di Alberto Lombardo
Mauro Boarelli, in un saggio dal titolo Contro l’ideologia del merito (Laterza) sottopone a critica la parola “meritocrazia” e ne svela la “trappola ideologica”. Il termine inglese meritocracy inizialmente aveva una connotazione negativa, ma in seguito la parola comincia ad assumere un’accezione positiva, sinonimo di uguaglianza delle opportunità e in opposizione a privilegi.
In effetti non ci sarebbe bisogno di inventarsi una parola diversa rispetto alla quella già in uso nella lingua italiana “merito”. Invece nella virata terminologica è nascosta la virata ideologica.
Il socialismo ha da sempre proclamato come proprio obiettivo lo slogan: da ciascuno secondo le proprie possibilità, a ciascuno secondo i propri meriti (“il suo lavoro”), prima di passare alla fase del comunismo, in cui i “meriti” è sostituito dai “bisogni”. E allora perché i comunisti devono opporsi alla meritocrazia?
Come ci insegna Marx, secondo il proprio lavoro delinea una società ancora immatura, in cui le differenti capacità vengono cristallizzate, anche se certamente i suoi effetti nefasti sono mitigati dallo stato sociale; infatti è solo la società comunista, in cui la limitatezza delle risorse potrà far raggiungere l’obiettivo pienamente realizzato a ognuno secondo i propri bisogni. Ma chiaramente questo obiettivo non può essere raggiunto in un solo balzo.
Il termine “meritocrazia” invece produce una torsione che, anziché attutire le diseguaglianze, le rafforza a tutto vantaggio delle classi dominanti.
Vediamo meglio, partendo da un esempio. Poiché di solito questo termine è applicato al sistema scolastico ed educativo in generale, cominciamo da lì.
Meritocrazia significa che solo pochi “migliori” possono emergere per acquisire i pochi posti messi a disposizione dal potere capitalistico come posti di “servi privilegiati” (“i negri da cortile”, contrapposti ai “negri da campo”, come diceva Malcom X). Il capitalismo di oggi non ha bisogno di una grande massa di lavoratori educati, come negli anni Settanta, ma di pochi servitori ben addomesticati e ideologicamente inquadrati. La scuola e l’università quindi deve essere in grado di far emergere i pochi migliori, i quali devono essere convinti di essersi “meritato” quel ruolo perché più bravi degli altri. Più scarsi i posti in palio, più forte la selezione e più ideologicamente selezionati i “vincitori”.
Merito invece significa invece che i posti dei “promossi” non sono limitati, ma idealmente lo scopo della educazione è quella di portare tutti a quel traguardo. Chi ne viene escluso è solo per propria incapacità o svogliatezza e non perché i posti a sedere sono pochi e certamente tanti, bravi e no, resteranno in piedi.
Il sistema di valutazione anglosassone, poi mutuato nei ranking nostrani, è basato sul criterio dei percentili: il 20 percento dei più bravi, il 20 percento dei più bravi rimanenti, ecc., a cui attribuire il voto A, B,… In questo modo non si ha alcuna possibilità di stabilire se negli ultimi gruppi non vi siano ottimi elementi che sono finiti lì magari solo perché tutta la classe è eccellente. Il contraltare di questa metodologia è che, se i partecipanti fossero tutti scarsi, verrebbero messi nel gruppo A non i migliori, ma i meno scarsi.
Il sistema di valutazione nostrano invece fissa delle soglie non sul numero dei promossi, ma sul livello che ciascuno può raggiungere. Quindi in una classe ci potrebbero essere tutti A o tutti E. Nel nostro sistema ciò si verifica abitualmente, in quello anglosassone il docente verrebbe richiamato a giustificare una situazione anomala. In una classe destinata ad allevare i futuri tecnici la selezione è micidiale. In una classe in cui si posteggiano i figli di coloro che non dovranno assumere alcuna qualificazione la valutazione a ranking porta a far crollare il livello qualitativo: “non si studia perché tanto non possono bocciare tutti”: questo è il contrario di quello che occorre al futuro proletario, non aver assicurato dalla scuola neanche quel minimo che serve per posizionarsi sul “mercato del lavoro” in modo da poter esercitare una qualche capacità contrattuale col padrone.
A questo punto la responsabilità di riuscire a entrare fra i posti in palio viene del tutto scaricata sul “concorrente”. Con l’effetto che tutti coloro che non entreranno nel novero non attribuiranno al sistema truccato la responsabilità, ma a loro stessi – “sono io che non sono stato all’altezza” – preservando in tal modo il sistema capitalistico dalla critica ideologica, mentre i “prescelti” si sentiranno parte di un élite e quindi saranno i più strenui difensori del sistema (i primi che corrono coi secchi d’acqua quando brucia la casa del padrone, per parafrasare ancora Malcom X).
A livello superiore lo stesso meccanismo si ritrova nella gestione delle cosiddette startup. Queste società, attivate spesso da giovani ricercatori, si sforzano di trovare innovazioni che possano richiamare l’attenzione di grosse compagnie, le quali di solito acquistano tali innovazioni per quattro soldi. Il tasso di successo è molto scarso. Il risultato è le grandi compagnie hanno esternalizzato gran parte della ricerca, soprattutto quella di punta che ha tassi di fallimento molto elevati (un’idea buona si sviluppa solo se ne falliscono altre 99), scaricando su una platea esterna questi costi. Il capolavoro è che i 99 esclusi non maledicono la lotteria truccata, ma solo loro stessi e la loro sfortuna, affannandosi per tentare un’altra volta.
I concorrenti vengono atomizzati in una gara in cui chi vince è sempre il padrone che ha messo in palio un biscottino e a perdere sono tutti i partecipanti, sia chi non viene prescelto, ma anche chi viene prescelto.
Come acutamente scrive Boarelli, «Il conflitto sociale si nutre dell’azione collettiva, il merito dell’iniziativa individuale. Il primo persegue scopi comuni che investono la società nel suo complesso, il secondo concepisce il progresso sociale come ricaduta naturale di una somma di successi personali. L’uno prefigura un diverso ordine sociale, l’altro conferma quello esistente.» (p. 84).
Sintetizzando
Merito | Meritocrazia | |
Competizione | collaborativa | concorrenziale |
Selezione | tanti (anche tutti) | pochi |
Gruppo | coeso | atomizzato |
Ideologia | solidale | individualista |
Gestione del fallimento | collettiva per superarlo | nessuna |
Effetto del fallimento | mobilitazione generale | mortificazione |
… | … | … |
Sono tante le voci che si sono levate in condivisione delle argomentazioni di Boarelli, ma il punto secondo noi purtroppo non coglie nel segno la critica che dovrebbe essere portata.
Dice Boarelli: «Ma i fautori del merito non sono interessati a politiche redistributive: per loro tutto si gioca sul piano individuale, sulla competizione, sul mercato, la cui centralità è testimoniata dalla sua estensione ad ambiti della vita sociale che prima ne erano protetti.» (p. 113)
Purtroppo il punto che una critica “borghese” democratica non riesce a cogliere è quella che riguarda quale classe viene favorita da questo fenomeno. Si punta il dito sull’effetto – di volta in volta, la diseguaglianza, l’ingiustizia, l’inefficienza – ma non si criticano le radici sulla vera causa, che è il capitalismo, ossia il modello di produzione che prevede lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, che dai tanti che vengono oppressi nasce il beneficio per pochi.
Per questo solo una affilata critica marxista può dare la giusta prospettiva per far uscire le classi subalterne dalla trappola ideologica borghese e dare gli strumenti ai lavoratori per non combattersi gli uni con gli altri, ma fare fronte comune contro i propri sfruttatori.