Giorni fa, parlando con una giovane compagna che domandava riguardo la guerra in Jugoslavia e le vere responsabilità politiche di quegli eventi, le ho fatto un esempio: immaginiamo di essere accusati di aver abbattuto il più grande albero del mondo senza che però nessuno si domandi chi siamo, che cosa facciamo nella vita ma soprattutto come abbiamo potuto abbattere l’albero, praticamente accusati senza una spiegazione logica e valida del perché del misfatto; in questo caso di cosa staremmo parlando? Semplicemente di “voci” buttate lì per un determinato scopo: confondere e dividere.
Quanto successo a metà e verso la fine degli anni ’90 in Jugoslavia, lo sappiamo tutti. La guerra all’ex Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia fu lo “snodo” storico principale dell’interventismo imperialista della Nato dopo la fine dell’URSS. Un intervento armato volto a distruggere l’indipendenza di un paese (o meglio di una Federazione di nazionalità) che rappresentava non soltanto uno “scomodo” inquilino nei Balcani, ma anche un’enclave storicamente vicina alla Russia (a parte i rapporti non proprio idilliaci tra Stalin e Tito).
La guerra in Jugoslavia fu la più complessa, caotica e sanguinosa in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale: accordi di cessate il fuoco, inizialmente accettati, per essere stracciati solo poco tempo dopo; Nazioni Unite che tentarono più volte di far cessare le ostilità, con la stesura di piani di pace fallimentari; trattative condotte da mediatori spesso “deboli” e “inadatti” come gli inglesi Peter Carington e David Owen, che finirono per far aggravare il conflitto più che pacificarlo.
Per essere precisi Peter Carington fu Presidente del Partito Conservatore Inglese dal 1972 al 1974, membro del Governo Thatcher nel 1979 e, guarda caso, segretario generale della NATO dal 1984 al 1988 (1), e nel 1991, presiedette i colloqui diplomatici sulla divisione della ex Jugoslavia e tentò di far approvare un piano che, ponendo fine alle guerre, prevedeva che ogni repubblica diventasse una nazione indipendente.
David Owen invece è particolare: prima stava nel Partito Laburista Inglese, poi lo lascia nel 1981 fondando il Partito Social-Democratico Inglese che a sua volta, nel 1988, confluisce nel Partito dei Liberal-Democratici, un partito centrista, socioliberale, progressista, europeista, ambientalista e federalista, sostenitore della libertà del mercato e della promozione dei diritti civili. Non finisce qui: il “Lord” Owen fu uno di quelli che cercò, assieme a un certo Stoltenberg (che coincidenza…) di “pacificare” la situazione di guerra in Bosnia, facendo in modo che questa diventasse Bosnia-Erzegovina, andando a frammentare il territorio dell’Ex Jugoslavia (2), e per questo, l’11 Giugno del 1994, “Per i suoi servizi nell’ex Jugoslavia” riceve l’onorificenza di “Membro dell’Ordine dei Compagni d’Onore” (3), un ordine cavalleresco inglese che premia personalità per “per meriti eccezionali nelle arti, nella letteratura, nella musica, nelle scienze, in politica, nell’industria e nella religione”(4). Alla fine della storia possiamo dire che, più che deboli e inadatti, questi due inglesi erano quello di cui la Nato aveva bisogno: degli avventori di guerra.
Andiamo avanti: a seguito del perdurare dell’assedio di Sarajevo, capitale della Bosnia Erzegovina, e delle atrocità connesse, il 30 agosto 1995 la NATO scatenò l’Operazione Deliberate Force contro le forze della Repubblica Serba in Bosnia di Karadžić. La campagna militare aerea della NATO, data l’evidente superiorità, inflisse gravi danni alle truppe serbo-bosniache e si concluse il 20 settembre 1995, il bilancio della guerra fu molto duro: basti ricordare che il solo assedio a Sarajevo da parte delle truppe serbo-bosniache durò 43 mesi; inoltre i gruppi nazionali si resero protagonisti di crimini di guerra e di operazioni di pulizia etnica, causando moltissime perdite tra i civili.
A tal proposito un’interpellanza, durante il Governo Dini, dell’allora Onorevole Oliviero Diliberto dice:
“la situazione nella ex-Jugoslavia, dopo i recenti raid della Nato su Pale, sta rapidamente degenerando. Il conflitto si e’ riacceso in larga scala con ritorsioni terribili nei confronti della popolazione civile (si veda l’eccidio di Tuzla) ed il sequestro di quasi 400 caschi blu di diverse nazionalita’ da parte delle milizie serbo/bosniache; una nuova catena di sangue e di lutti, nuove ed odiose pulizie etniche rischiano di profilarsi in assenza di una forte iniziativa di pace; sotto accusa e’ in particolare l’atteggiamento della comunita’ internazionale caratterizzato sempre di piu’, negli ultimi mesi, da una sorta di “strabismo politico”. Zone dichiarate protette dall’Onu sono state a lungo oggetto di scorribande e di violazioni di tale status da parte dell’esercito bosniaco/musulmano e croato (si e’ consentito l’offensiva della V armata bosniaca nella sacca di Bihac, l’attacco delle milizie musulmane sul monte Igman nei pressi di Sarajevo, l’utilizzo dell’aeroporto di Tuzla per carichi di armi etc.). Solo quando le violazioni sono avvenute da parte serba (spesso in reazione a quelle di altre parti in conflitto) la comunita’ internazionale ha reagito con raid militari e condanne politiche; la tregua faticosamente conseguita nella primavera del ’94, che aveva consentito alle citta’ assediate di respirare e riprendere una parvenza di vita normale, e’ fallita perche’ si e’ tollerato, in alcuni casi alimentato, il riarmo e l’offensiva militare di due delle tre fazioni in campo; i raid della Nato sono stati benzina sul fuoco, non hanno arrestato ma moltiplicato le situazioni di conflitto, screditato i caschi blu nella loro funzione di forza d’interposizione tanto da essere percepiti sempre di piu’ come “la quarta sezione armata”. I “bombardamenti di ritorsione”, oltre che essere controproducenti rispetto a politiche di pace, sono in contrasto con lo spirito e la lettera della carta istitutiva delle Nazioni Unite e con l’articolo 11 della nostra Costituzione Repubblicana; i paesi che hanno dichiarato di non voler piu’ rispettare l’embargo Onu sulle armi, come gli Usa, dovrebbero essere tenuti fuori dall’area della crisi.” (5)
Dopo la Guerra di Bosnia ci fu la guerra in Kosovo: da un lato le truppe federali jugoslave, dall’altra l’organizzazione dell’Ushtria Çlirimtare e Kosovës (UÇK) (alias terroristi fascisti finanziati dalla CIA) (6-7), fautrice dell’indipendenza del Kosovo dalla Repubblica federale della Jugoslavia, appoggiata dagli attacchi aerei della NATO contro la Repubblica Federale Serba (con l’uso dell’uranio impoverito contro la popolazione civile serba). Il successivo accordo di Kumanovo, firmato nel 9 giugno 1999, sancì la conclusione delle ostilità, il ritiro delle truppe federali dal Kosovo e lo stabilirsi nella regione di un protettorato internazionale (UNMIK) sotto l’ala delle Nazioni Unite. Attualmente la situazione in Kosovo è di nuovo in uno stato di guerra: ancora una volta le azioni dell’Occidente Nato/UE si fanno vedere e sentire.
Ma veniamo alla “nostra” storia, quella che molti non conoscono, se non per sentito dire e che alcuni banalizzano in frasi stupide e politicamente insignificanti. Mettiamo sotto la lente ciò che accadde in quegli anni in Italia e parliamo del coinvolgimento dell’Italia di quegli anni in queste guerre, per capire chi era dove e cosa faceva durante i fatti della guerra in Jugoslavia nel 1995.
L’intervento della Nato arriva “ufficialmente”, come abbiamo visto, il 30 agosto 1995, ma era già in preparazione da mesi: basti pensare alla figura di un certo Rupert Smith senza contare gli attacchi NATO di maggio all’esercito serbo, ma possiamo anche andare indietro al 1991 quando la CIA ebbe un ruolo durante la secessione della Croazia, ecc. con una potenza di fuoco aereo micidiale (3.515 attacchi contro 338 obiettivi). Da dove partivano gli aerei? Gli aerei partivano dalle basi italiane (principalmente Aviano ed Istrana) o dalla portaerei statunitense USS Theodore Roosevelt. Chi diede il permesso per tali raid? Il governo di Lamberto Dini, in carica da pochi mesi, esattamente dal 17 gennaio 1995 a seguito della caduta del I Governo Berlusconi, di cui Dini era, guarda caso, ministro del Tesoro. Fu il primo caso di “governo tecnico” della storia repubblicana, cioè interamente composto di personalità scelte al di fuori della politica attiva, nonché il secondo ad essere presieduto da un non parlamentare.
L’opposizione a quel governo fu l’allora Rifondazione Comunista, che però si spaccherà il 16 marzo 1995 sulla votazione della manovra economica di febbraio su cui il governo pose la questione di fiducia: a votare a favore fu una componente del PRC che darà successivamente vita ai Comunisti Unitari, tale componente contava su 14 deputati, 3 senatori e 2 europarlamentari; un numero decisamente importante se consideriamo che la fiducia passò con 315 sì, 309 no e un astenuto: praticamente il voto decisivo arrivò dalla parte che doveva essere opposizione.
I Comunisti Unitari, capeggiati da Fabiano Crucianelli (esponente de Il Manifesto assieme a Rossana Rossanda ed espulso a suo tempo dal PCI) confluiranno nel 1998 nel PDS (chi se lo sarebbe mai aspettato…), ma intanto 14 giugno 1995 il Movimento dei Comunisti Unitari entra nella maggioranza dando al governo la maggioranza dei voti alla Camera, seppur solo di 4 voti. Teniamo a mente tutto quello che è stato scritto da “il governo di Lamberto Dini” a “solo di 4 voti” perchè sarà importante per il proseguo della narrazione.
Andiamo avanti. Il 2 febbraio 1995 Romano Prodi, da sempre democristiano, annuncia di volersi candidare alle successive elezioni auspicando la creazione di una grande coalizione di centro-sinistra. Il governo Dini termina il 18 maggio 1996; al suo posto s’insedia il Governo Prodi I. Tale governo ha l’appoggio esterno di Rifondazione Comunista, del Movimento dei Comunisti Unitari e di altre forze. Opposizione a questo governo è la destra. Particolare: il ministro degli Esteri è Lamberto Dini, l’ex primo ministro, l’ex ministro del tesoro del Governo Berlusconi I, lo stesso che ha permesso agli aerei NATO di partire dalle basi italiane. Qual è la linea politica del Governo Prodi sulla Guerra in Jugoslavia?
Le decisioni del governo Prodi, pur avendo aderito all’ “Activation Order” della Nato, limitano esplicitamente l’azione delle Forze Armate al territorio nazionale, e non autorizzano i bombardamenti che saranno successivamente effettuati anche da aerei dell’aviazione italiana, come risulta da numerose fonti dirette. Il governo Prodi autorizza attività di “difesa integrata del territorio nazionale”, e non azioni militari al di fuori della repubblica, affermando esplicitamente che “nell’attuale situazione costituzionale il contributo delle Forze Armate italiane sarà limitato alle attivita’ di difesa integrata del territorio nazionale”. (8)
Con il termine “difesa integrata” si indicano tutte quelle azioni di supporto e di facilitazione delle operazioni militari condotte dalle forze NATO nel territorio nazionale, e non certo i bombardamenti autorizzati, in seguito, dal governo D’Alema. In questa circostanza il governo Prodi, parlando dell’“attuale situazione costituzionale”, ha dimostrato di essere ben consapevole dei vincoli imposti dall’articolo 11 della Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.
Il governo Prodi riconobbe quindi al Parlamento la facoltà di deliberare l’azione militare, affermando in un comunicato che, per tutte le attività che esulano dalla Difesa Integrata, “ogni eventuale ulteriore impiego delle Forze Armate dovrà essere autorizzato dal Parlamento”. Questo sulla carta, ma nella pratica? Nella pratica le basi italiane rimasero un punto di partenza per ogni raid contro i territori della ex Jugoslavia e quindi niente che aggiungesse o togliesse nulla alla situazione guerrafondaia in cui l’Italia era dal precedente Governo Dini (3).
Alla fine il Governo Prodi I cade il 9 Ottobre del 1998 in seguito alla crisi tra Rifondazione Comunista e Prodi, una crisi che porterà alla spaccatura interna al PRC che vedrà l’uscita, l’11 ottobre 1998, di 21 deputati e 6 senatori di Rifondazione Comunista che costituiranno il Partito dei Comunisti Italiani, il quale entrerà nella maggioranza garantendo appoggio ad un governo di centro-sinistra che, guarda caso, sarà il governo D’Alema I, costituitosi il 21 ottobre 1998.
Arriviamo dunque a un punto cruciale: ovvero, chi ha fatto cosa. Partiamo da un presupposto: ancora una volta, anche nel Governo D’Alema I, il ministro degli Esteri è Lamberto Dini…
Nel Governo D’Alema ci sono anche Katia Bellillo (Ministro degli Affari Regionali), Oliviero Diliberto (Ministro della Giustizia), entrambi del Partito dei Comunisti Italiani di Cossutta (allora Presidente del Partito) e di Marco Rizzo, il quale n’è stato Coordinatore della Segreteria Nazionale dal 1998 al 2004, deputato dal 1994 al 2004 (diventando nel 2001 anche presidente del gruppo parlamentare), deputato europeo dal 2004 al 2009. Qual è la posizione del Partito di Cossutta, Diliberto e Rizzo sulla Guerra in Jugoslavia? Contraria. (9) (10)
Ovviamente insufficiente: probabilmente un errore di “superficialità ideologica” quello di restare in un governo che, dovendo essere un “argine” alla destra, aveva cercato abboccamenti con Berlusconi come nel caso della “bicamerale”, un errore se pensiamo che il Pdci non influiva minimamente nelle scelte decisive di quel governo che, sulla questione Jugoslavia non diede assolutamente conto al parlamento prendendo la decisione, gravissima, di bombardare il Kossovo.
Il tutto perché il Governo D’Alema fu formato per “ragioni di politica internazionale che derivarono dalla più grave crisi che il Paese si trovò ad affrontare negli oltre cinquanta anni della Repubblica, fondamentale fu, in questa prospettiva, la necessità di dare vita ad un governo che garantisse alle Forze Armate italiane la possibilità di assolvere con dignità i propri compiti nell’Alleanza (la Nato ndr) di fronte alla imminenza di un conflitto che di necessità avrebbe visto l’Italia nel ruolo di protagonista”: parole di Carlo Scognamiglio, ex ministro della Difesa del Governo D’Alema I. (11)
Qual è il bilancio di questa storia? Si è detto che l’esperienza di quel governo e la sua partecipazione, da parte dei Comunisti, fu un errore; un errore dettato, direi io, dalla presunzione di poter condizionare, in buona o cattiva fede, le scelte all’interno della sinistra italiana in merito ai fatti nazionali e internazionali. Abbiamo visto com’è andata e su questo i comunisti hanno fatto autocritica ponendo come condizione della loro azione politica la non alleanza con le forze politiche borghesi atlantiste ed europeiste. Rizzo è stato un servo della Nato? Se lo fosse stato magari a quest’ora avrebbe avuto uno yacht come D’Alema (12), oppure starebbe in un qualche castello, o villa, come il Barone Owen (il quale però sull’Ucraina ha una posizione critica sulla Nato), oppure magari, avrebbe fatto come Luigi Di Maio, il quale dopo aver rinnegato tutto quello che poteva per fari i propri affari è stato nominato come “Rappresentante Speciale della UE nel Golfo Persico”. (13)
L’unico vero servo della NATO, oltre a Prodi (anche se in forma minore) e D’Alema, è stato Dini, che ha diretto il processo in prima persona a capo del governo e poi dietro le quinte facendo il ministro degli esteri per tanti anni. Chiaramente serva della NATO si è pienamente palesata la sinistra borghese incarnata dal PDS/DS. Alla fine i “servi” hanno sempre la loro ricompensa, una ricompensa adatta a quello che sono: briciole della storia destinati a sparire per sempre. Rimangono le scorie di una storia distorta per dare spazio agli attacchi politici di una parte contro l’altra, con il particolare che le due parti sono, o dovrebbero essere, dalla stessa parte.
Una storia che racconta dell’insufficienza dei comunisti nel contesto di un’Italia che ha visto la fine (temporanea) del socialismo ad Est, la stagione di Mani Pulite, delle stragi di Stato, della fine del PCI e che doveva avere il suo “capro espiatorio”, e non importa se non ci sono prove o ci sono errori politici dettati dall’insufficienza politica generale; ciò che conta è usare il dubbio e l’ignoranza storica per attaccare chi cerca di imparare dagli errori.
C’è bisogno dei Comunisti, dei marxisti leninisti, quelli che studiano, che praticano, che costruiscono l’ora “X” giorno per giorno. Per farlo è bene conoscere la storia, i propri errori e limiti e migliorarsi: anche per questo è bene ricordare a tutti come sono andate le cose, dopotutto la falsa coscienza è figlia della cattiva memoria, arma micidiale usata dal sistema capitalista per “deviare” la memoria e la rabbia degli oppressi, perchè chi ci opprime lo sa: la conoscenza è potere per essere liberi, o almeno così noi comunisti ne intendiamo il concetto. E dunque torniamo a quello che dicevamo all’inizio: le “voci” buttate lì per confondere e dividere, come le penne di un gallo sono impossibili da recuperare, ma noi comunisti, restando realisti, esigiamo l’impossibile, e dunque proviamo sempre a fare chiarezza sulle cose.
Avanti, nella memoria, nello studio, nella pratica, nella lotta!
Gennaro Thiago Nenna
NOTE
1) https://it.wikipedia.org/wiki/Peter_Carington,_VI_barone_Carrington
2-3) https://it.wikipedia.org/wiki/David_Owen
4) https://it.wikipedia.org/wiki/Ordine_dei_Compagni_d%27Onore
5) http://dati.camera.it/ocd/aic.rdf/aic2_00509_12
6) http://www.leftcom.org/it/articles/1999-07-01/i-finanziamenti-all-uck;
7) https://www.carmillaonline.com/2004/04/19/dyncorps-come-la-cia-addestr-luck/
8) http://www.edscuola.it/archivio/interlinea/guerra.html
11) http://www.conflittiestrategie.it/ruolo-dellitalia-nellaggressione-militare-alla-serbia
1 Comment
🔴 Segui e fai seguire Telegram de LA RISCOSSA🔴
L’informazione dalla parte giusta della storia.
📚 t.me/lariscossa