Il 17 Aprile del 2014 ci lasciava Gabriel Garcia Marquez.
In molti oggi lo ricorderanno per i suoi romanzi, da Cent’anni di solitudine, che gli valse la fama mondiale a L’amore ai tempi del colera, pubblicato dopo aver ricevuto il Premio Nobel per la Letteratura nel 1982. In molti lo ricorderanno per essere uno dei maggiori esponenti di una corrente letteraria tutta latinoamericana, il “realismo magico”, riducendolo ad un araldo della letteratura latinoamericana e sottolineando la parte magica, fantasiosa della sua scrittura.
Noi invece vogliamo ricordare il “realismo” che lo ha ispirato. Il realismo della sua terra, la Colombia, dove nasce il 6 marzo 1927 ad Aracataca, municipio adagiato nell’entroterra caraibico e sommerso dai latifondi. In Cent’anni di solitudine, troviamo un insignificante avventuriero Mr. Herbert, che assaggia casualmente una banana, poi un’altra, poi ancora fino a divorare un intero casco di banane: immagine magica di un realismo spietato, quello della multinazionale United Fruit Company che, insaziabile, divora a ripetizione uomini e terre.
“Ma continuò a mangiare mentre parlava, assaporando, masticando più con introversione di savio che con godimento di buongustaio, e quando finì il primo casco pregò che gliene portassero un altro”.
Anche nei suoi esordi da scrittore, La hojarasca, El coronel no tiene quien le escriba e La mala hora, Marquez ci racconta la realtà colombiana, dove i partiti oligarchici, il liberale e il conservatore, tanto indistinguibili quanto identici, danno vita ad una macabra danza di violenza, il cui unico risultato è un’ eterno sottosviluppo.
Ma prima del successo riscosso da romanziere, Marquez è stato una delle più apprezzate firme del giornalismo colombiano. Il suo Racconto di un naufrago è un’intervista in 14 puntate a un militare colombiano, miracolosamente sopravvissuto dopo esser caduto in mare da un cacciatorpediniere della marina colombiana, assieme ad altri commilitoni. L’intervista rivelerà che il cacciatorpediniere non era rimasto vittima di un naufragio, ma trasportava merci di contrabbando e proprio il peso eccessivo aveva causato la caduta in mare dei marinai. L’intervista scatenerà l’ira del Generale Rojas Pinilla, allora Presidente della Colombia, e comporterà la chiusura del giornale, oltre che costringere Marquez a spostarsi a Parigi.
Proprio alla sua attività da giornalista si deve l’amicizia e la stima profonda con Fidel Castro, amicizia e stima che non rinnegherà mai. All’alba della Rivoluzione cubana, nel 1959, Marquez si trasferisce a La Habana ed inizia a lavorare per Prensa Latina assieme ad altri intellettuali latinoamericani, segnatamente Rodolfo Walsh, Carlos Maria Gutierrez e Leonardo Acosta. Per Prensa Latina farà il corrispondente da New York dove rimarrà poco più di un anno. Nel 1961, il fallimentare attacco statunitense alla Baia dei Porci, costerà a Marquez le attenzioni della CIA e lo costringerà a rifugiarsi in Messico prima e successivamente a Barcellona.
Vogliamo chiudere il nostro ricordo di Marquez citando il suo discorso in occasione della premiazione per il Premio Nobel. Gabriel Garcia Marquez espresse tutta l’amarezza per l’incomprensione e l’indifferenza con cui si percepiva e si giudicava l’America Latina:
“Ma credo che gli europei di spirito chiarificatore, quelli che anche qui lottano per una patria grande più umana e più giusta, potrebbero aiutarci meglio se rivedessero a fondo il loro modo di vederci. La solidarietà con i nostri sogni non ci farebbe sentire meno soli, se si concretizzasse con atti di appoggio legittimo ai popoli che assumono l’illusione di avere una vita propria nella commedia del mondo.
L’America Latina non vuole né deve essere un alfiere senza volontà, né c’è nulla di chimerico se i suoi disegni di indipendenza e originalità diventano un’aspirazione occidentale. Ciò nonostante, i progressi della navigazione che hanno ridotto tante distanze tra le nostre Americhe e l’Europa sembrano aver aumentato invece la nostra distanza culturale. Perché l’originalità che ci si concede senza riserve nella letteratura la si nega con ogni tipo di sospetto ai nostri tentativi così difficili di cambiamento sociale? Perché pensare che la giustizia sociale che gli europei avanzati cercano di imporre nei loro paesi non possa essere anche un obiettivo latinoamericano con metodi diversi in condizioni differenti?”