”, considera Ragan.
Colombia, dove Bolton vuole mandare 5.000 truppe
Dai tempi del Plan Colombia, inaugurato nel 1999, la Colombia è uno dei principali alleati militari degli Stati Uniti nella regione. Washington era sul punto di installare formalmente 7 basi militari nel territorio colombiano durante il mandato di Alvaro Uribe, ma una decisione della Corte Costituzionale bloccò il piano.
Tuttavia, Bogotá ha trovato il modo di aggirare ciò ed ha infine autorizzato una presenza e schieramento logistico statunitense nelle principali installazioni militari della nazione andina.
Questa stretta alleanza è saltata agli occhi dell’opinione pubblica alla fine di gennaio, quando il consigliere della Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, John Bolton, ha mostrato “accidentalmente” un’annotazione nel suo quaderno di appunti con il piano di inviare 5.000 truppe statunitensi in Colombia, come parte dell’operazione contro il Venezuela.
Lo stesso presidente Donald Trump non ha scartato l’idea e, ad una domanda in merito durante la riunione con il suo omologo colombiano, Duque, si è limitato a dire: «Vedremo».
Il presidente colombiano, da parte sua, ha preferito non rispondere con un “sì” o un “no” alla possibilità che la Colombia permetta l’ingresso di truppe statunitensi, nonostante il giornalista Bricio Segovia, di Voz de America, glielo abbia ripetutamente chiesto.
Anche se non si conferma l’arrivo dei 5 mila effettivi militari, gli USA hanno già operativo un ponte aereo dalla base militare di Homestead in Florida alla località colombiana di Cúcuta, a 2.600 km di distanza.
Per le operazioni vengono utilizzati almeno tre aerei di trasporto militare pesante a lungo raggio C-17 Globemaster III, fabbricati da Boeing e con capacità di carico di 180 tonnellate e tra 80 e 100 di equipaggio.
Homestead è, inoltre, la sede del Comando Sud degli USA.
E’ il Comando Unificato delle Forze Armate degli Stati Uniti che operano in America Latina e Caraibi e uno dei nove comandi che sono direttamente vincolati alla massima direzione del Dipartimento di Difesa degli USA. Opera in un raggio d’azione di 32 paesi, 19 nel Centro e Sudamérica e il resto nei Caraibi.
Il Brasile di Bolsonaro, un nuovo alleato del Pentagono
Il Brasile, il maggior paese del Sud America, che possiede le maggiori forze militari, si è trasformato negli ultimi anni in un alleato inaspettato del dispiegamento del Pentagono nella regione.
I governi di Michel Temer (ad interim dopo un golpe parlamentare) e di Jair Bolsonaro, hanno cambiato la matrice del forte nazionalismo consolidato nei governi del Partito dei Lavoratori.
In una delle prime interviste dopo aver assunto la carica di presidente, Bolsonaro ha assicurato al canale SBT che esiste la possibilità di installare una base militare statunitense nel paese.
Ma Bolsonaro, un ex capitano di rango minore, ha ritrattato in parte la sua idea avendo ricevuto forti critiche dai suoi stessi generali.
Tuttavia, nulla può mettere in dubbio la vicinanza del nuovo presidente brasiliano di estrema destra con il suo omologo statunitense, né l’ammirazione dei suoi due figli per il Mossad (servizi segreti israeliani) e l’Esercito d’Israele.
Il capo del Comando Sud degli USA è stato la settimana scorsa in Brasile, ricevuto dal cancelliere Ernesto Araujo, con il quale ha discusso la “questione Venezuela”.
Bolsonaro si è impegnato ad utilizzare lo stato di Roraima come centro di raduno del presunto “aiuto umanitario” contro il Venezuela, e pertanto del dispiegamento logistico statunitense.
Quale che sia l’obiettivo della mobilitazione militare ordinata dalla Casa Bianca – dai preparativi di una aggressione diretta all’altra misura di pressione psicologica contro le sue autorità legittime – ciò che risulta innegabile in questo momento è che gli Stati Uniti muovono le loro pedine nella regione per accerchiare il Venezuela da tutte le vie a sua disposizione.
Di fronte a questo scenario, Cuba ha fatto un appello a tutti i popoli e governi del mondo per difendere la Pace e opporsi uniti, al di là delle differenze politiche o ideologiche, per fermare un nuovo intervento militare imperialista nell’America Latina e Caraibi che colpirebbe l’indipendenza, la sovranità e gli interessi dei popoli dal Rio Bravo alla Patagonia.
Fonte: articolo originale pubblicato su cubadebate a firma di Sergio Alejandro Gómez e Edilberto Carmona Tamayo