L’antimperialismo “barocco” (*)

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L’antimperialismo “barocco” (*)

di Alberto Lombardo

(Resp. dip. Formazione Partito Comunista)

Ancora una volta Losurdo riesce con capriole dialettiche a far passare una sua tesi, che ormai sostiene da quarant’anni, ossia che esiste un nemico “principale”, che sarebbero gli Stati Uniti, e che di conseguenza tutti gli altri imperialismi sono nemici secondari. Quindi, seguendo il vecchio adagio che “il meglio è nemico del bene”, occorre promuovere un fronte antistatunitense, arruolando chi ci sta, indipendentemente da quali siano le finalità che gli adepti possano portare in questa coalizione.

In questo saggio Losurdo scomoda non solo Togliatti, ma addirittura Lenin e Stalin, facendo una operazione di taglia e cuci, mettendo prima a Lenin in testa pensieri che egli non aveva e poi mettendo Stalin contro se stesso, mostrandolo come una specie di dr. Jekyll e Mr. Hyde che dice una cosa in un testo (quello buono che Togliatti avrebbe addirittura ispirato) e quello cattivo ed estremista in un altro. L’operazione, non nuova, prende le mosse dal solito “fraintendimento” del senso della strategia inaugurata al VII Congresso dell’Internazionale Comunista del 1935 e poi della conduzione della Guerra Patriottica e del dopoguerra con il movimento della pace.

Per mistificare la “svolta” del VII Congresso Losurdo cita Carlo Rosselli e i trozkisti, coi quali non si può essere d’accordo per ovvi motivi (quindi una prima “astuzia” dialettica: “se non sei con me, o sei un rinnegato trozkista o un borghese, onesto, ma sprovveduto e barocco”). Rosselli nel testo citato prende una cantonata, sostenendo che col VII Congresso «La tesi marxista tradizionale è stata accantonata e si è scivolati sempre di più verso la tesi della “guerra democratica”. Il conflitto attuale non sarebbe più il portato di un conflitto imperialistico, ma di un conflitto tra Stati pacifisti (lo Stato proletario) e il fascismo, soprattutto il fascismo tedesco». Naturalmente leggendo i testi del VII Congresso, in particolare quello magistrale di Dimitrov, tutto questo non c’è; c’è invece la necessità di unire la classe operaia su parole d’ordine e azioni antifasciste che scardinino la dittatura terroristica della borghesia. Losurdo, anziché contestare la ricostruzione di Rosselli (e nascondendosi dietro citazioni fuori contesto di Lenin e di Gramsci), quasi la coonesta, la fa passare per veritiera, ma giustificando la cosa prendendo a scusa «le radicali novità intervenute nel quadro internazionale… Rispetto al 1914, era intervenuta una nuova contraddizione, quella tra capitalismo e socialismo», arrivando a sostenere che «A rischiare l’assoggettamento coloniale o neocoloniale era persino un paese come la Francia e attaccando i «seguaci di una “convinzione barocca”» dell’imperialismo! «Questa disgraziatamente può manifestarsi anche a un diverso livello: nell’analisi dei rapporti internazionali non mancano coloro che ritengono di essere campioni tanto più conseguenti dell’antimperialismo quanto più lungo è l’elenco da loro stilato dei paesi imperialisti, tutti messi sullo stesso piano!», chiaro attacco all’Iniziativa dei Partiti Comunisti e Operai d’Europa e in primo luogo al KKE.

Losurdo si sforza di far passare Lenin come un antileninista mettendogli in bocca parole che lui non avrebbe mai scritto. Vediamo il passaggio:

«Va da sé che tale visione barocca era del tutto estranea a Lenin. Questi, nel 1916, nel distinguere il colonialismo classico dal neocolonialismo, fa notare che quest’ultimo si fonda non sull’“annessione politica” bensì su “quella economica” e a tale proposito adduce l’esempio, oltre che dell’Argentina, anche del Portogallo, il quale ultimo «è di fatto un “vassallo” dell’Inghilterra» (Lenin Opere Complete, Ed. Riuniti 23; 41-42). Il grande rivoluzionario non ignorava certo che il Portogallo era anch’esso detentore di un impero coloniale (contro il quale, ovviamente, la lotta doveva continuare); tuttavia, l’aspetto principale (da non perdere mai di vista) era l’asservimento neocoloniale del Portogallo, entrato in qualche modo a far parte, in ogni caso sul piano economico, dell’Impero britannico.»

Ecco la capriola dialettica: fino a un certo punto, fino alla parola “vassallo”, la citazione è di Lenin, ma la conclusione è poi la sua, di Losurdo, quando introduce il concetto di “neocoloniale”.

Perché questa differenza è fondamentale? Dire “vassallo” significa riferirsi alla immagine della “piramide imperialista” che è basata sul concetto leniniano di sviluppo ineguale del capitalismo. Questo concetto però conduce Lenin – quello prima della rivoluzione, così come quello delle tesi di Aprile, così come quello della NEP, perché non ci sono diversi Lenin, ma uno solo – alla necessità di combattere innanzitutto la borghesia del proprio paese per impedire la guerra o eventualmente sabotarla. Far virare questo concetto in quello di “colonia” o “neocolonia” induce invece a pensare che ci siano dei margini per – o addirittura una necessità di – un’alleanza con la “propria” borghesia per liberarsi dall’imperialismo “principale” e poi “fare i conti” con la propria borghesia. Né più né meno che il principio che guidò Kautsky e soci ad appoggiare il “proprio” imperialismo, che si riteneva “più favorevole” di quello zarista che sarebbe stato imposto alla Germania in caso di vittoria della Russia.

(Tra l’altro il riferimento al sistema “neocoloniale” è completamente errato: il sistema neocoloniale si riferisce alle ex colonie che si erano liberate dall’asservimento politico del vecchio imperialismo, per essere asservite economicamente col nuovo imperialismo del secondo dopoguerra. Enumerare il Portogallo in questa categoria è singolare!).

La citazione di Lenin fatta da Togliatti, riportata subito dopo, che stigmatizza “la visione barocca dell’antimperialismo”

«Una delle qualità fondamentali dei bolscevichi […], uno dei punti fondamentali della nostra strategia rivoluzionaria è la capacità di comprendere ad ogni istante quale è il nemico principale e di saper concentrare tutte le forze contro questo nemico» (Palmiro Togliatti Opere, Ed. Riuniti, 3.2; 747)

ci induce ad accettare la visione “kautskiana” di Losurdo proprio contro il pensiero di Lenin. Un capolavoro di dialettica, non c’è che dire.

Ora tocca a Stalin subire analoga, se non peggiore sorte: «… il 1952. Era l’anno in cui cadevano due dichiarazioni di Stalin fra loro difficilmente compatibili.». La prima, il XIX Congresso del PCUS in cui Stalin denunciando la subalternità degli alleati o vassalli europei e occidentali di Washington, chiamava i partiti comunisti a risollevare la bandiera dell’indipendenza nazionale e delle libertà democratiche «buttata a mare» dalla borghesia dei loro paesi. La seconda, in Problemi economici del socialismo in URSS, in cui Stalin ammonisce a non illudersi che le contraddizioni inter-imperialistiche non avrebbero potuto portare a nuovi conflitti.

Per i comunisti ovviamente non c’è contraddizione alcuna tra queste due brillanti proposizioni, che anzi si completano vicendevolmente: denunciare il tradimento della borghesia anche dei suoi stessi valori nazionali e democratici, perché schiacciata dalla competizione inter-imperialistica. Ancora una volta l’immagine della piramide imperialista basata sul concetto leninista dello sviluppo ineguale dell’imperialismo è l’unica chiave di lettura possibile.

Qui Losurdo gioca sporco. Rilevando che «… le cose sono andate in modo esattamente opposto rispetto alle previsioni formulate da Problemi economici del socialismo in URSS: a disgregarsi è stato non il campo imperialista bensì quello socialista», facendo fare a Stalin una predizione che era ben lungi dalle sue intenzioni, tenta di screditare tutto il suo testo. Quindi Losurdo ribalta il tavolo:

«È evidente l’errore logico contenuto nei Problemi economici del socialismo in URSS: dalla premessa dell’inevitabilità della guerra nel capitalismo non scaturisce in alcun modo la conclusione che lo scontro tra le potenze imperialistiche sia sempre all’ordine del giorno, quasi che tale scontro non comporti mai, o solo per un breve periodo, la distinzione tra vincitori e vinti. Ad esempio, dopo la sconfitta di quello che Lenin definisce l’“imperialismo napoleonico” (Lenin, Op. cit., 22; 308), per quasi un secolo l’imperialismo britannico è rimasto in pratica senza rivali.»

Quindi il prof. Losurdo dice che dal 1815 fin quasi al 1914 la Francia aveva un impero coloniale di second’ordine, non era una primaria potenza navale e finanziaria (e questo nonostante il disastro militare anche del secondo Napoleone), che la Russia della guerra di Crimea del 1853-56 fosse un “vassallo” indisciplinato, così come la Germania alla vigilia della Prima Guerra mondiale! Per non parlare dell’enorme sviluppo del capitalismo imperialista statunitense. Si aspettano chiarimenti.

Losurdo passa quindi a citare il Togliatti del 1952 (intervento al Comitato Centrale del PCI), cercando di agganciarsi a lui per le sue argomentazioni, quando quegli parlava dei tentativi di «strozzare la libertà e vendere l’indipendenza del paese», della trasformazione dell’Italia «in una colonia asservita a un imperialismo straniero»; dei «gruppi dirigenti dei paesi assoggettati agli Stati Uniti d’America» (Togliatti, Op. cit., 5; 705-6). Ma la citazione completa di Togliatti riportata in realtà parla de

«… l’assoggettamento economico, politico e militare, quindi di tutta una serie di paesi che fino a ieri erano paesi indipendenti e anche di capitalismo sviluppato come la Francia e l’Italia…».

Quindi il concetto espresso dal Togliatti del 1952 è lontano dalla separazione di un imperialismo “nemico principale” e una borghesia nazionale “colonizzata”; anche se il termine “colonia” – contrariamente a quanto Losurdo sostiene che «Sarebbe un grave errore leggere questo testo come una banale tirata propagandistica» – dovrebbe essere o definito con maggiore chiarezza o effettivamente si presterebbe ad aprire la strada a una visione non leninista.

Riportiamo quindi la conclusione di Losurdo:

«La contraddizione tra paesi “di capitalismo sviluppato” non è necessariamente ed esclusivamente una contraddizione inter-imperialistica, può anche essere la contraddizione tra un imperialismo particolarmente potente e aggressivo e una potenziale colonia o semicolonia. Sarebbe un inammissibile abbellimento dell’imperialismo pensare che esso rifugga a priori dalla trasformazione di un paese “di capitalismo sviluppato” in colonia o semicolonia.»

A questa conclusione noi ci opponiamo fermamente.

Scambiare per “colonia” o “semi-colonia” un paese capitalista, o a maggior ragione un paese a capitalismo avanzato è contrario a principi del leninismo, alla sua visione dell’imperialismo, a partire dalla sua base economica che ne genera e ne determina il carattere politico.

Le conseguenze sarebbero esiziali. Si sbaglierebbero alleati e parole d’ordine. Si arriverebbe a proporre una melassa indistinta e indigeribile con ambienti sociali e politici da evitare come la peste, quali “sovranisti” e pezzi di borghesia, anche alta borghesia, che nella roulette dell’Europa Unita non è riuscita a stare al passo con i tempi della concentrazione monopolistica.

Per liberare dall’Italia dal giogo statunitense quali sono gli alleati e quali sono i nemici?

“Unire la sinistra, isolare il centro e battere la destra”.

La “sinistra” oggi non è certo la categoria politica che ha ammorbato l’aria degli ultimi vent’anni, ma le classi sociali che devono essere alla testa del movimento rivoluzionario: la classe operaia alla sua guida e poi tutte le categorie che si riconoscono sotto la sua egemonia. Il “centro” è costituito dall’ampia fascia di piccola borghesia in via di proletarizzazione (sarebbe meglio oggi, visti i tempi che corrono, parlare di sottoproletarizzazione), che deve essere strappata all’egemonia della destra e convinta che le lancette dell’orologio della storia non possono ritornare al periodo che per essa fu d’oro, ma che solo l’adesione all’egemonia proletaria alla guida di un governo popolare può dare una via di salvezza dalla crisi. La “destra”, lungi dall’essere solo la destra fascista e xenofoba, è soprattutto il capitalismo monopolista italiano che partecipa al banchetto imperialista, anche se in misura subalterna, in Italia, ma anche in Grecia o in Portogallo, e attraverso l’adesione alla piramide imperialista schiaccia i diritti e le condizioni di vita delle masse popolari.

Oggi i pericoli di guerra sono fomentati principalmente dall’aggressività dell’imperialismo della NATO, degli Stati Uniti, ma anche e non meno dei suoi alleati europei. Tutto questo blocco imperialista sta perdendo terreno rispetto agli altri blocchi capitalisti-imperialisti, a cominciare dai cosiddetti BRICS. Perdono terreno dal punto di vista economico, nella quota del commercio estero e dell’appropriazione delle risorse e delle reti, ma anche militare ed è per questo, per questa accesa competizione inter-imperialistica che i pericoli di guerra aumentano.

A impedire la guerra non saranno i capitalisti in ascesa che oggi, è vero, non hanno interesse a scatenare la terza guerra mondiale, ma hanno solo interesse a spartirsi il mondo in modo più favorevole a loro. A impedire la guerra non saranno le nostre “borghesie nazionali”, pronte come sempre a saltare sul carro del vincitore e mai ad allearsi con il proprio proletariato, se non quando questo è prono e subalterno ai suoi interessi. A impedire la guerra potrà essere solo il proletariato di tutto il mondo e i suoi alleati che accettano la sua egemonia: in Italia così come in tutti i paesi in cui vige lo sfruttamento e l’accumulazione capitalistica che oggi, nell’epoca dell’imperialismo, non può non significare aggressione economica e militare.

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