Il 1° Giugno a Balocco, in provincia di Vercelli, si terrà la presentazione del nuovo piano industriale per FIAT-FCA, il quale dovrebbe durare altri quattro anni, fino al 2022. E’ una programmazione, questa, attesa da parecchio tempo, in quanto dovrebbe formalizzare completamente delle scelte di mercato che in questi anni sono andate via via concretizzandosi.
Per scelte di mercato intendiamo che il commercio e la produzione in Italia sarà limitata ad automobili di lusso (Jeep, Alfa Romeo e Maserati), mentre in Polonia si rafforzerà la produzione di veicoli di “massa” (FIAT 500, Panda…).
Il processo di delocalizzazione, avviato tempo addietro dall’azienda automobilistica che ha spostato la produzione principalmente in Serbia e in Polonia, non solo non si sta arrestando, bensì viene in tal modo pianificato in base alle necessità di profitto.
In Italia, come più volte dichiarato da Marchionne, la manodopera costa troppo. Quindi, nonostante si contraggano quotidianamente salari e diritti dei lavoratori, non ci si può permettere di produrre macchine di massa in quanto, sempre secondo l’azienda, nel nostro paese non avrebbero mercato, non venderebbero.
La novità, però, più preoccupante riguarda gli operai e le operaie. In questi anni le condizioni di lavoro nell’azienda sono nettamente peggiorate, non solo per quanto riguarda l’introduzione di leggi che uccidono i diritti sul lavoro e contraggono i salari, ma anche perché negli stabilimenti italiani vi è stata un enorme ridimensionamento della manodopera.
Tale ridimensionamento non è passato inosservato agli occhi dei lavoratori, i quali a loro volta hanno tentato di opporsi a un futuro incerto di cassa integrazione, di lavoro a cottimo in fabbrica, di probabile licenziamento.
In questo scenario i sindacati confederali hanno assolto la loro missione di strutture inserite tra i lavoratori per giocare al ribasso sulle loro rivendicazioni. Mentre si palesavano più volte le possibilità di scioperi che avrebbero colpito al cuore del profitto dell’azienda, FIOM-CGIL e affini hanno operato per stemperare la rabbia dei lavoratori, millantando appunto il nuovo piano industriale che avrebbe dovuto risolvere i problemi dell’occupazione in tutti gli stabilimenti italiani.
Promettevano insomma un paese dei balocchi, che nella fattispecie non solo è impossibile da realizzare, se vediamo dove e come la FIAT-FCA sta investendo maggiormente; è anche contrario allo stesso piano industriale che presenteranno il primo giugno.
Partiamo, però, da qualche numero. Negli ultimi anni negli stabilimenti italiani, da quando Marchionne ricopre il ruolo di amministratore delegato, sono stati persi in tutto 21 mila posti di lavoro. Sul polo di Mirafiori Carrozzerie di Torino e Grugliasco, nei quali vengono realizzate le Maserati Levante, Quattroporte, Ghibli e Mito, lavorano nella produzione circa 6.900 persone, alle quali vanno aggiunte le persone che lavorano nelle strutture centrali. In tutto il gruppo si arriva a 27 mila lavoratori. Ai quali vanno aggiunte tutte le persone che lavorano nell’indotto.
Riguardo appunto alla situazione del numero dei lavoratori in FIAT-FCA, Marchionne ha dichiarato recentemente che con questa nuova programmazione si sarebbe raggiunto di nuovo il massimo dell’occupazione.
A fronte di questi numeri, dove parliamo di migliaia di lavoratori cassaintegrati e precari, per piena occupazione si intende etimologicamente solo la possibilità di lavorare nell’azienda. Ma a quali condizioni (magari un turno al mese), con quali contratti, con quali tutele, non ci è dato sapere.
Una cosa che però sappiamo per certo è quello che sta accadendo in questi due mesi ai lavoratori dei vari stabilimenti italiani. Per “garantire” appunto la piena occupazione, gli operai e le operaie FIAT più anziani stanno ricevendo notevoli pressioni. O si accetta il pensionamento anticipato, rischiando di perdere, grazie alla legge Fornero, anni e anni di contributi, oppure si continua a vivere nella precarietà, lavorando a bocconi, rischiando l’imminente cassa integrazione.
In tal modo vengono sradicati dalla produzione i lavoratori più anziani, che sempre secondo l’azienda, hanno troppe garanzie e salari troppo alti. Eppure, nonostante questa drastica diminuzione degli operai e delle operaie più navigati, non ci sarà un’iniezione di lavoratori più “giovani” di pari numero per compensare il deficit.
Lo scenario che si prospetta da qui a quattro anni è abbastanza chiaro. La FIAT-FCA non ha più interesse a investire e lavorare sul territorio italiano, se non per quanto riguarda i prodotti di lusso.
Nonostante il piagnisteo generale dei manager e degli investitori, i quali parlano del famigerato debito di 1 miliardo di euro che l’azienda ha contratto negli anni, nel 2017 gli utili sono raddoppiati. Trasformandoli in dividendi, e quindi redistribuendoli come premi ai vertici, si sono potuti ottenere sgravi fiscali e soldi dallo Stato Italiano. Soldi che sono stati presi dalle tasse dei lavoratori italiani. Ossia dal sangue che versano ogni giorno per poter arrivare a fine mese.
In questo gioco delle tre carte, i vertici dell’azienda e Marchionne, che il primo giugno dovrebbe cedere il ruolo ad un altro manager, continuano spudoratamente a prendere in giro i lavoratori e l’intero paese. Continuano a sfruttare gli operai e le operaie, continuano a trovare escamotage per incrementare i profitti personali a discapito della vita di milioni di persone.
Per gli operai, per i lavoratori FIAT-FCA nessun piano industriale orchestrato dai padroni potrà cancellare i loro problemi. L’unico “piano” che funziona è quello del conflitto di classe, della lotta di classe all’interno degli stabilimenti, per combattere l’ennesimo attacco ai diritti di chi produce realmente la ricchezza di questo paese. Solo con l’organizzazione e con la chiarezza di intenti e di azione si può creare un argine per lo smantellamento della produzione strategica in Italia. Solo con la lotta si possono preservare i posti di lavoro e uscire dalla precarietà che rende quotidianamente difficile la vita di noi proletari.