Il governo presenterà oggi al Parlamento la richiesta ufficiale dell’invio di forze in Libia. Si tratta ufficialmente di un centinaio di medici ed infermieri, che saranno protetti da 200 paracadutisti della Folgore. In più è prevista la copertura della portaerei Garibaldi nella zona, di caccia operativi schierati nelle basi di Gioia del Colle e Sigonella, e l’impiego diretto sul territorio libico di droni del’aeronautica militare. Missione ufficiale: la costruzione di un ospedale da campo a Misurata, città che fornisce il maggior numero di combattenti contro lo Stato Islamico. La Ministra Pinotti ha dichiarato: «La battaglia che hanno fatto le forze di Misurata contro i terroristi di daesh è stata molto impegnativa. Ora hanno bisogno che l’Italia dia loro una mano lì perché dobbiamo poter curare questi valorosi combattenti contro il terrorismo e contro l’Isis». Secondo Gentiloni la missione « è un contributo tipico di quello che può fare l’Italia all’estero ossia aiutare i consolidamenti dei processi di stabilizzazione anche con le proprie forze armate».
Questi uomini si aggiungono a quelli già presenti in Libia con funzioni di “addestramento” del personale militare del governo di Serraj, sui quali nei giorni precedenti si era aperta la polemica in occasione della comunicazione al Copasir.L’invio avviene a pochi giorni dall’inasprirsi della situazione libica, ormai ad un passo dalla deflagrazione di una nuova sanguinosa guerra civile, che nei fatti è già in atto. Nella parte centrale del paese il generale Khalifa Heftar ha lanciato un’offensiva prendendo il controllo di un’area compresa tra Sirte e Ajdabiya, ricca di pozzi petroliferi. La produzione di petrolio della zona si aggira intorno ai 500.00 barili al giorno. Un colpo per la prospettiva di unificazione del paese sotto il controllo del governo di Tripoli, che testimonia quanto sia complessa la situazione del paese nord africano. (per una veloce lettura riassuntiva del quadro: https://www.lariscossa.info/2016/08/29/la-falsa-legittimita-dellintervento-in-libia/)
È chiaro che la missione italiana utilizza il pretesto dell’aiuto umanitario per rafforzare la propria presenza in Libia, accreditandosi agli occhi dei potentati locali, e cercando di inserire conquistare un posto al sole nella spartizione petrolifera. Un gioco difficile che vede gli stati europei (Francia e Inghilterra in testa), ma anche gli Stati Uniti cooperare formalmente nella lotta all’ISIS, competendo sottobanco per le parti del bottino. Oggi si fa accettare al Parlamento e al popolo italiano l’invio di mezzi e personale militare e sanitario per funzioni umanitarie, ma è chiaro che lo scopo è ben più ampio. La base di uomini che sarà presente in Libia costituisce pur sempre un contingente in loco, che all’occorrenza con il cambio delle regole d’ingaggio potrà essere utilizzato per altre finalità o comunque costituire una testa di ponte per un intervento più massiccio, che ad oggi sembra probabile nei prossimi mesi. E il governo italiano non ha mai fatto mistero di ritenere la Libia affare nel quale il nostro paese debba entrare. La cacciata di Gheddafi, mal digerita dal governo italiano di allora e dalle classi dominanti, poi allineatesi per spirito di ossequio, ha comportato un’inversione nel peso dei paesi europei negli affari libici, a danno dell’Italia e a vantaggio di francesi ed inglesi. Su questo terreno la borghesia italiana non intende farsi trovare impreparata per la seconda volta.