di Enzo Pellegrin
Ha destato un certo scalpore il trattamento riservato dai riders torinesi scesi in manifestazione qualche giorno fa ad alcuni rappresentanti politici dei Cinquestelle, i quali avevano avvicinato i manifestanti per portare solidarietà (e verosimilmente documentare la loro vicinanza sulle rispettive bacheche propagandistiche). Nel video che può vedersi qui, i riders cacciano via senza mezzi termini la consigliera regionale Francesca Frediani e la deputata Jessica Costanzo.
In particolare, i lavoratori apostrofano i politici gridando “Fatevi il selfie che poi domani fate il post”.
A gennaio, nelle bacheche del Movimento 5 stelle Piemonte, si menava vanto di aver fatto approvare una proposta di legge “a forte matrice M5S” a tutela dei riders. In realtà, la proposta di legge non era nemmeno del M5S, ma dei consiglieri Grimaldi e Valle,
Tuttavia, il contenuto della proposta non è affatto parto spontaneo dei suddetti politici. La proposta si ispira in gran parte a quella elaborata dai lavoratori della piattaforma Deliverance Milano. Il M5s Piemonte rivendica ad un proprio emendamento l’introduzione del divieto di lavoro a cottimo. In realtà, anche questo era una delle rivendicazioni principali che Deliverance esplicitava, forse in modo più preciso dello scarno art. 5 della proposta di legge del consiglio regionale piemontese.
Da gennaio ad oggi, il viaggio di questa proposta legislativa nei vari labirinti parlamentari non ha portato a nulla.
E’ vero che la proposta è stata approvata dal Consiglio Regionale del Piemonte come disegno di legge della Regione. Tuttavia, l’unico risultato prodotto sono stati gli annunci nei siti e nei post dei politici. Non avendo il Consiglio Regionale competenza legislativa in tale materia, il provvedimento èstato trasmesso alla Camera come disegno di legge della Regione.
In quest’ultimo luogo della politica rappresentativa il processo si è affossato: non solo non vi è stata approvazione, ma nemmeno la messa in discussione.
Quanto al Governo?
Anche in questo caso, le rivendicazioni dei riders hanno inanellato una serie di promesse abortite, il cui risultato èstato solo quello di produrre annunci e post propagandistici da parte del Ministro Di Maio.
Con dichiarazione ad effetto, quest’ultimo, appena insediatosi in carica, con uno stile pubblicitario ormai conosciuto, aveva promesso che il primo impegno sarebbe stato aprire un tavolo per la tutela dei riders, ventilando addirittura la promessa di un “decreto riders”.
Come di consueto avviene con questo dicastero, nulla di quanto annunciato è stato mantenuto.
Dal decreto riders si passava ad una più mite promessa di inserire una norma nel decreto dignitàche facesse rientrare i lavoratori on demand nell’alveo della subordinazione. Insufficiente e generica, ma soprattutto un proposito mai adempiuto e presto abbandonato, dal momento che – alla prova dei fatti – proprio il Ministro Di Maio ha fatto marcia indietro.
Il governo pentastellato – nel suo “fare” – si è dimostrato pressato da esigenze a dir loro piùurgenti e pressanti, quali il decreto sicurezza, le norme contro l’immigrazione, la riforma della legittima difesa.
La seconda strada intrapresa dal governo per tutelare i lavoratori era quella di chiedere umilmente il permesso agli imprenditori della Gig Economy: il consueto tavolo delle trattative, dove tutto si discute ma – ormai da molti anni – nulla di buono viene fuori per la classe operaia.
Sperimentata l’inefficacia di una contrattazione disarticolata e locale, la rotta venne mutata verso una contrattazione nazionale.
Il Ministero pentastellato proponeva come punti rilevanti la previsione di un compenso minimo orario, una tutela Inail e Inps, il diritto a non dipendere da un algoritmo e la regolazione della prestazione di tipo reputazionale.
Richieste ben limitate ed ancillari rispetto alle esigenze dei lavoratori. Questo la dice lunga su quanto poco ci sia di pentastellato anche nella proposta di legge regionale.
I lavoratori, dal canto loro, erano interessati alla questione fondamentale: inserire i riders tra i lavoratori subordinati.
Ed è proprio qui che alle trattative èseguito un nulla di fatto.
Se chiedi al padrone di rinunciare ai privilegi che ti rendono schiavo, egli dirà di no, e manderàa monte la trattativa, tanto l’assenza di disciplina e contratto va a suo favore. Intanto continua la situazione di sfruttamento e deregulation precedente.
Ad oggi, i riders restano nella medesima situazione.
La storia del nuovo dicastero del lavoro èzeppa di promesse non mantenute: dalla mancata vigilanza in merito agli accordi per Whirlpool, Mercatone Uno, Ilva, alla questione sempre rimandata dei riders.
In questi processi di illusione e delusione, le vite dei lavoratori vengono sfruttate per procurare visibilità, consenso e simpatia ai vari personaggi politici, autori di una “politica degli annunci”, sparsi a piene mani con selfies, post sui social network, annunci televisivi.
Il principio è sempre il medesimo: gli annunci impressionano tanti. I traditi sono un numero minore che in qualche modo può venir silenziato nel rumore comunicativo.
Le rimostranze verso le promesse da marinaio possono annegare nell’assordante mare di propaganda su TV e social media che non mette quasi mai alle corde il politico traditore.
Il caso dei cinquestelle è poi emblematico, non tanto perché esiste un vero e proprio corposo elenco delle promesse tradite nei confronti dei movimenti che hanno cavalcato per ragioni elettorali (caso ILVA, NOTAP, NOTRIV,NO TERZOVALICO), ma anche perché le promesse sono state elargite con semplicità e superficialità, da vero imbonitore di televendita.
Le gravi crisi occupazionali che hanno colpito il mondo del lavoro italiano negli ultimi giorni seguono ad una serie di precedenti annunci del Ministro Di Maio, propalati nel momento in cui si era intestato il merito degli accordi con la controparte padronale.
Anche in questo caso, mentre l’annuncio è stato curato nei minimi particolari, completamente assente è stata la vigilanza necessaria del Ministero del Lavoro sul rispetto degli accordi o sull’andamento della politica d’impresa. La vicenda della cassa integrazione all’Ilva ha seguito dinamiche similari. Ai nuovi padroni dell’Ilva, nel nome di una asserita tutela occupazionale, era stato concesso tanto: dall’immunità penale alla salute dei lavoratori e dei cittadini di Taranto. La stessa ed identica dinamica dei precedenti governi. Ecco perché l’annuncio della Cassa Integrazione Guadagni è stato percepito come l’ennesima beffa.
Le vite dei lavoratori sono state dunque utilizzate come mero strumento di propaganda elettorale, finalizzate a vincolarli al guinzaglio dell’ennesimo soggetto politico, di fatto subordinato agli interessi delle classi dominanti. Per giunta, questo è avvenuto con una superficialità estrema, associata ad una inaccettabile inerzia.
Del resto, la medesima dinamica era stata adottata agli albori del successo del M5S.
All’epoca il M5S produceva una gran propaganda delle forme di democrazia partecipata, la quale doveva sostituire la mediazione dei partiti, mediante l’intervento diretto dei cittadini nei processi decisionali, spezzando il meccanismo di pura delega della democrazia rappresentativa.
Chi si intende ed ha in parte realizzato forme vere ed effettive di democrazia partecipata, sa che codesto settore presenta grandi complessità e necessita di solidi meccanismi costituzionali effettivi.
Con tutte le critiche che si possono muovere a questo filone di pensiero, il quale diventa inefficace se non si attaccano ed eliminano alla radice le contraddizioni principali dei rapporti di produzione e sfruttamento capitalistici, va detto che queste forme sono state in concreto avvicinate in alcuni paesi progressisti, nell’ottica di una trasformazione socialista della società. In Venezuela, ad esempio, forme di democrazia definita “partecipata e protagonista” – sono stati realizzati attraverso la nuova Costituzione. La democrazia si esercita sìattraverso il voto, ma anche mediante quello che nella Carta Bolivariana è concepito come uno dei poteri dello Stato. Oltre al legislativo, all’esecutivo ed al giudiziario, viene costituito il “Potere Popolare”: esso agisce mediante l’autogoverno, in forme che coniugano proprietà collettiva (le comunas), proprietà statale e anche proprietà privata, quest’ultima tendenzialmente destinata a scomparire nella ricerca del bene comune.
In questo senso, gli elettori non depongono solamente la propria delega all’interno dell’urna, ma sono dotati di un’impulso autonomo e separato dagli altri poteri, per intervenire nei processi decisionali secondo concrete forme di autogoverno, di tipo assembleare ed esecutivo. (1).
La “partecipazione” dei cinque stelle è stata invece interpretata come una serie di pubblicizzazione delle riunioni in streaming, quando il partito era all’opposizione, nella mistificazione di un preteso coinvolgimento di attivisti ed elettori tramite il rapporto di questi con gli “eletti” del movimento, i quali propalavano la loro attivitàvia social network.
Chi si èfatto un giro all’interno delle riunioni di attivisti ha potuto constatare che il parere dei cittadini che vi partecipavano, le loro proposte, venivano per lo più cassate, utilizzate al solo scopo di fomentare casi elettorali verso gli avversari politici, mentre la condotta e la linea venivano sempre autonomamente gestiti dai rappresentanti eletti.
Voci invise ai componenti il circo magico prescelto della Casaleggio venivano silenziate ed allontanate.
Tutta questa fittizia partecipazione è poi venuta completamente meno allorchè il partito è giunto al governo, delegando il potere ad un “direttorio” composto da figure “forti”, le quali dovevano simboleggiare i vari orientamenti elettorali (la destra, il centro destra, il qualunquismo e la sinistra radicaleggiante) ma che rimanevano sotto il controllo della macchina organizzativa e propagandistica del movimento. La partecipazione dei cittadini sarebbe stata delegata ad una piattaforma gestita da un’impresa privata, proprietaria del marchio politico del movimento. Di questa macchina ancora oggi non si conoscono i meccanismi di controllo e democrazia.
Il funzionamento della piattaforma si è poi fatto notare non solo per l’esiguità dei numeri dei partecipanti, non solo per la scarsissima trasparenza dei suoi meccanismi di voto e di abilitazione al voto, ma anche per il suo approccio di tipo plebiscitaristico. Nelle interrogazioni poste si risponde si o no a domande preconfezionate dalla gestione privata del sito, nel modo più confacente alla costruzione ingannevole del consenso. (2). I temi più grandi, quali quelli della gestione governativa (casi ILVA e Basilicata, gestione delle crisi occupazionali, Muos, Tap), sono invece spesso sottratti ab origine dalla consultazione.
Una bella differenza dall’autogoverno.
Nel caso del Venezuela, i cittadini partecipano e decidono come protagonisti, nel secondo caso sono strumento mediatico per la catalizzazione del consenso elettorale, poi utilizzato dagli eletti per prendere decisioni in autonomia, spesso tradendo anche la consultazione di militanti di scarso valore numerico che avviene con la piattaforma Rosseau.
Anche in questo caso, le contraddizioni rilevanti del sistema capitalistico, sono state utilizzate per riciclare il vecchio metodo della delega elettoralistica. La contraddizione capitale-lavoro viene “aggiustata” dai rappresentanti politici. Se poi – come succede – non possono “aggiustarla” e finiscono per tradirla, ciò verrà imputato alla “forza maggiore” delle dinamiche economiche.
In questo modo, essi non fanno altro che confermare la propria sudditanza al capitalismo, finendo per affermare che non si può andare al di là delle leggi del mercato.
L’inganno è nuovamente perfetto. Si dice sì al potere economico della classe padronale, presentandolo come una legge naturale.
Questo atteggiamento ingannevole non è diverso nei risultati da quello della sinistra opportunista. Quest’ultima si fa portatrice del pensiero unico delle elites, presentando le leggi del mercato come un male necessario per tenersi pretese libertà civili (finchè te le puoi comprare…). La demagogia qualunquista degli annunci si pone invece a parole come difensore del popolo contro le elites ed i poteri forti, finchè questi poteri non la riducono ai propri voleri, nel qual caso ciò sarà dovuto al limite delle leggi economiche, presentate come “naturali” o tutt’al più agli asseriti danni irreparabili dei governi precedenti.
La storia insegna a demolire anche le finzioni più illusorie in campo progressista: nessun keynesismo ha mai risolto una stagnazione od una crisi del capitalismo, se non distruggendo la ricchezza colla guerra, a spese della collettività, per poi ricostruirla con profitti privati.
Il New Deal statunitense – in breve tempo – portòad una nuova recessione. Grazie ai sindacati ed alla sinistra opportunista, venne però stroncato sul nascere il movimento sindacale e comunista d’avanguardia degli USA, all’epoca in grado di portare una efficace lotta di classe per la trasformazione socialista dell’Unione: “We want a soviet America” era lo slogan dei cortei.
Il New Deal distribuì briciole in cambio di moderazione sindacale, ma alla fine, in poco tempo, l’economia tornò in stagnazione.
L’America entrò in guerra: il modo ordinario del capitale per far ripartire il suo ciclo di profitti. A spese ovviamente delle classi subalterne.
Del resto, contro le banche, le multinazionali e i poteri forti, a parole, ci sono tutti.
Ma tra coloro che inveiscono contro l’usura delle banche, l’ingordigia delle grandi imprese, ci sono anche i capitalisti.
Costoro, la mattina, siedono alla scrivania per intascare profitto, con lo sfruttamento dei lavoratori, l’accaparramento della ricchezza che deriva dal lavoro, minacciano il licenziamento, costringono a lavorare in condizioni malsicure, tengono una minacciosa spada di damocle sulle teste delle famiglie.
Le stesse persone, il pomeriggio, prese alla gogna da un capitalista piú potente, si mettono in prima fila a sbraitare sull’ingiustizia del mondo, urlando che il popolo deve por fine alla schiavitú delle banche, che occorre ribellarsi ai “poteri forti”, avendo peró in mente solo di scapolare il proprio debito.
Essi urlano all’ingiustizia di un sistema del quale fanno parte, ma in realtà sono solamente interessati a eliminare un pesce che li mangia. Vogliono continuare a predare senza essere predati.
Forse anche pensando a questo, Bertolt Brecht, nelle sue poesie contro la guerra scrisse: “Al momento di marciare molti non sanno che alla loro testa marcia il nemico. La voce che li comanda e’ la voce del loro nemico. E chi parla del nemico e’ lui stesso il nemico”. (3). La lotta di classe è una guerra portata con le armi dell’economia. Riconoscere il nemico è fondamentale, anche quando si pone alla guida di una giusta ribellione o rivendicazione.
Se c’è una cosa che insegnano le ultime vicende italiane sul lavoro, è che le dinamiche capitaliste produrranno necessariamente danni alla classe operaia, finchè non verranno annullate e sostituite.
Nessun padrone nazionale può invertire od aggiustare le contraddizioni predatorie del capitalismo, così come nessun demagogo può raccontare di controllarlo, senza in realtà dover subire la direzione della classe dominante che pretende di lasciare al suo posto.
L’unico modo di invertire questo eterno processo di inganno, finzione e sfruttamento è quello di costiutire il “Principe” autonomo collettivo e sovrano della classe lavoratrice, in grado di operare per i suoi fini senza delegarli ad altro soggetto politico o sociale, in grado di procedere verso l’unico obiettivo in grado di eliminare lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo: annullare il modo di produzione capitalistica.
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Note:
(1) Parlando poi di elezioni, in Venezuela, le oltre 35 popolazioni indigene censite eleggono propri rappresentanti secondo una normativa autonoma e sono presenti in tutti gli organi del governo bolivariano. La normativa prevede che le donne siano presenti, al massimo livello in tutti gli organismi del potere popolare e statale. Secondo gli stessi principi èvietata l’installazione di basi militari straniere, non puòessere legittimato alcun esproprio di terre e risorse da parte di imprese multinazionali. La Forza Armata Nazionale Bolivariana èindipendente ed agisce insieme al popolo per fini di pace, adoprandosi per una soluzione negoziata dei conflitti secondo il principio della “democrazia di pace”.
(2) Si prenda l’emblematico caso del voto sull’autorizzazione a procedere per il Ministro Salvini, indagato dalle Procure Siciliane: il quesito che la piattaforma poneva era il seguente: “Il ritardo dello sbarco della nave Diciotti per redistribuire i migranti nei vari paesi europei èavvenuto per un interesse dello Stato? Si, quindi si nega l’autorizzazione a procedere. No, quindi si approva l’autorizzazione a procedere. Al netto delle polemiche sul fatto che per essere favorevoli a processare Salvini occorresse votare No e invece votare Si per negare l’autorizzazione, questione che vide il polemico commento persino dello stesso Grillo (“”Se voti Sìvuol dire No. Se voti No vuol dire Sì. Siamo tra il comma 22 e la sindrome di Procuste!”), quello che èinaccettabile èche il quesito contenga la risposta. Viene dato per assodato che il ritardo nello sbarco sia avvenuto per redistribuire i migranti nei vari paesi europei, non per altri fini quale la propaganda elettorale del Viceministro leghista. Con una promessa di questo genere , la domanda puòessere definita quantomeno suggestiva…Esempi non differenti possono essere fatti nelle questioni riguardo ai progetti di legge, dove il punto di vista della direzione del partito èspiegato con dettaglio in modo suggestivo come soluzione da adottare, mentre viene silenziata a semplice opposizione l’ipotesi contraria.
(3) B. Brecht, Poesie contro la guerra, Il nemico, https://www.marxists.org/italiano/brecht/nemico.htm