Non ha retto molto l’impianto accusatorio della procura di Modena contro Aldo Milani, coordinatore nazionale del Si COBAS, scarcerato poco dopo le 16 di sabato dal carcere di Modena dove era stato rinchiuso nella serata di giovedì con l’accusa di estorsione nei confronti dei padroni della Levoni, importante gruppo industriale del modenese attivo nel settore della lavorazione delle carni.
Secondo la questura di Modena e la velina distribuita e diffusa dai principali organi di informazione nazionale, Aldo Milani avrebbe estorto 90mila euro al gruppo Levoni in cambio di calmierare le dure proteste dei lavoratori. Ad avvallare questa ricostruzione è stato anche diffuso un video, senza audio, nel quale si vede un passaggio di busta – con all’interno presumibilmente del denaro – che viene intascata da un personaggio di nome Danilo Piccinini che si apprenderà in seguito essere un consulente del lavoro in alcun modo legato al sindacato Si Cobas, come originariamente affermato dalla velina della procura, ma al contrario esser invece legato ad una delle tante cooperative che forniscono manodopera all’azienda dei fratelli Levoni.
Da mesi è in corso infatti una lunga e complessa trattativa sindacale nello stabilimento Levoni con il licenziamento di 52 operai di Alcar Uno, cooperativa che lavora in appalto per Levoni, impossibilitati anche ad accedere alla NASPI in quanto la cooperativa non aveva versato i contributi INPS. Proprio in questo ambito i lavoratori organizzati dal S.I. Cobas hanno intrapreso una dura e prolungata lotta contro l’azienda per aver riconosciuti i loro diritti, attraverso picchetti, scioperi, blocchi, violentemente repressi anche dalle forze dell’ordine come nel novembre scorso. Come si apprende da un comunicato sindacale, nel tavolo di trattativa il sindacalista del S.I. Cobas, Aldo Milani «chiedeva, con la forza e la determinazione che caratterizzano il nostro sindacato, nient’altro che il rispetto delle leggi vigenti in materia di CCNL» chiedendo che «Levoni saldasse quest’ammanco, ovviamente non certo consegnando del denaro liquido bensì versando le somme contributive mancanti attraverso le modalità previste dalla legge così come risultanti dai modelli F24!»
«Le circostanze dell’arresto e le spiegazioni addotte dall’autorità giudiziaria, così come il video diffuso dalle stesse autorità, non appaiono in linea con le accuse, lasciando interrogativi sulle motivazioni di questa misura, anche in relazione con i palesi interessi delle aziende interessate da settimane di lotte» – si legge nella nota di solidarietà del Partito Comunista, che prosegue – «è cosa nota a tutti che nella logistica, oggi settore fondamentale dell’economia capitalista, dove è particolarmente impegnato il Si Cobas, si concentrano rapporti di lavoro di tipo schiavistico che coinvolgono migliaia di lavoratori delle cosiddette cooperative».
Il S.I. Cobas è infatti uno dei principali sindacati conflittuali presenti nel settore della logistica dove diversi scioperi e pratiche conflittuali sono state condotte dai lavoratori in molteplici aziende negli ultimi anni, conquistando importanti diritti e miglioramenti salariali e delle condizioni di lavoro cercando di rompere il sistema di false cooperative con la quale le grandi aziende del settore impongono schiavistiche condizioni di lavoro con massacranti ritmi e turni lavorativi, bassi salari e elevata ricattabilità con la protezione delle ripetute riforme antioperaie – come in ultimo il Jobs Act – normative antisciopero e la repressione delle forze dell’ordine della borghesia.
Fin dal primo momento il sindacato ha denunciato come fosse «evidente che ci troviamo di fronte a un escalation repressiva senza precedenti: lo stato dei padroni, non essendo riuscito a fermare con i licenziamenti, le minacce, le centinaia di denunce, i fogli di via, le manganellate e i lacrimogeni una lotta che in questi anni ha scoperchiato la fogna dello sfruttamento nella logistica e il fitto sistema di collusioni e complicità tra padroni, istituzioni e sistema delle cooperative, ora cerca di fermare chi ha osato disturbare il manovratore. Dopo le leggi liberticide sul lavoro, dopo la riduzione dei salari alla miseria, quanto i lavoratori hanno conquistato fin qui con le loro lacrime e il loro sangue viene messo nel mirino della repressione immediata che cerca di colpire chiunque osi ribellarsi e, soprattutto, osi praticare un’azione politica che vada nella prospettiva della liberazione dalla schiavitù del salario». Sia nella giornata di venerdì che di sabato, i lavoratori S.I. Cobas si sono mobilitati in diverse aziende con scioperi, picchetti, presidi, manifestazioni come anche fuori dal carcere modenese in solidarietà col loro coordinatore nazionale, denunciando come si trattasse di una trappola e macchinazione ordita dall’azienda e dalla polizia, gonfiata ad arte dai media con l’intento di diminuire e colpire la lotta dei facchini nella logistica e il sindacalismo conflittuale.
«L’utilizzo del caso da parte dei media ha il sapore di un tentativo di vasta delegittimazione del sindacalismo conflittuale, che oggi si oppone alla deriva collaborazionista dei sindacati confederali» – denuncia nella sua nota il Partito Comunista – «il risultato ultimo di queste misure è di piegare la resistenza dei lavoratori della logistica – continua – favorendo una soluzione dei conflitti in atto nella direzione più vantaggiosa alla classe padronale».
Nonostante le misure restrittive a cui rimane sottoposto Milani, come l’obbligo di firma e dimora in attesa degli ulteriori sviluppi giudiziari del caso, la sua scarcerazione dopo l’udienza preliminare sgonfia la ricostruzione della Procura modenese. All’uscita dal carcere accolto da centinaia di lavoratori del S.I. Cobas, Aldo Milani ha parlato chiaramente di un “tentativo di tranello”. Appare chiaro che l’obiettivo di un operazione di tale portata sia quello di alzare notevolmente il tiro della repressione da parte del padronato e delle sue istituzioni e apparati per colpire, indebolire e screditare la giusta lotta organizzata dei lavoratori, ogni esempio di vero conflitto contro lo sfruttamento nei luoghi di lavoro, per mettere definitivamente al bando il diritto di sciopero e all’organizzazione sindacale di classe.
Come sempre accade infatti in queste occasioni alla canea mediatica diffusa in questi giorni, non corrisponderà di certo un altrettanto forte rettifica da parte dei media nazionali che hanno così introiettato nella società e nella massa dei lavoratori l’ennesima delegittimazione dell’organizzazione sindacale. A questo bisogna controbattere con il protagonismo dei lavoratori fuori da ogni retorica legalitaria e ogni riproduzione della pace sociale, affermando che la legittimità del conflitto organizzato nei posti di lavoro e nella società si trova negli interessi propri della classe lavoratrice – che sono antagonistici a quelli dei proprietari – nel rivendicare i propri diritti fondamentali e il soddisfacimento dei propri bisogni contemporanei essendo coloro che producono realmente tutta la ricchezza e beni di cui si appropriano parassitariamente i capitalisti.