Il 22 maggio esce sull’inserto di Palermo di Repubblica un’intervista di Alessia Candito al giudice in pensione Roberto Scarpinato. [1]
La verità che racconta dovrebbe provocare un terremoto da travolgere le istituzioni di qualunque paese.
Egli le racconta da anni ma, come voce che urla nel deserto, non succede nulla.
Se si vuole una dimostrazione concreta di come si possa avere una “libertà” formale di espressione, unita alla sua più totale sterilizzazione, ebbene questa intervista è l’esempio più eclatante.
La prossima volta che ci sentiamo dire che Italia c’è la “democrazia” e in altri paesi c’è la “dittatura”, ebbene ricordiamoci di questo come di tanti infiniti altri casi.
Questo è il nostro commento alle lacrime di coccodrillo che ogni anno il 23 maggio lo Stato spreca in lungo e in largo da vent’anni.
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«Stiamo celebrando il trentennale con lo smantellamento delle leggi antimafia che ci hanno consentito di raggiungere i risultati che abbiamo».
«Per usufruire dei benefici penitenziari occorre dimostrare che si è “rieducati”. Con la riforma, non è necessario collaborare per dimostrarlo».
«Il sistema Paese. L’ultima evoluzione è l’oligarchizzazione del potere. La ricchezza e il potere si accumulano sempre più nei piani alti della piramide sociale, la stessa cosa sta avvenendo nelle mafie».
«I criminologi li definiscono sistemi crimino-affaristici o criminali, oppure cricche, P3, P4. Sono associazioni di cui fanno parte dei soggetti di mondi diversi – politica, finanza, colletti bianchi della mafia – che mettono insieme le risorse di cui dispongono – il potere di relazioni, economico, eventualmente anche militare – per mettere le mani su fette della società e dell’economia. Questa nuova soggettività criminale usa sempre meno la violenza. A cosa serve se non ci sono ostacoli da superare?».
«La storia della Repubblica nasce con una strage politico-mafiosa, Portella della Ginestra. Da allora è stata una successione ininterrotta: piazza Fontana nel 1969, Peteano nel ’72, Italicus e Brescia nel ’74, Bologna nel 1980, l’Italicus nel 1984, fino ad a quelle del ’92-93. E tutte hanno un unico denominatore: i depistaggi».
«Dopo la caduta del muro di Berlino si rompe un sistema di equilibri. Internazionali e nazionali. I vertici delle lobbies criminali del tempo – mafie, massoneria deviata, servizi – si trovano in una situazione difficile c’era il rischio che si aprissero gli armadi e uscissero tutti gli scheletri. E gli interessi economici erano fortissimi».
«Nella mia ultima indagine ho scoperto cose che andavano al di là di quello che potessi immaginare, che mi hanno fatto molto riflettere perché sono verità che sono state nascoste per lungo tempo».
«Se i testi non parlano, se la polizia inizia a far sparire documenti, se il consulente fa una perizia falsa, salta tutto».
[1] Titolare delle indagini sugli omicidi di Pio La Torre, Piersanti Mattarella e dell’inchiesta per associazione mafiosa a carico di Giulio Andreotti, procuratore generale di quella Corte d’appello che ha portato a processo i killer del poliziotto Nino Agostino.