Negli ultimi giorni si accende un vasto dibattito sulla proposta, avanzata da autorevoli esponenti della Lega, di emettere minibot come forma di pagamento da parte dello Stato.
Subito i tifosi da tastiera si sono affrettati a schierarsi da una parte o dall’altra dei contendenti.
Bella gara, considerando che da un lato il campione della prima squadra è Salvini e quello della seconda e nientepopodimeno che Mario Draghi!
“I comunisti da quale parte si devono sedere?” è la domanda che assilla i nostri appassionati tifosi … come se la risposta non fosse nell’atto fondativo del leninismo, ossia: mai sotto le bandiere di questo o quel settore della borghesia.
Ma veniamo nel merito e cerchiamo di diradare la nebbia alzata dalla furiosa zuffa.
1° round. Colpisce la squadra dei sovranisti. “I minibot non sono moneta nuova, perché sono in sostituzione di debiti pregressi dello Stato. Quindi non è nuovo debito, ma una forma diversa dello stesso debito e potrebbero essere usati per esempio per pagare le tasse”.
La risposta ovvia sarebbe: “ma allora perché non si fa una legge secondo la quale i crediti verso lo Stato possono essere portati in detrazione dei propri debiti con esso?”; non ci sarebbe da scomodare proprio nessuna normativa europea. In realtà ciò comporterebbe che dal prossimo anno lo Stato si troverebbe a intascare fino a 60 miliardi in meno dalle tasse e ciò provocherebbe un buco spaventoso nei bilanci pubblici. Quindi non si può fare così e quindi la proposta deve nascondere qualcosa di più.
Se si emettono minibot senza scadenza, essi potrebbero alimentare, questa volta sì, l’aumento del circolante. In realtà questo circolante che circolazione ha? Ossia chi potrebbe accettare in pagamento questi minibot? Qui si deve fare la stessa osservazione che si fa per tutte le cosiddette monete complementari. Se le bollette, la benzina, il mutuo, ecc. non li posso pagare coi minibot che ci faccio? Li do a qualcun altro che se li prende solo per due motivi: o a un cambio al mercato nero molto al di sotto della parità (100 euro in minibot = 50 euro veri) o a chi è ricattabile (o te li prendi o non ti do niente). Quindi la ricetta perfetta per un governo che intende fare un’iniezione di liquidità a spese dei lavoratori più deboli, cioè svalutazione interna.
La risposta più sensata l’hanno data – è paradossale, ma forse non tanto – gli imprenditori che dentro l’economia reale ci stanno davvero. “Dateci soldi e non pezzi di carta!”. I padroni non si fanno certo turlupinare. Forse qualche settore arretrato, a cui la Lega fa riferimento elettoralmente, potrebbe essere tentato da questa soluzione nella speranza di scaricare su altri la carta straccia, ma i settori che devono commerciare con l’estero o con grandi concorrenti hanno subito alzato gli scudi.
2° round. Cosa risponde però la squadra degli euromani? Dice Draghi: “I minibot o sono debito o sono soldi e quindi sono illegali”. Cioè quello che interessa chi detiene il monopolio dell’emissione di moneta è non perdere tale monopolio. Se ordini al ristorante, o paghi coi soldi, o ti segno il debito che dovrai pagare poi ancora più salato. Uno Stato che non ha moneta è ridotto a comportarsi come un qualunque avventore di trattoria e non come un’autorità sovrana. Ma su questo ci torneremo.
L’interesse delle classi dominanti europee è quello di non perdere l’enorme introito costituito dagli interessi sul debito che l’Italia – o per meglio dire, i lavoratori italiani – generano ogni anno. Ricordiamo che stiamo parlando di oltre 60 miliardi l’anno. Per dare l’idea, più di quanto costa la scuola pubblica. E tuttavia i conti correnti dello Stato non sono in passivo, in quanto, se non ci fosse quest’enorme fardello degli interessi sul debito passato, essi sarebbero in attivo (avanzo primario).
Tutti sono a lagnarsi di questa situazione. Chi dice che dobbiamo rientrare al più presto dal debito, costi quel che costi, in modo tale da poter abbattere questa spesa che pesa come una pietra al collo; chi escogita soluzioni fantasiose cercando di scaricare la patata bollente sui più deboli. Ma non c’è nessuno, a parte i comunisti, che dicono la cosa più semplice di questo mondo: i debiti non vanno pagati, vanno rinnegati, non li ha fatti il popolo italiano e quindi non lo deve pagare esso. Anche qui vedremo tecnicamente come si può fare.
A questo punto si accende la bagarre tra sovranisti e euromani che appassiona soprattutto tanti che credono di conoscere, più di quanto non sia in verità, i meccanismi della finanza pubblica.
C’è chi dice che dobbiamo recuperare la “sovranità monetaria” uscendo dall’euro e ristabilendo una moneta nazionale emessa dal Tesoro. Peccato che ciò sarebbe il disastro, se questa iniziativa non è accompagnata non solo dall’azzeramento unilaterale del debito pubblico – che altrimenti, se lo si dovesse continuare a ripagare in euro, schizzerebbe a livelli davvero insostenibili – ma anche dalla nazionalizzazione immediata e simultanea di tutte le banche, che sono i veri emettitori di moneta nonché i detentori della maggior parte del debito pubblico italiano. Questa nazionalizzazione tra l’altro sarebbe l’unica che garantirebbe i risparmi dei piccoli risparmiatori, che invece sono stati tosati negli ultimi anni proprio dagli interessi dei grandi monopolisti finanziari e dai loro manutengoli.
La fallimentare ricetta “sovranista” è sostenuta da settori che vanno dai neofascisti, a gruppi che si sono inglobati nella Lega, ad altri gruppi di difficile definizione. Tutti questi gruppi parlano di “rinazionalizzare” la Banca d’Italia, ma si “scordano” che sono i poteri finanziari italiani e stranieri a fare il bello e cattivo tempo con spread, mercati, borse internazionali. Anche la visione dell’uscita dall’Unione Europea, sostenendo le piccole e medie imprese private e cercando alleanze nel quadro imperialistico internazionale, è quella piccolo-borghese. Un progetto assolutamente irrealizzabile. Primo, è solo con l’uscita dalla proiezione militare, rappresentata dalla NATO, che si può pensare all’uscita dalla struttura politica dell’UE. Secondo, non sono le piccole e medie imprese trainanti che vogliono uscire dall’UE, ma quelle più arretrate che non riescono a stare al passo della concorrenza internazionale e che non potrebbero mai essere la forza trainante e dirigente del paese fuori dall’UE. Terzo, l’uscita dall’UE può avvenire solo sotto il traino e la guida del proletariato come classe che dirige la società verso una nuova forma di produzione, la pianificazione centralizzata dell’economia sotto il controllo dei lavoratori; le piccole imprese, soprattutto quelle più arretrate, possono e devono solo sottomettersi a questa spinta storica.
Si badi bene che però i comunisti d’altro lato non accettano certo il ricatto degli eurocrati secondo il quale non si può uscire dall’euro. Anzi! I comunisti dicono che non si possono fare le cose a metà. Non si può uscire dall’euro sotto la guida della destra, sotto le condizioni capitalistiche, in una parola senza la rottura rivoluzionaria e l’inizio della costruzione del socialismo.
Qualche fine “ideologo” respinge questa visione, ne contesta il differimento a tempi lunghi, propone una transizione basata su pretese “fasi”, di cui la prima vedrebbe alleati forze antieuropeiste molto eterogenee che provvederebbero intanto a uscire dall’euro per poi iniziare una seconda fase in cui all’interno di quel fronte antieuropeista le forze socialiste comincerebbero a guadagnare posizioni. Questa visione, del tutto antiscientifica e antimarxista, scimmiotta situazioni storiche e geografiche (per esempio la Cina della guerra antigiapponese) lontanissime dalla realtà di capitalismo avanzato in cui noi ci troviamo. Nella costruzione di un fronte ciò che ne determina la natura è chi costituisce la forza trainante e qual è la direzione nella quale spinge questa forza trainante. Se il proletariato è al carro di questa o quella forza borghese, ad esso non ne può venire nulla di buono. Quanto ai tempi lunghi, riteniamo che siano più lunghi i tempi per accumulare le forze rivoluzionarie su un programma intorno al quale si alleino forze piccole-borghesi indirizzate verso un cambiamento in senso socialista, piuttosto che raggiungere questo cambiamento attraverso alleanze a guida reazionaria?
Buscar el levante por el poniente? Bella impresa!
CONCLUSIONI
Il “sovranismo”, di qualunque natura esso sia, è l’esatto contrario del socialismo. Si camuffa con argomentazioni e programmi che possono assomigliare a quelli socialisti, ma in realtà sono emanazione politica di natura opposta.
Le ricette prospettate sono per la massima parte irrealizzabili, in quanto manca la volontà e l’interesse del grande capitale a portarle avanti, ma forse solo di settori arretrati della borghesia che non possono mai costituire forza dirigente. Tuttavia esse possono fare breccia in molti strati della popolazione, soprattutto in quelli più disagiati e meno attrezzati culturalmente.
La sostanziale opposizione frontale col programma del Partito Comunista sta nel fatto che i “sovranisti” prospettano una “rivoluzione all’indietro”, ossia il ripristino di posizioni ormai perdute dalla piccola borghesia e anche dal proletariato che non potranno mai più essere recuperate. Si oppongono ad ogni forma di socialismo e propugnano una società basata sulla “collaborazione di classe”, che ha sempre danneggiato il proletariato.
Le proposte “sovraniste” su uscita da NATO, UE e euro sono estemporanee, irrealizzabili in quella forma, se non pericolose, perché sempre interne alla logica e al mercato capitalista.
Le proposte del Partito comunista in questo senso sono invece le uniche realizzabili perché passano dal rovesciamento di questa società e la sostituzione di un’altra basata non solo su altri valori, ma anche e soprattutto su un’altra forma di produzione e di democrazia. Il socialismo.
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