Gennaro Thiago Nenna, Segretario Regionale del Partito Comunista della Campania.
Non si può dare un indirizzo politico alla risoluzione dell’attuale criticità occupazionale nei siti della Divisione Aerostrutture di Leonardo se non se ne conoscono le cause o meglio le scelte politiche ed economiche.
Troppo spesso in passato la politica, sia a livello locale che a livello governativo, è intervenuta senza mai preoccuparsi di aggredire le cause delle ricorrenti crisi del comparto aeronautico campano, senza fornire linee di indirizzo industriale che le sarebbero proprie, limitandosi ad interventi di incentivazione che non hanno evidentemente inciso sulle scelte industriali.
La storia di “Leonardo” comincia con il nome di “Aeritalia” nel 1969, a seguito della fusione dell’Aerfer di Napoli con la FIAT Divisione Aviazione di Torino.
L’Aerfer si caratterizzò per aver avviato le produzioni aerostrutturali civili nel sito di Pomigliano d’Arco nel secondo dopoguerra, in particolare con accordi industriali con i grandi produttori aeronautici statunitensi dell’epoca, la “Douglas”, poi assorbita dalla “Boeing” (la stessa Boeing rimane tuttora uno dei principali clienti delle lavorazioni aerostrutturali di Divisione Aerostrutture).
L’Aerfer però non si limitò alla produzione su commessa per produttori aeronautici ma, oltre a mantenere capacità manutentive nei suoi campi volo (tra cui il campo volo di Capodichino) a favore di clienti esterni (tra cui la stessa FIAT Aviazione e l’Aeronautica Militare Italiana), sviluppò anche capacità progettuali interne che sono culminate in alcuni modelli di velivolo realizzati (tra cui il primo velivolo italiano ad aver superato la barriera del suono, l’Aerfer Sagittario II, nel 1956, che venne battuto nel concorso NATO per lo sviluppo di un aereo d’attacco dal G-91, progettato e prodotto dalla FIAT Aviazione con la quale l’Aerfer si sarebbe fusa poco più di un decennio dopo) e moltissimi progetti rimasti solo sulla carta.
Se queste capacità di progettazione fossero state supportate dal Management di IRI, Finmeccanica e Governo dell’epoca, con il finanziamento e lo sviluppo di velivoli da mettere nel mercato, si sarebbero create le premesse di un’industria aeronautica nazionale forte e competitiva a livello europeo con una posizione contrattuale italiana più forte sui tavoli di discussione su una possibile partecipazione italiana al Consorzio Europeo Airbus, a cui l’Italia non partecipò.
In ogni caso, con la fusione in Aeritalia, la direzione industriale relegò il comparto campano essenzialmente alle produzioni aerostrutturali civili su commessa, mentre il business principale dello sviluppo e della produzione di velivoli militari, si concentrò nel sito di Torino (anche se a Pomigliano vennero assegnati dalla metà degli anni 80 fino ai primi anni 2010 l’assemblaggio di fusoliere dei turboelica da trasporto tattico G-222 prima e C-27J poi, lavorazioni che poi sono state tutte concentrate nei primi 2010 a Torino).
Tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli anni 80 l’azienda stava compiendo grossi sforzi per partecipare, in veste di fornitore/partner, con la Boeing al programma B-767 (un bireattore da trasporto civile).
Furono fatti grossi investimenti nelle sedi meridionali, anche con finanziamenti governativi (grazie alla SPINTA PROPULSIVA DELLE LOTTE OPERAIE IN CAMPANIA CHE IN QUEGLI ANNI PORTO’ LA POLITICA NAZIONALE A INVESTIRE SU TERRITORIO CAMPANO), ma le ricadute della crisi petrolifera, misero in stand-by per diversi anni la partenza di nuovi programmi commerciali con l’azienda che si ritrovò ad aver fatto ingenti investimenti a rischio, a fronte di un programma che non si materializzava.
In quel caso, l’intera struttura Aeritalia reagì esplorando possibili sbocchi alternativi nel mercato del trasporto aereo commerciale: su questi presupposti nacque il programma ATR, un’iniziativa nata da esigenze congiunturali che divenne un’occasione di crescita economica e sociale.
Dopo un lungo lavoro di confronto con possibili partner internazionali, venne siglato l’accordo tra Aeritalia e la francese Aerospatiale per lo sviluppo e la produzione di un aereo da trasporto da 40-70 passeggeri turboelica; l’economicità di esercizio della macchina ed i suoi relativamente bassi costi d’acquisto ne segnarono il successo (ad oggi l’ATR è leader mondiale nel segmento 40-70 passeggeri turboelica), un successo a cui però l’Aeritalia, poi divenuta Alenia Aeronautica nel 1990, sembrò non credere fino in fondo.
Inizialmente il worksharing con i partner francesi prevedeva una suddivisione delle attività di progettazione e di produzione: in particolare l’allora Aeritalia era responsabile per la progettazione strutturale della fusoliera e dei suoi sistemi di bordo principali mentre, dal lato produttivo, era (ed è tuttora) responsabile per la produzione ed assemblaggio delle fusoliere.
Nei primi anni 2000, a seguito di una passeggera contrazione del mercato, l’Alenia vendette al consorzio francese ATR (di cui detiene metà della proprietà; l’altra metà è del colosso francese Airbus) la maggior parte dei diritti di progettazione (la cosiddetta Design Authority) previsti nel worksharing iniziale, limitandosi dunque, ancora una volta, a preferire il ruolo di fornitore di prodotti aerostrutturali mentre il core business rimanevano i velivoli militari, prodotti principalmente a Torino.
Attualmente, circa 40 anni dopo il primo volo dell’ATR-42 e 35 anni dopo il primo volo dell’ATR-72, le fusoliere dell’ATR sono uno dei principali prodotti degli stabilimenti di Pomigliano: in circa 40 anni di produzione ne sono state fabbricate 1500.
La cessione della maggior parte dei diritti di progettazione del velivolo turboelica ATR però non furono l’unico smacco alle capacità aeronautiche dei siti campani: UN DURO COLPO VENNE DALLA DISMISSIONE DELLA MAGGIOR PARTE DELLE ATTVITA’ DEL CAMPO VOLO DI CAPODICHINO TRA LA FINE DEGLI ANNI 80 (assemblaggio finale, prove volo e consegna) E IL 2015 (con la cessione all’Atitech degli ultimi hangar dove venivano eseguite alcune trasformazioni di velivoli): CON LA PERDITA DEL CAMPO VOLO DI CAPODICHINO SI SIA MESSA UNA “PIETRA TOMBALE” SULLE ASPIRAZIONI DELL’AERONAUTICA CAMPANA DI ESSERE COMPLETA NEL MERCATO DEL TRASPORTO AEREO CIVILE E MILITARE.
Come si può pensare di sviluppare e produrre un velivolo intero se non si dispone di un campo volo nelle vicinanze dei siti produttivi?
Difatti, ad oggi sono ancora in essere programmi di ricerca per lo sviluppo di tecnologie da applicare ad un eventuale successore dell’ATR ma, nel corso degli anni, non si è mai palesata la volontà aziendale di affrontare un nuovo programma aeronautico che avrebbe potuto e dovuto porre le basi per un rilancio industriale, così come avvenne con l’ATR 40 anni fa, diverse volte nel corso degli ultimi 30 anni si sono avviati studi per la progettazione e produzione di un successore dell’ATR ma nessuno di questi studi è andato oltre la fase di definizione del progetto.
La mancanza di un programma sia in termini di progettazione che di produzione, in Campania è probabilmente la maggiore delle cause delle ricorrenti crisi del comparto, a partire dalla storica crisi del 1993 (con circa 60 giorni consecutivi di sciopero), la crisi del 2011/2012 (con 1100 prepensionamenti tra operai ed impiegati), la ristrutturazione del 2015 (durante la quale la ex-Alenia Aermacchi, nata dalla fusione tra Alenia Aeronautica e Aermacchi di Venegono, venne assorbita nella ex-Finmeccanica, rinominata Leonardo, e venne scorporata nella Divisione Velivoli, dove concentrava tutte le attività di progettazione e produzione di velivoli militari nei siti di Torino, Venegono e Pomigliano, e nella Divisione Aerostrutture, dedicata a produzioni aerostrutturali civili su commessa per i clienti Boeing, ATR ed Airbus, con i suoi siti principali a Pomigliano, Nola e Grottaglie), fino alla crisi attuale.
Oggi la Divisione Aerostrutture soffre un calo di lavoro, dovuto agli effetti della pandemia, ma ESACERBATO DA SCELTE INDUSTRIALI CHE HANNO STORICAMENTE, SEMPRE, FAVORITO LO SVILUPPO DI AEREI MILITARI RISPETTO ALLO SVILUPPO DI VEIVOLI CIVILI, concentrando negli stabilimenti campani le lavorazioni aerostrutturali su commessa, lavorazioni a bassa marginalità dove si sta subendo negli ultimi anni la competizione industriale dei cosiddetti paesi in via di sviluppo.
LE RESPONSABILITA’ POLITICHE DI QUESTO LENTO DECLINO INDUSTRIALE.
Di fronte a un tale scempio non si può non dire chi sono i responsabili politici e dunque coloro che dovrebbero porre rimedio ai loro errori (ma che alla fine, probabilmente, faranno poco o nulla).
Partiamo dal Movimento 5 stelle, lo stesso Movimento che nel 2019, all’inaugurazione l’Aerotech Campus, (il nuovo hub per l’innovazione tecnologica della Divisione Aerostrutture di Leonardo) alla presenza dei vertici del gruppo, il presidente Gianni De Gennaro e l’amministratore delegato, Alessandro Profumo, erano presenti gli allora premier e vicepremier, Giuseppe Conte e Luigi Di Maio.
Ricordiamo ancora quando Di Maio disse che “sulle linee produttive di Nola e Pomigliano d’Arco” si sarebbero investiti “130 milioni di euro”(1) una cifra facente parte del miliardo di euro per il finanziamento di progetti di ricerca e sviluppo per le aziende del comparto aerospaziale: oggi tutti possiamo vedere che quei fondi non ci sono.
La destra, attualmente muti come sepolture, visto e considerato che parlare di rilancio degli impianti del Sud andrebbe contro gli interessi della Lega Nord (che sostanzialmente ha sempre difeso gli interessi della borghesia del nord-est), d’altronde abbiamo visto come Giorgetti, ministro dello sviluppo economico in quota alla Lega, ha gestito la vertenza Whirpool…
Poi c’è il Partito Democratico che, oltre a fare abboccamenti alla destra in vista delle elezioni del Presidente della Repubblica, cerca di farsi una “verginità politica” facendo un’interrogazione parlamentare ove si chiede a Giorgetti (quello di prima..) “quali urgenti iniziative” si intendano adottare “con il pieno coinvolgimento delle organizzazioni sindacali e degli enti territoriali interessati, per definire una specifica strategia industriale, indispensabile a garantire un rilancio delle produzioni e ad assicurare solide prospettive economiche ed occupazionali per i siti del Gruppo Leonardo e per la tenuta complessiva dell’azienda”.
Ma è lo stesso Partito Democratico che nel 2015 esprimeva Matteo Renzi come Segretario e Capo di Governo (2) e che, pur stando al Governo, non ha fatto nulla per impedire il declino dei siti campani ?
Evidentemente qualcuno ha la memoria corta e gioca su questo, MA NOI COMUNISTI CI RICORDIAMO BENE TUTTO QUANTO.
LE PROPOSTE DEI COMUNISTI.
Come Partito Comunista, riteniamo, prima di tutto che non ci si possa fidare delle forze politiche sopra citate visto che hanno preso in giro e continuano a farlo, e, bene dirlo, NON SI PUO’ AFFRONTARE UNA BATTAGLIA SINDACALE FACENDO COME SI E’ FATTO FINO AD OGGI, PRATICAMENTE IN UN CONFRONTO ISTITUZIONALE MORBIDO (e per niente proficuo).
I sindacati che oggi stanno in Leonardo sapevano della situazione da anni e adesso si ritrovano a dover gestire una situazione alla quale potevano e dovevano farsi trovare pronti!
Detto questo, premesso che i Comunisti sono APERTAMENTE COI LAVORATORI che vogliono difendere il salario, l’occupazione e il futuro dell’azienda in un territorio segnato da tante, troppe crisi industriali, è bene anche dare un orizzonte a questa lotta partendo da rivendicazioni pratiche che vanno nella direzione prima detta:
La salvezza di 1300 e passa posti di lavoro (contando anche l’indotto che ruota intorno a Leonardo), si potrà avere solo con la lotta dura per obiettivi chiari e su questo i Comunisti e il Partito Comunista sarà sempre al fianco dei lavoratori Leonardo!
NOTE:
3) https://www.leonardocompany.com/it/investors/stock-info/shareholders-base;
1 Comment
È incredibile come la borghesia, se esaminiamo la storia dal rinascimento ad oggi, pur con i suoi risicatissimi meriti non sia stata mai capace di conferire all’Italialia quella solidità necessaria ad uno sviluppo economico reale. Gramsci aveva ragione: “toccherà a noi comunisti risollevarne le sorti”.