Il Coccodrillo Rosso
Ormai è inutile. In pochi lo abbiamo capito e quasi tutti fanno finta di niente. I parlamenti nazionali, e tra questi il nostro, hanno le mani legati. Il vincolo esterno è il padrone che va lentamente a dirigere le politiche senza sporcarsi realmente mai le mani. E se in modo silenzioso e travolgente, questo regola i punti cruciali delle politiche nazionali con un metodo a metà tra l’anonimato e la spudoratezza, la maggior parte della società civile, i media e la narrativa politica sono inclini a raccontare una realtà che omette tutto ciò o si schiera da tutt’altra parte senza farne una tragedia.
Lo so, queste parole dalla maggior parte dei lettori dei grandi quotidiani potrebbero essere direttamente collegate alle peggiori teorie cospirazioniste; o nella migliore delle ipotesi risulterebbero affermazioni fin troppo generiche. Ma il sottoscritto non parla a vanvera: il più grande sogno del liberismo e della sua recente reincarnazione neoliberale è la supremazia dell’economia sulla politica, rendendo l’ultima un mero esecutore di regole dettate dalla prima.
D’altronde, se risultassero troppo generiche le mie affermazioni, non dovrò fare nient’altro che stupirvi (con estrema facilità) usando le parole di uno dei pezzi grossi della democraticissima Unione Europea, Günther Oettineger:
“I mercati insegneranno agli italiani a votare nel modo giusto”.
Questa frase ha suscitato forti critiche, ma mai dalla parte dell’autolesionista società sfacciatamente europeista. Ciò accadde nel 2018 e, usando una fin troppo conveniente e immaginaria macchina del tempo, è mia intenzione portarvi indietro a quelle elezioni per una rapida analisi.
Ma mettiamo in chiaro più cose pima di addentrarci nel pieno della discussione. È mia primissima intenzione dimostrarvi quello che all’inizio ho affermato: Il parlamento italiano ha le mani legato sui punti cruciali della politica e tra tutti i parlamenti dell’eurozona è probabilmente quello più in agonia tra costrizioni ed immobilismo politico forzato. In secondo piano, useremo un parallelo con le nuove elezioni e le scorse: non dimentichiamoci, che in entrambi i casi, a vincere sono state le forze parlamentari più “eversive” (almeno sulla carta e sul metro di misura dei grandi partiti). Infine andremo a osservare qual è il reale ruolo dei partiti parlamentari e che peso reale abbiano le loro politiche.
A trionfare in quell’anno furono le forze populiste: Lega e Movimento 5 Stelle.
Chiariamoci subito: se il comunismo e il socialismo nel XIX e XX secolo avevano una cuginanza con il populismo (in particolare nell’esperienza russa del “Narodnicestvo”) in questo caso i citati partiti populisti sono lontanissimi da noi. Anzi; hanno scimmiottato le lotte popolari delle masse a loro vantaggio. Ma l’esperienza del Governo Conte I fa deliziosamente al caso nostro per dimostrare che carcasse nauseanti siano ormai tristemente diventate la Repubblica italiana e il parlamento nazionale. Inutile dire come di conseguenza soffrano i lavoratori. Con percentuali inimitabili rispetto a quelle delle ultime elezioni, La Lega e i 5 stelle erano i veri vincitori.
Ma procediamo per gradi: il giurista Conte è scelto dai partiti come imparziale capo di governo, ed ecco che subito l’Unione Europea gioca le sue carte; il presidente Sergio Mattarella incarica sì Conte di formare un governo, ma lo gela immediatamente appena sente l’odore dell’economista Paolo Savona, il quale solo parzialmente critico nei confronti della moneta unica, viene trattato alla stregua di un bolscevico (e magari fosse!) ritenuto una minaccia incontrastabile per l’Europea e (poi eventualmente) per gli italiani; tant’è che il 29 Maggio lo spread si impenna di 100 punti solo dopo aver sentito il nome di Savona. In barba al volere del voto italiano, Mattarella contatta Carlo Cottarelli, liberista sfegatato ex uomo di punta del Fondo Monetario Internazionale, per un governo tecnico. Non è una novità che quei liberalucci e piccoli borghesi del PD detestino votazioni popolari e il popolo stesso. Ma il problema non sussiste, Cottarelli fallisce e il governo viene ridato nelle mani di Conte che successivamente ottiene la fiducia. Il governo sembrerebbe vivere una vita serena, ma in due altre occasioni lo spettro del vincolo esterno viene a bussare alla porta. Tra settembre e ottobre, la Commissione baccaglia con il governo che punta la 2,4% del rapporto tra il disavanzo pubblico annuale e il PIL (nonostante il parametro di Maastricht dia come tetto il 3%) e il 21 novembre la stessa Commissione europea annuncia l’intenzione di aprire contro l’Italia una procedura di infrazione per “Debito eccessivo”.
Ma non è nemmeno finita qui; il vincolo esterno e l’europeismo più cieco, con fare bullesco, si intromettono anche nella politica estera senza alcun diritto e con un fare parassitario e da primadonna. Bisogna dargliene atto, il Governo Conte nel 2019 fece una gran mossa con la “Belt and Road Initiative”, più genericamente nota come “Nuova via della seta”. La Cina, imponente colosso politico, industriale ed economico in crescita da ormai sette lustri sarebbe stato un’ottima alternativa all’atlantismo e il decadente mondo occidentale. Il progetto cinese aveva già contattato più parti del mondo (Africa in primis passando per alcuni ex paesi del patto di Varsavia) e questo avrebbe dato all’Italia un ruolo ambivalente: avrebbe dato al nostro paese un contatto diretto con un paese membro dei BRICS allontanandolo dal blocco atlantico, o perlomeno, avrebbe fornito ad esso una valida alternativa di partenariato. Ma cosa c’era di grave in tutto questo? Nulla, se non il fatto che se fino ad allora la Nuova via della seta aveva contattato o instaurato partenariati con paesi africani o validi paesi occidentali, la peculiarità della posizione italiana stava nel fatto che l’Italia era il primo paese del G7 a considerare un avvicinamento con la Cina per instaurare quello che la giornalista Pompili del Foglio ha definito “un Nuovo Ordine Mondiale con caratteristiche cinesi”. Insomma, un affronto ai liberali yankee e ai tecnocrati blu. Infatti non se ne fece nulla: se la firma dell’accordo con Xi Jinping avvenne in Italia con Conte nel marzo 2019 e il 26 aprile Conte partecipa al “Belt and Road Forum” dove dialoga anche con Putin; il Governo cadrà da lì a pochi mesi. Forse c’era la mano di Salvini che viaggiò negli USA a giugno per risanare l’atlantismo e (che poi si ritirerà dalla maggioranza in piena estate). Insomma, poche cose sono certe, l’invidia del vincolo esterno mina sempre le basi della politica nazionale; magari con classe e astuzia, ma farà sempre ciò che vuole. Conte non è un socialista, un comunista e né tantomeno un populista o un politico di ferro. Ma non è stupido e aveva percepito il potenziale di un’alternativa al morente e dispotico atlantismo.
Sappiamo tutti come è andata a finire: fu un governo forzato di due forze politiche che avevano sì fomentato un certo senso di rivalsa negli italiani; ma contemporaneamente l’unica loro abilità fu quella di cavalcare il dissenso di fasce popolari abbandonate a loro stesse dallo Stato tutelare. Non è mia intenzione difenderli a spada tratta: entrambi hanno rubato un posto che spetta ai partiti a fianco dei lavoratori che realmente ripudiano la borghesia europea in ogni loro forma. Ma quel che è giusto è giusto: le elezioni erano andate verso una direzione; una direzione che fu immediatamente sabotata. Non abbiamo nulla da invidiare ai suddetti partiti, ma questa triste storia ha tantissimo da insegnarci. Le elezioni non hanno senso se a vincere sono gli stessi partiti personalizzati e lacchè di atlantismo ed europeismo, amanti del vincolo esterno e perennemente con il capo chino verso chi ti loda come schiavo e ti disprezza come politico con una posizione ideologica e come rappresentante di voleri popolari.
Se realmente così stanno le cose e se non viene mostrata pietà alcuna verso due partiti che solo sulla carta avevano una minima intenzione di contestare le posizioni di dominio dei vincoli europei, non oso immaginare quanta ferocia potrebbe esserci nei confronti del Partito Comunista, Riconquistare l’Italia, Ancora Italia e le altre formazioni politiche critiche dei dogmi politici attuali in caso raggiungessero rilevanti percentuali. Lo abbiamo già visto in campagna elettorale; esponenti della lista sono stati messi alla gogna nella maggior parte delle trasmissioni televisive con gaudio e sadismo.
Dobbiamo però ora affrontare il nocciolo della questione; se la fa da padrone il vincolo esterno a cosa serve votare? La risposta più nichilista possibile è: a nulla, se non a eleggere il migliore degli esecutori delle politiche europee; il migliore servo o addirittura il miglior cagnolino: la lotta per il migliore dei guinzagli possibili. Alcuni lotteranno per un guinzaglio più lungo rispetto ad altri e che possa dare più spazio di manovra; altri (pur di non irritare il padrone) faranno decidere a lui la consistenza e il materiale di cui è composto. Nessuno dei grandi partiti vorrà spezzarlo perché ben remunerati e ricoperti d’oro nello scodinzolare alle richieste della matrigna neoliberale europea o al pacifista patto atlantico. Ora perché dovremmo credere che ci sia differenza tra Carlo Calenda e Matteo Salvini? Tra Emma Bonino e Nicola Fratoianni? Il dibattito tra le varie parti avviene (in termini marxisti) sulla sovrastruttura politica e su quelle poche tematiche che il guinzaglio lascia liberi i suoi sudditi di poter discutere a riguardo: immigrazione, diritti civili, il “catcalling” e altre tematiche particolarmente secondarie in confronto la rapporto lavoro-capitale. In aggiunta, inutile nascondere il fatto che la quasi totalità dei confronti tra partiti ed esponenti dei tali sia vittima di personalismo e completamente priva di posizioni realmente ideologiche.
Parlando in modo più scientifico e tecnico, questo è il risultato di un processo che ha delle basi solidissime. Un esempio schietto è quello che possiamo trovare in ogni libro di diritto dell’Unione Europea, ovvero “il principio del primato”. Questo principio fa sì che, in un rapporto di conflittualità tra una norma emanata da un parlamento nazionale e un aspetto del diritto UE, a prevalere è quest’ultimo. Questo principio, promosso maggiormente dalla Corte di Giustizia Europea, fa subito capire come debbano andare le cose dal punto di vista dell’Unione. Non importa a nessuno dell’autodeterminazione legislativa o politica di un paese. Su qualsiasi dibattito o confronto, l’ultima parola spetta a Bruxelles.
Questo fa comprendere il nocciolo della questione. L’immobilismo parlamentare non è una deriva erronea della politica nostrana, è una vera e propria imposizione legislativa. I parametri di Maastricht, in aggiunta, danno il colpo di grazia alla politica territoriale buttando le chiavi della gabbia in cui il popolo italiano si trova. Sono così soffocati i diritti sociali, la spesa pubblica e i diritti della classe lavoratrice e la maggior parte dei lavoratori (più in generale) che ne pagano le spese con amarezza. Un altro esempio che potemmo citare è il discorso relativo al “deficit democratico”; ma gradirei approfondire in un’altra occasione anche se è una parte del discorso che fa al caso di questo articolo.
La logica risulta essere così maniacalmente strutturata da dare ai liberal-borghesi europei il più totale controllo senza sporcarsi le mani: loro danno direttive indiscutibili, ma devono essere le classi politiche dei paesi ad attuarle. Non sporcandosi le mani; impopolari o tecniche che siano le scelte, negli occhi del cittadino medio italiano, i politici del Parlamento nazionale sono avidi e corrotti, mentre i tecnocrati (che prendono tali decisioni) sono professionali, democratici, giusti e competenti. È impossibile non vedere le tracce di un nuovo (o forse riscoperto) conflitto di classe dove la tecnica ha prevalso su ogni forma di spontaneità politica, l’economia e il progresso su ogni necessità delle masse vittime del capitalismo blindato e messo al sicuro.
Concludendo questa lunga riflessione vi ripropongo una domanda che ho già posto. Se la fa da padrone il vincolo esterno, a cosa serve votare? In realtà votare serve, ma solo se si dice addio queste becere coalizioni che combattono per il migliore dei guinzagli possibili. Il voto deve essere socialista, popolare e contrario al sistema politico dell’Unione Europea ed ogni sua sfumatura.
Lo abbiamo visto negli ultimi mesi come nel citato 2018: la battaglia per il guinzaglio non porta a nulla se non ad una valida remunerazione di chi esegue le politiche imposte. Non ha senso votare Giorgia Meloni se appena forma un Governo ha le stesse direzioni di Mario Draghi (nonostante abbia speso un anno all’opposizione di quel governo); non ha senso votare Fratoianni se è alleato del Partito Democratico; non ha senso votare Carlo Calenda se il suo partito supplica un tecnocrate liberista di prendere le redini di un paese morente e che ha orgogliosamente ferito a morte in precedenza.
Il popolo poteva scegliere tra i piccoli partiti che avrebbero ridato linfa vitale al rancido parlamento nazionale; ma ha scelto chi gli ha promesso un guinzaglio migliore. Un tipo di guinzaglio che non sta nemmeno bene ai signori della Commissione.
Confutando quello che ho scritto finora non dimentichiamoci come alla vigilia del voto Ursula Von der Leyen abbia affermato che
“se le cose vanno in una direzione difficile, abbiamo gli strumenti.”
È necessario ribadire come il sistema europeo abbia disprezzo verso la politica che parte dal basso. Nulla per loro è più importante di preservare i propri interessi; soprattutto se a nostre spese.