Il 21 febbraio 1848 fu pubblicato per la prima volta a Londra il Manifesto del Partito Comunista, in lingua inglese, francese, tedesca, italiana, fiamminga e danese. Esso fu commissionato dalla Lega dei Comunisti a Karl Marx e Friedrich Engels per esporre in modo chiaro e succinto il programma dei comunisti in tutto il mondo.
Dopo l’incipit famosissimo «Uno spettro si aggira per l’Europa – lo spettro del comunismo», il primo capitolo inizia con una frase che si può considerare la sintesi estrema di quello che poi prenderà il nome di materialismo storico: «La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotta di classi.»
In questa frase si rivela tutta la potenza del pensiero degli ancor giovani Marx ed Engels (30 anni il primo, 28 il secondo). Primo, da dialettici, osservano il processo reale e quindi la “storia” nel suo svolgimento concreto e non ideale. Secondo, determinano subito la necessità teorica dell’astrazione: “ogni”, come sintesi di quello che c’è di comune nei disparati processi esaminati. Terzo, fanno riferimento a fenomeni collettivi concreti, la “società”, come insieme organizzato di uomini che entrano in relazione per fini produttivi e riproduttivi. Quarto, delimitano il campo di definizione a quanto avvenuto fino ad allora, “sinora esistita”, senza estrapolazioni avventate su futuri tutti da scrivere. Quindi, il conclusivo, “è storia di lotta di classi”.
Dopo aver scientificamente definito e delimitato il campo di studio, si arriva a prefigurare quella che è l’affermazione basilare del materialismo storico. Non le individualità, ma i collettivi; non gli episodi, ma le lotte; non gli aggregati umani indistinti, ma gli aggregati sociali degli uomini secondo il ruolo produttivo, le “classi”, che essi assumono nella società concreta in cui vivono.
Segue un affresco di rara vividezza sulla storia delle lotte di classe che ha passato l’umanità. Il ruolo progressivo che fino ad allora, con estrema determinazione, ma anche estrema crudeltà, la borghesia ha svolto viene descritto con precisione. Ma di seguito con la stessa precisione si descrivono i limiti già drammatici dove questa impetuosa evoluzione ha portato: le crisi di sovrapproduzione, la miseria indotta dall’eccesso di forze produttive. Un fenomeno che non solo l’umanità non aveva mai sperimentato, ma che nessuno scienziato sociale o economico avrebbe potuto prevedere dall’alto delle precedenti astrazioni teoriche.
Ma ecco che appare la nuova figura sociale creata dalla produzione industriale di larga scala, il proletariato. Classe asservita alla macchina e svuotata delle capacità individuali della precedente classe artigiana, reca in sé il destino della nuova società che va ad apparire.
Il partito moderno del proletariato, il partito leninista è di là da venire, ma già Marx ed Engels prefigurano il percorso politico che si prepara:
«Il vero risultato delle loro lotte non è il successo immediato, ma la unione sempre più estesa degli operai.»
Dapprima con lotte isolate e arretrate, spesso al traino del residuo delle lotte della borghesia contro il feudalesimo. Ma il fronte si allarga.
«Quelli che furono sinora i piccoli ceti medi, i piccoli industriali, i negozianti e la gente che vive di piccola rendita, gli artigiani e gli agricoltori, tutte queste classi sprofondano nel proletariato, in parte perché il loro esiguo capitale non basta all’esercizio della grande industria e soccombe quindi nella concorrenza con i capitalisti più grandi, in parte perché le loro attitudini perdono il loro valore in confronto ai nuovi modi di produzione. Così il proletariato si recluta in tutte le classi della popolazione.»
«Infine, nei periodi in cui la lotta di classe si avvicina al momento decisivo, il processo di dissolvimento in seno alla classe dominante, in seno a tutta la vecchia società, assume un carattere così violento, così aspro, che una piccola parte della classe dominante si stacca da essa per unirsi alla classe rivoluzionaria, a quella classe che ha l’avvenire nelle sue mani. Perciò, come già un tempo una parte della nobiltà passò alla borghesia, così ora una parte della borghesia passa al proletariato.»
«I ceti medi, il piccolo industriale, il piccolo negoziante, l’artigiano, il contadino, tutti costoro combattono la borghesia per salvare dalla rovina la loro esistenza di ceti medi. Non sono dunque rivoluzionari, ma conservatori. Ancor più, essi sono reazionari, essi tentano di far girare all’indietro la ruota della storia. Se sono rivoluzionari, lo sono in vista del loro imminente passaggio al proletariato; cioè non difendono i loro interessi presenti, ma i loro interessi futuri, abbandonano il proprio modo di vedere per adottare quello del proletariato.»
Quanto sono importanti queste parole nel delineare la necessità di istaurare le alleanze di classe con tutti gli oppressi della società borghese, compresi i borghesi che vengono retrocessi dal loro status precedente.
«I proletari, invece, possono impossessarsi delle forze produttive sociali soltanto abolendo il loro modo di appropriazione attuale e con esso l’intero attuale modo di appropriazione.»
Ecco quindi il punto che distingue la visione marxista già in via di formazione: la necessità di una nuova società, che si basi non sullo spostamento di potere o ricchezze dall’uno all’altro, da un settore all’altro, ma che metta fine ai rapporti di produzione capitalistici, basati sull’appropriazione del frutto del lavoro, con una società basta su nuove forme di rapporti di produzione, senza sfruttatori e sfruttati.
«Voi inorridite all’idea che noi vogliamo abolire la proprietà privata. Ma nell’attuale vostra società la proprietà privata è abolita per nove decimi dei suoi membri; anzi, essa esiste precisamente in quanto per quei nove decimi non esiste. Voi ci rimproverate dunque di voler abolire una proprietà che ha per condizione necessaria la mancanza di proprietà per l’enorme maggioranza della società. In una parola, voi ci rimproverate di voler abolire la vostra proprietà. È vero: è questo che vogliamo.»
«Il comunismo non toglie a nessuno la facoltà di appropriarsi dei prodotti sociali; toglie soltanto la facoltà di valersi di tale appropriazione per asservire lavoro altrui.»
Abbiamo quindi la descrizione, per forza di cose sommaria, del trapasso dalla società del massimo profitto individuale alla società del massimo benessere collettivo. Si fa anche giustizia di cosa si intende per “abolizione della proprietà privata”. Come poi verrà precisato meglio ovviamente di parla della proprietà dei “mezzi di produzione”.
Qui ora un altro squarcio ora che sembra cronaca di questi giorni, in cui i fenomeni di disgregazione sociale e di arretramento culturale caratterizzano questa società, ormai in via di decomposizione.
«Le declamazioni borghesi sulla famiglia e sull’educazione, sugli intimi rapporti fra i genitori e i figli diventano tanto più nauseanti, quanto più, in conseguenza della grande industria, viene spezzato per i proletari ogni legame di famiglia, e i fanciulli vengono trasformati in semplici articoli di commercio e strumenti di lavoro.»
«A misura che viene abolito lo sfruttamento di un individuo per opera di un altro, viene abolito lo sfruttamento di una nazione per opera di un’altra. Con lo sparire dell’antagonismo fra le classi nell’interno delle nazioni scompare l’ostilità fra le nazioni stesse.»
Nella seguente frase si può comprendere la base di quello che viene definito il “materialismo” di Marx ed Engels.
«Ci vuole forse una profonda perspicacia per comprendere che, cambiando le condizioni di vita degli uomini, i loro rapporti e la loro esistenza sociale, cambiano anche le loro concezioni, i loro modi di vedere e le loro idee, in una parola, cambia anche la loro coscienza? Che cos’altro dimostra la storia delle idee, se non che la produzione spirituale si trasforma insieme con quella materiale?»
Una considerazione che appare quasi banale, quanto è solare, ma che ci descrive quanto i Maestri del Comunismo fossero attenti non solo alle condizioni materiali dei lavoratori, ma anche alla loro riscossa ed affermazione spirituale. Ciò smentisce la vulgata pedestre secondo la quale i “materialisti” sono persone grette e attaccate solo alle cose “materiali”, confondendo il significato filosofico con quello quotidiano che si è affermato nella nostra società degenerata, che è invece la vera società “materialista” borghese.
La seguente frase precorre la famosa Introduzione del ’57 in cui si pongono le basi della critica della ideologia nella società borghese e la fondazione del materialismo dialettico ancora di là da venire nel 1948.
«Le idee dominanti di un’epoca furono sempre soltanto le idee della classe dominante.»
Un punto interessante riguarda il rapporto tra il proletariato con la nazione e le lotte nazionali nelle quali esso si trova a operare.
«Il proletariato che è lo strato più basso della società attuale, non può sollevarsi, non può innalzarsi, senza che tutta la sovrastruttura degli strati che costituiscono la società ufficiale vada in frantumi. Sebbene non sia tale per il contenuto, la lotta del proletariato contro la borghesia è però all’inizio, per la sua forma, una lotta nazionale. Il proletariato di ogni paese deve naturalmente farla finita prima con la sua propria borghesia.»
Cruciale quindi capire che la lotta nazionale è uno strumento del quale non si può fare a meno per imporre il proletariato come classe dirigente della lotta di tutti gli oppressi della società. Purtroppo in Occidente la propaganda borghese ha ridotto parole come “nazione”, “patria” a un orpello della destra più retriva, mentre è da ricordare che le rivoluzioni proletarie che hanno avuto successo (Russia, Cina, Vietnam, Corea, Cuba, ecc.) hanno avuto successo perché hanno messo al centro la resistenza e il riscatto nazionale, mentre tutte quelle che sono state sconfitte non hanno avuto o saputo percorrere questa strada (Ungheria del 1918).
Esaminando il programma che si propone qui di seguito, ci si rende conto di quanto esso sia di grande attualità, di quanto vicino le lotte anche nei paesi democratici nei decenni passati e di quanto siamo tornati indietro nei diritti sociali, tanto da rendere questo “programma provvisorio” di fresca attualità.
È interessante la seguente rassegna sulle attività che svolgono i partiti comunisti nel mondo, che testimoniano una grande flessibilità tattica, cosa che poi riscontreremo ancor di più in Lenin.
«POSIZIONE DEI COMUNISTI RISPETTO AI DIVERSI PARTITI D’OPPOSIZIONE
I comunisti lottano per raggiungere gli scopi e gli interessi immediati della classe operaia, ma nel movimento presente rappresentano in pari tempo l’avvenire del movimento stesso.
In Francia i comunisti si uniscono al partito socialista democratico contro la borghesia conservatrice e radicale, senza rinunciare perciò al diritto di serbare un contegno critico di fronte alle frasi e illusioni derivanti dalla tradizione rivoluzionaria.
In Svizzera sostengono i radicali, senza disconoscere che questo partito è composto di elementi contraddittori, e cioè in parte di socialisti democratici nel senso francese, in parte di radicali borghesi.
Fra i polacchi i comunisti appoggiano il partito che mette come condizione del riscatto nazionale una rivoluzione agraria; quello stesso partito che suscitò l’insurrezione di Cracovia nel 1846.
In Germania il partito comunista lotta insieme con la borghesia, ogni qualvolta questa prende una posizione rivoluzionaria contro la monarchia assoluta, contro la proprietà fondiaria feudale e contro la piccola borghesia reazionaria. Esso però non cessa nemmeno per un istante di sviluppare fra gli operai una coscienza quanto più è possibile chiara dell’antagonismo e dell’inimicizia esistenti fra borghesi e proletariato, affinché gli operai tedeschi siano in grado di servirsi subito delle condizioni sociali e politiche che la borghesia deve introdurre insieme col suo dominio, come di altrettante armi contro la borghesia, e affinché dopo la caduta delle classi reazionarie in Germania subito si inizi la lotta contro la borghesia stessa. Sulla Germania i comunisti rivolgono specialmente la loro attenzione, perché la Germania è alla vigilia della rivoluzione borghese, e perché essa compie tale rivoluzione in condizioni di civiltà generale europea più progredite e con un proletariato molto più sviluppato che non avessero l’Inghilterra nel diciassettesimo secolo e la Francia nel diciottesimo; in cui la rivoluzione borghese tedesca non può essere che l’immediato preludio di una rivoluzione proletaria.
In una parola, i comunisti appoggiano dappertutto ogni moto rivoluzionario contro le condizioni sociali e politiche esistenti.
In tutti questi moti essi mettono avanti sempre la questione della proprietà, abbia essa raggiunto una forma più o meno sviluppata, come la questione fondamentale del movimento.
I comunisti finalmente lavorano all’unione e all’intesa dei partiti democratici di tutti i paesi.
I comunisti sdegnano di nascondere le loro opinioni e le loro intenzioni. Essi dichiarano apertamente che i loro scopi non possono essere raggiunti che con l’abbattimento violento di ogni ordinamento sociale esistente.
Tremino pure le classi dominanti davanti a una rivoluzione comunista. I proletari non hanno nulla da perdere in essa fuorché le loro catene. E hanno un mondo da guadagnare.
PROLETARI DI TUTTI I PAESI, UNITEVI»
Non possiamo che fare tesoro di tali insegnamenti, cercare, come stiamo facendo, di attualizzarli e di attuarli nel nostro Paese. Di individuare di volta in volta qual è l’obiettivo e il nemico principale da indicare ai lavoratori che si rivolgono a noi.