Il 18 giugno del 1936 a Mosca moriva Maksim Gor’kij.
Di origine proletaria – i suoi genitori erano poveri lavoratori – il suo vero nome era Aleksej Maksimovic Peskov, a dieci anni rimase orfano e a dodici anni, dopo un breve periodo passato nella casa dei nonni dove si appassionerà alla lettura grazie all’influsso della nonna, abile narratrice dei racconti popolari, cominciò a lavorare come sguattero – imparò a leggere e a scrivere grazie a un cuoco di un battello – per guadagnarsi da vivere.
Sono molti i lavori che hanno impiegato lo scrittore russo nell’età giovanile e molti sono stati i viaggi nel territorio russo, e, grazie a tutto ciò, Gor’kij ha potuto provare sulla propria pelle il peso dell’oppressione che subivano i lavoratori russi nell’economia capitalista al tempo dell’impero zarista.
L’autore dei più celebri scritti che hanno raccontato le vite degli operai russi all’epoca dell’oppressione dello zar e della rivoluzione sovietica iniziata dal 1905, come ‘La madre’ o ‘Un uomo inutile’ o ancora ‘Bassifondi’ (opera teatrale messa in scena per la prima volta nel 1902 dall’attore e regista Stanislavskij) ha attinto le sue storie in prima persona perché egli stesso è stato un lavoratore che ha subito sulla propria pelle la contraddizione tra capitale e lavoro, divenendo in tal modo il primo scrittore della corrente artistica – tanto denigrata dalla borghesia internazionale – chiamata “realismo socialista”.
Tra i suoi amici e stimatori vi erano gli scrittori Lev Tolstoj e Anton Cechov, i quali riconobbero in lui le qualità di scrittore di talento e presero posizione contro la censura zarista – quando Gor’kij venne espulso Accademia russa delle scienze, Cechov si dimise da membro onorario – e l’arresto, avvenuto nel 1905 dopo, per le sue posizioni politiche. Quando venne liberato nel 1906, andò in esilio volontario.
Amico di Lenin, con cui aveva scambi epistolari intimi, era spesso in disaccordo sulla strategia politica da adottare nel periodo della Rivoluzione russa ma per via della loro causa comune, il loro rapporto non si incrinò mai.
A causa della sua cagionevole salute, dopo che si ammalò di tubercolosi nel 1921, si stabilì a Sorrento nel 1924, in Italia, paese dove aveva già vissuto in passato. A Capri, per esempio, dove soggiornò per anni nel periodo del suo esilio volontario, incontrò Lenin, nel periodo in cui il maestro del proletariato era in esilio imposto dal governo dello zar.
Fece ritorno nella sua terra natia su richiesta di Stalin che lo pregò di essere parte attiva nell’edificazione del socialismo reale nella nascente URSS come il capo della nuova cultura proletaria quando venne nominato Presidente dell’Unione degli Scrittori Sovietici nel 1934 al cui Congresso a Mosca , dichiarerà che l’opera d’arte deve avere forma realista e contenuto socialista, nel solco della dottrina marxista-leninistra. Il documento finale chiarisce:
“Il realismo socialista, che è il metodo fondamentale della letteratura creativa e della critica letteraria sovietica, richiede all’artista una rappresentazione veridica e storicamente concreta del reale, nel suo sviluppo rivoluzionario. Con ciò, la veridicità e la concretezza storica della rappresentazione artistica del reale, devono unirsi all’obiettivo del mutamento ideologico e dell’educazione dei lavoratori nello spirito del socialismo.”
Morì di polmonite che fu fatale per la sua debole salute destabilizzata dalla tubercolosi.
Lunga vita allo scrittore del proletariato!