Alberto Lombardo (Resp. Esteri Partito Comunista)
Questa relazione è stata presentata sabato 3 settembre al dibattito tenutosi alla Festa do Avante! a Lisbona su L’opera di Alvaro Cunhal nel mondo
Desidero innanzi tutto ringraziare il PCP per il graditissimo invito a questo Festival dell’Avante! e per la squisita ospitalità. Per il nostro partito è la prima volta qui, ma già ci sentiamo parte di una grande famiglia di comunisti europei che vivono, pur nelle diversità nazionali, le stesse ansie che stanno attanagliando i comunisti e tutti i popoli europei in questi mesi travagliati.
Credo che sia impossibile per chiunque poter sintetizzare l’impatto che l’opera teorica e pratica del compagno Cunhal ha avuto nel mondo. Per questo mi ritaglierò un breve spazio per sottolineare alcune fondamentali differenze tra il percorso che ha compiuto, ieri sotto la direzione di Cunhal, e compie oggi sotto la direzione dei suoi continuatori, il PCP rispetto alla deriva ideologica e politica dello storico Partito Comunista Italiano.
Basti vedere quanto il PCP sia in salute e riscuota l’appoggio della parte più avanzata della classe operaia e dei lavoratori portoghesi in contrapposizione alla triste parabola dell’eurocomunismo del PCI fino al suo scioglimento, per giudicare chi aveva ragione e chi aveva torto. Ma certamente i comunisti non possono accontentarsi di osservare la superficie degli eventi, ma devono andare alla profondità delle cause.
L’adesione ideologica al marxismo-leninismo non è mai venuta meno nel PCP. La sua collocazione di classe è sempre stata fondamentale, dichiarandosi “Partito politico del proletariato”, “partito della classe operaia e di tutti i lavoratori portoghesi”. Questa non è solo una petizione di principio, ma trova conferma nel ripudio di ogni visione interclassista, con una conoscenza profonda dei problemi del proletariato e in difesa degli interessi di classe, della sua ideologia, nella sua politica, nella sua indipendenza di classe.
Alla natura di classe del partito corrisponde la composizione sociale dei suoi membri, nella stragrande maggioranza operai e impiegati. Qui troviamo una prima differenza con lo storico PCI. Ricordiamo infatti che già nel Congresso del 1956 la maggioranza dei gruppi dirigenti del PCI non era più di estrazione operaia.
Sia il PCI di quell’epoca che il PCP parlano di “democrazia progressiva”, del socialismo come un percorso che non si realizza con un unico strappo, ma con una serie di cambiamenti sempre più radicali (le “riforme di struttura” togliattiane). Eppure già nel celebre Memoriale di Yalta, Togliatti esprime quasi un ripensamento, osservando il vicolo cieco dove ha condotto quella politica che ha fin troppo puntato sulla battaglia parlamentare, mentre ha ceduto passo dopo passo l’iniziativa di massa per non “spaventare” gli altri strati della nazione.
Ma la seconda differenza la troviamo ancor di più accentuata nel partito italiano degli anni Settanta, in cui nello statuto si legge, accanto al marxismo e al leninismo anche altre teorie messe a fondamento del Partito. Sono più famosi i passi in cui Berlinguer promuove l’eurocomunismo, ben presto archiviato, che si caratterizza più come antisovietismo, la valutazione dell’”ombrello della NATO”, anche se il PCI intraprende una grande battaglia in Sicilia contro l’istallazione degli euromissili. La vera e irreparabile rottura però si ha quando il PCI smette la propria opposizione al Mercato Comune Europeo, oggi Unione Europea, per assumere un atteggiamento sempre più remissivo verso i monopoli europei. Dopo Berlinguer la frana è stata inarrestabile e ciò che è seguito è stata una costante corsa ad accreditarsi presso i circoli più reazionari euroatlantici. Fino all’oggi, in cui il Partito Democratico è il più strenuo difensore dell’atlantismo e dell’europeismo.
Quanta differenza con l’intransigenza che ha sempre caratterizzato il PCP nella sua lotta contro il capitalismo monopolistico! La sua lotta contro le privatizzazioni, per difendere i diritti dei lavoratori e i suoi salari, in una logica di classe che misura l’irriducibile di interessi tra proletariato e borghesia rigettando la visione interclassista.
Questo ci conduce a un altro punto cruciale dell’insegnamento di Cunhal e del PCP. La relazione tra sovranità e percorso verso il socialismo.
In Italia la parola sovranità è stata caricata dalla propaganda borghese di una forte connotazione negativa, associando a essa colori reazionari, se non proprio neofascisti. Ciò è evidentemente funzionale agli interessi del cosmopolitismo monopolistico. Purtroppo in molti ambienti che si dichiarano comunisti questa propaganda borghese fa presa e si ricade nell’errata identificazione tra sovranità e nazionalismo. L’insegnamento di Cunhal ci istruisce su alcuni fatti chiari, cioè che senza una sovranità nazionale, ogni percorso di ricerca di una qualunque via verso il socialismo è preclusa. È chiaro che una piena sovranità popolare non può compiersi senza il socialismo. Ma non si tratta di evidenziare necessariamente e meccanicamente le tappe di questo percorso che solo la storia reale può tracciare. Si tratta di capire come aggregare quelle forze della Nazione che possono convergere e dare corpo e forza a questo progetto. In primis, accanto alla classe operaia e ai lavoratori dipendenti pubblici e privati, i lavoratori autonomi, ma anche tutti coloro che vivono del proprio lavoro che subiscono come gli altri l’oppressione e il ricatto economico delle classi dominanti. Come aggregare queste classi, per loro natura non rivoluzionarie o inclini al socialismo, ad accettare la direzione di marcia scandita dalla lotta alle privatizzazioni, ai monopoli, per la rinazionalizzazione dei settori strategici della Nazione: questo il compito dei comunisti oggi.
Il recupero del tema del patriottismo per noi Italiani è di grande impulso. I comunisti hanno vinto solo laddove sono diventati la forza trainante di tutta la nazione e hanno saputo interpretare le esigenze della stragrande maggioranza del popolo contro una ristrettissima minoranza. Oggi più che mai questo ruolo i comunisti ce l’hanno e lo devono assolvere. La situazione politica incandescente fa sì che le classi si polarizzano economicamente, socialmente e politicamente. E quindi una corretta e accorta politica di classe si può e si deve praticare.
Ma attenzione, questo è l’esatto contrario dell’interclassismo borghese. Mentre l’interclassismo “cancella” le classi, in realtà sottomette ideologicamente quelle dominate a quella dominante, l’insegnamento del PCP ci istruisce su come potere proporre e risolvere il problema delle alleanze tra le classi subalterne. Ecco quindi che il concetto di Patria, legato al nefasto uso dei nazionalisti e dei fascisti nelle due Guerre del secolo scorso, trova una vera interpretazione progressista come barriera contro l’imperialismo e difesa degli interessi popolari. In Italia questa battaglia è particolarmente difficile, visto l’abuso che destra e specificatamente neofascisti ne fanno.
Il terzo punto che emerge come qualificante è il tema della democrazia. Cunhal non parla di una democrazia senza aggettivi, assoluta, ma di quattro vertenze principali della democrazia: quella economica, sociale, politica e quella culturale. Ecco quindi la differenza essenziale con il senso borghese interclassista di democrazia, che è la democrazia delle classi dominanti contro le classi dominate. Anche qui differenza cruciale con la democrazia formale dietro cui il PCI si è trincerato con grave pregiudizio per la lotta di classe.
Temo di dovermi fermare qui. Non posso però chiudere senza citare una nota negativa e una altamente positiva. La negativa è che il bel libro di Cunhal “Il partito dalle pareti di vetro” è stato tradotto in Italia solo nel settembre 2020 e quindi pochi comunisti hanno avuto finora la possibilità di istruirsi al suo insegnamento. La nota positiva è che questo libro è stato presentato a Roma il 9 aprile alla presenza del compagno Guerreiro e l’incontro si è rivelato estremamente istruttivo per noi.
Posso dire, davvero in conclusione, che buona parte di quegli insegnamenti sono entrati nella politica del nostro partito e ci guidano nell’attuale battaglia di alleanze sociali che abbiamo lanciato in questi mesi, durante il governo Draghi e oggi nella battaglia elettorale che abbiamo appena cominciato.