Moldavia, al primo turno delle presidenziali sconfitta per gli europeisti

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Moldavia, al primo turno delle presidenziali sconfitta per gli europeisti

*di Salvatore Vicario

Domenica 30 ottobre si è svolto il primo turno delle elezioni presidenziali della Repubblica di Moldavia nelle quali nessuno dei 9 candidati in corsa ha raggiunto la maggioranza del 51% dei voti necessari per esser eletto, una percentuale superata soltanto dall’alta astensione (52%). I risultati del primo turno evidenziano la sconfitta del candidato filo-UE, la liberale Maia Sandu, che ha ottenuto il 38.4% dei voti, ampiamente superata dal candidato socialdemocratico filo-russo, Ion Dodon, leader del Partito Socialista, che ha ottenuto il 48.3% dei voti, a conferma ulteriore di come l’attuale corso europeista non abbia il sostegno della popolazione. Come nelle previsioni saranno pertanto questi due candidati a sfidarsi al secondo turno che si terrà il prossimo 13 novembre e che eleggerà direttamente il Presidente della Repubblica per la prima volta dopo 20 anni. Nel mese di marzo di quest’anno, infatti, la Corte Costituzionale ha stabilito il ritorno al sistema dell’elezione presidenziale diretta e non più attraverso il voto della maggioranza dei 3/5 del Parlamento. Una decisione che è rifiutata dal Partito dei Comunisti della Repubblica di Moldavia (PCRM), guidato da Vladimir Voronin, presidente della Repubblica dal 2001 al settembre del 2009, che non ha partecipato alle elezioni chiamando al boicottaggio, considerando illegale il recente cambiamento costituzionale.

Crisi economica e politica

La situazione politica in questa piccola ex repubblica sovietica di circa 3.500.000 abitanti, che si trova tra l’Ucraina e la Romania (membro dell’Unione Europea) ha acceso l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale per i possibili scenari geopolitici che potrebbero aprirsi con ripercussioni nell’intera area dell’est Europa nella competizione sempre più esacerbata tra l’imperialismo euro-atlantico e la Russia capitalista.

Oggi la Moldavia, che ha firmato l’accordo di associazione con l’UE due anni fa, dopo 25 anni di restaurazione capitalistica è il paese più povero d’Europa con il 41% della popolazione che vive in stato di povertà. Il paese affronta gravi problemi economici e politici, in particolare dallo scorso anno, quando fu reso pubblico che circa 1 miliardo di dollari, pari al 15% del PIL del paese, era “scomparso” dal sistema bancario nazionale con il coinvolgimento dell’élite filo-europea e dell’ex primo ministro Vlad Filat che venne arrestato con l’accusa di corruzione. La difficile situazione sociale vissuta dal popolo, e principalmente subita dai lavoratori, unita ai diversi “scandali di corruzione” hanno portato a numerose proteste nel paese a partire dall’autunno 2015 che hanno raggiunto il picco nel gennaio di quest’anno. Queste proteste – pilotate sia “da destra” che “da sinistra”, sia da sostenitori dell’associazione con l’UE che da sostenitori dell’associazione alla Russia – erano principalmente dirette contro l’oligarca Vladimir Plahotniuc, membro del Partito Democratico (PDM, partito di centro considerato filo-UE), che controlla la maggioranza dei membri del Parlamento, il governo e le forze dell’ordine. Plahotniuc è considerato “l’uomo ombra” dietro i principali partiti borghesi in Parlamento trasversale sia all’area filo-europea che quella filo-russa e con rapporti stretti con il Presidente d’Ucraina, Poroshenko con cui è socio d’affari da diversi anni.[1]

Il Partito Democratico[2] considerato filo-occidentale, mantiene però una posizione più moderata rispetto ai due Partiti Liberali e Plahotniuc gioca le sue carte sui tavoli dell’UE e della Russia. A gennaio, 57 deputati su 101 del parlamento unicamerale votarono a favore di un governo guidato personalmente da Plahotniuc, scatenando le proteste di massa che raggiunsero il loro picco il 20 gennaio, quando, sfondando il cordone di polizia, occuparono il Parlamento che venne liberato solo dopo l’intervento dei leader borghesi della protesta – dai liberali filo-UE del Partito Piattaforma “Dignità e Verità” di Andrei Nastase, al Partito Socialista di Igor Dodon e Partito Nostru di Renato Usatii – che scelsero di fermare la protesta per avviare dei colloqui istituzionali. Il magnate Plahotniuc rinunciò alla carica di premier facendo eleggere con lo stesso numero di deputati, l’attuale premier Pavel Filip (un uomo di Plahotniuc) del Partito Democratico con una nuova maggioranza formata dai liberali e transfughi acquistati dal PCRM. Nell’ultimo anno, segno della profonda instabilità del sistema politico borghese moldavo, 5 premier si sono succeduti sostenuti dalla maggioranza parlamentare della coalizione di centrodestra filo-europea che conta dei voti decisivi del Partito Democratico di Lupu e Plahotniuc che rappresenta un vero e proprio ago della bilancia in un parlamento definito dalle elezioni parlamentari del 2014 sostanzialmente diviso in due tra cosiddetti filo-Ue rappresentati dal Partito Liberale Democratico (PLDM) e il Partito Liberale (PL) e i filo-russi nell’opposizione parlamentare rappresentata dal Partito Socialista (PSRM) e dal Partito Comunista (PCRM).[3] Questa situazione comporta di fatto un impasse politica che blocca sia l’avvicinamento ulteriore verso l’integrazione con l’UE e sia la promozione di un avvicinamento alla Russia.

Un elezione tra UE e Russia

Vista l’impossibilità di eleggere in Parlamento un nuovo presidente della Repubblica, per evitare un ulteriore crisi politica è arrivata a marzo la decisione della Corte Costituzionale di ristabilire le elezioni presidenziali dirette che si sono svolte lo scorso 30 ottobre. Su pressione degli organismi imperialisti di USA e UE, i liberali filo-UE di Piattaforma “Dignità e Verità” cresciuti durante le proteste contro il governo, hanno deciso di sostenere Maia Sandu al posto del proprio candidato, il noto avvocato Andrei Nastase balzato all’auge della scena politica in Moldavia come risultato delle critiche alle autorità, la retorica europeista e legalitaria anti-corruzione ma soprattutto grazie al sostegno da parte di uno dei principali canali televisivi del paese, “TV Magazine” finanziati dagli imprenditori Victor e Viorel Topa emigrati all’estero. Nastase ha rinunciato alla candidatura dopo esser stato coinvolto come testimone in indagini riguardanti dei strani casi di pedofilia ad Odessa, in Ucraina, cosa che lascia sospettare di un tentativo di influenzare le elezioni anche da parte delle autorità di Kiev, dato il noto legame affaristico tra Poroshenko e Plahotniuc.

Il centrodestra filo-UE ha alla fine pertanto presentato un candidato unico, Maria Sandu del Partito Azione Solidarietà (PAS) che ha lavorato come Consigliere del Direttore Esecutivo della Banca Mondiale a Washington e come coordinatrice dei programmi di sviluppo della Nazioni Unite, per esser infine nominata Ministro dell’Istruzione nel governo filo-UE. Come ministro viene ricordata per la rigide misure d’austerità, chiudendo un terzo delle scuole nel paese e rendendo impossibile a molti studenti delle classi popolari l’accesso all’istruzione. Maria Sandu – che nelle immagini di propaganda elettorale compare insieme alla Merkel ed è sostenuta dal Partito Popolare Europeo – è pertanto la candidata delle istituzioni occidentali per sostituire l’attuale screditato sistema di governo mantenendo il paese sotto l’influenza euro-atlantica e compiere la volontà delle sue istituzioni finanziarie che finanziano l’economia moldava e dei settori della borghesia locale ad essi legati. Dopo gli scandali di corruzione, la Banca Mondiale e FMI decisero di sospendere i loro “aiuti” a Chişinău, ma subito dopo il primo turno delle elezioni presidenziali è giunta la promessa da parte della Banca Mondiale di sbloccare 45 milioni di dollari a sostegno del paese e delle riforme del governo per la stabilità del sistema finanziario.

Anche il candidato del Partito Democratico (PDM), Marian Lupu, a sorpresa pochi giorni prima del voto ha rinunciato alla propria candidatura sostenendo pubblicamente insieme a Plahotniuc, la candidatura di Maia Sandum nel tentativo in realtà da parte di Plahotniuc di mantenere le sue posizioni di forza e salvaguardare i suoi conti nelle banche occidentali.

L’area politica cosiddetta “filo-russa” si è invece presentata divisa: Dodon, ex ministro dell’Economia dal 2006 al 2009 e uscito dal PCRM nel 2011, non ha infatti ricevuto il sostegno del miliardario uomo d’affari Usatii legato a Mosca e leader del “Partito Nostru”[4] e nemmeno da parte del Partito dei Comunisti della RM di Voronin che si è astenuto. Nonostante questo Dodon ha stravinto il primo turno di un’elezione che si è giocata essenzialmente tutta all’interno del campo borghese nazionale e internazionale e le sue contraddizioni – che intrappolano anche i settori popolari – soprattutto in merito all’associazione del paese con l’Unione Europea o con l’Unione Doganale Euroasiatica di Mosca nel quadro del conflitto inter-imperialista crescente che si produce per il controllo delle zone d’influenza e delle risorse economiche tra le potenze che configurano la realtà geo-economica attuale. Dodon infatti ha annunciato che in caso di vittoria chiamerà un referendum per il ritiro dell’accordo commerciale e di richiesta di associazione firmato con l’UE nel 2014 per far divenire la Moldavia un paese membro dell’Unione Doganale Euroasiatica guidata da Mosca, mentre Sandu sostiene la riduzione della dipendenza dalla Russia dal punto di vista energetico (e non solo) e l’avvicinamento ulteriore verso l’integrazione nell’Unione Europea. Sono tanti gli interessi economici che si intrecciano, come ad esempio la questione energetica con l’intento dell’UE di sottrarre mercato alla Russia che fino al 2014 forniva il 100% di gas alla Moldavia, mentre adesso con la costruzione del gasdotto Iasi-Ungheni con la Romania, co-finanziato dall’UE, collega il paese alla rete e società europee, pur coprendo ancora una piccola porzione del fabbisogno, con avanzamenti anche nella cooperazione sui trasporti e petrolio. Una delle questioni principali rimane sicuramente quella della (ri)unificazione con la Romania che viene spinta dall’UE e gli USA e forze filo-UE interne (come i liberali in parlamento) che significherebbe anche l’ulteriore avanzamento della NATO di cui la Romania è paese membro.

Il dibattito è incentrato essenzialmente sulle questioni di politica estera che rappresentano gli unici due aspetti divergenti dei due candidati facendo di queste elezioni una scelta tra Ue e Russia e che di fatto non raccolgono la fiducia e le aspettative di gran parte della popolazione afflitta dagli effetti della crisi economica. Entrambi i candidati rappresentano in realtà la classe dei capitalisti moldavi legati a diversi centri imperialistici, nella forte competizione intra-borghese tra fazioni di grandi miliardari affaristi che hanno l’unico obiettivo di servire i propri interessi economici ed eliminare i concorrenti per incrementare l’influenza dei propri gruppi di potere economici e politici sul paese, come è ben evidente dai principali protagonisti che decidono direttamente o indirettamente la politica borghese moldava sia nel campo dei cosiddetti “filo-europei” che nel campo dei cosiddetti “filo-russi” alla ricerca dei diversi equilibri e risoluzioni delle contraddizioni interne all’oligarchia locale i cui interessi primeggiano su qualsiasi altra cosa e che hanno portato i moldavi al limite della disperazione e al saccheggio del paese.

Quale alternativa reale per i lavoratori?

Le previsioni sul secondo turno danno ampiamente favorito il socialista Dodon che ha incassato anche il sostegno dell’affarista Usatii che porta in carico il 6% dei voti ricevuti al primo turno (con la promessa della convocazione di elezioni parlamentari anticipate) mentre la candidata filo-UE riceve il sostegno di altri candidati minori. Il PCRM di Voronin ha confermato la decisione dell’astensione. Durante il suo governo bisogna però ricordare che non ha realizzato alcuna politica a favore della classe lavoratrice conducendo politiche socialdemocratiche senza mettere in discussione il sistema capitalistico né di fatto neanche l’avvicinamento del paese all’UE e la collaborazione con la NATO, fattori che hanno portato il PCMR a perdere buona parte del suo elettorato, caratterizzandosi per collaborazionismo, riformismo e parlamentarismo. In una conferenza stampa, Voronin ha evidenziato che queste elezioni sono false e illegali e non importa quale dei due candidati vincerà: “Chiunque diventa il presidente della Moldova il 13 novembre, per il paese e i cittadini non cambierà nulla. Il nuovo presidente non cambierà nulla. Il Parlamento rimarrà lo stesso, la stessa coalizione. In questo caso, la soluzione sono le elezioni parlamentari anticipate. I comunisti all’epoca avevano una maggioranza parlamentare, che consisteva di deputati di un partito – il PCRM. Così siamo riusciti a risolvere un sacco di questioni[5], ha dichiarato il leader del PCRM, sottolineando come per risolvere l’attuale impasse bisogna cambiare la composizione nel parlamento accusando di fatto i socialisti di Dodon di aver rimandato l’immediata convocazione di elezioni anticipate solo per giochi d’affari politici all’interno dell’attuale equilibrio di forze.

Vigendo una repubblica parlamentare infatti la carica di Presidente della Repubblica ha un ruolo più di rappresentanza e simbolico. Questo significa che anche se il candidato filo-russo vincerà non potrà automaticamente cancellare gli accordi commerciali con l’UE a favore dell’adesione all’Unione Doganale Euroasiatica, in quanto nessun Presidente può prendere la decisione sull’integrazione con una o l’altra organizzazione internazionale del capitalismo monopolistico. “Il presidente non ha tali poteri. Il presidente non ha l’autorità per cambiare il vettore geopolitico, per la sospensione o la risoluzione del contratto”, – ha dichiarato infatti anche lo stesso Igor Dodon. “Al fine di portare il paese fuori dalla prigionia” – ha proseguito – “abbiamo bisogno di elezioni anticipate. Pertanto, dobbiamo utilizzare tutti gli strumenti giuridici per avviare elezioni parlamentari anticipate e la maggioranza parlamentare[6]. Sono imprevedibili gli scenari che si potrebbero aprire in una nuova fase della crisi politica con il candidato socialdemocratico alla presidenza della Moldavia che potrebbe sfruttare un ruolo di potere per influenzare il corso degli eventi e il dibattito pubblico finanche la possibilità di scioglimento del Parlamento e la convocazione di nuove elezioni parlamentari, ciò che è certo è che sarà un ulteriore elemento che incendierà la disputa tra polo euro-atlantico e la Russia nell’area.

Lo scontro per la spartizione del potere tra gruppi e fazioni della borghesia locale è sempre più di difficile risoluzione politica stante l’acuirsi del conflitto tra il polo euro-atlantico e la Federazione Russa i cui rispettivi interessi economici e geostrategici si intrecciano in Moldavia con ripercussioni sull’intera area d’influenza e ingerenza politica, economica e non solo. Anche dal punto di vista geografico il paese è diviso in due, con il centro del paese con la capitale Chişinău che a maggioranza sostiene i liberali con slogan di integrazione europea, mentre le parti più periferiche del paese, a nord e sud, sostiene candidati con discorsi più filo-russi. Una situazione del genere porta al rischio di una riproposizione dello schema applicato in Ucraina finanche allo scenario di una nuova “Maidan” pilotata dalle forze imperialistiche euro-atlantiche in caso di scenari a loro sfavorevoli nella competizione con la Russia, dove ulteriori fattori di tensioni sono rappresentati dai rapporti con la Romania e i territori della Trasnistria (già di fatto autonoma) e la Gaugazia in fermento. In un paese inoltre dall’alto tasso di povertà e diseguaglianza sociale, corruzione e scandali con conseguente retorica di rinnovamento e pulizia del sistema, distruzione dell’industria e dell’agricoltura, la crescita delle proteste sociali dove solo il 48% degli aventi diritto si è recato alle urne che segnala la profonda sfiducia del popolo verso l’attuale establishment, tutti questi fattori nel complesso creano i presupposti per lo sviluppo di “rivoluzioni colorate” vista l’attuale debolezza di forze politiche in grado di condurre la risposta del popolo e dei lavoratori per risolvere i suoi problemi reali che si trova nel mettere in discussione il capitalismo alla sua radice e non ponendosi alla coda di uno dei settori della borghesia oligarchica nel cambio di alleanze interstatali del capitalismo monopolistico internazionale.

Davanti a questi scenari, infatti, per l’organizzazione marxista-leninista “Resistenza Popolare” (membro della Iniziativa Comunista Europea), che non sostiene nessuno dei candidati in corsa, è importante l’unità di classe dei lavoratori e che le masse lottino per i propri diritti e interessi di classe in modo indipendente dalle fazioni oligarchiche, sostenendo lo scioglimento del parlamento e la convocazione di elezioni anticipate al fine di rimuovere gli attuali governanti e i loro tirapiedi senza sottostare ai giochi di potere tra i diversi partiti della borghesia e la cancellazione degli accordi con l’UE che costituirebbero dei passi in avanti pur insufficienti. In tal senso, l’ingresso nell’Unione Doganale Euroasiatica è considerata dai marxisti-leninisti moldavi una opzione negli interessi di alcuni settori della borghesia mentre l’unica alternativa negli interessi dei lavoratori è la restituzione al popolo di tutta la ricchezza saccheggiata dal ’91 dalla borghesia, la conquista del potere operaio e la costruzione del Socialismo.

[1] Dalla catena di negozi “Detsky Mir” alla proprietà della società “Bucaria” che possiede numerose fabbriche per la produzione e confezione dolciaria, e la partnership in molte altre aziende.

[2] Che nasce da una delle tante uscite dal PCRM in questi decenni, come nel caso anche dell’attuale leader del Partito Socialista e candidato alla Presidenza Dodon.

[3] http://www.senzatregua.it/sulle-elezioni-e-le-contraddizioni-inter-imperialiste-in-moldavia/

[4] Attualmente ha trovato riparo a Mosca per sfuggire ad un mandato di arresto internazionale per vari reati tra cui anche tentato omicidio e mandante di omicidio. Ha creato un partito personale nel quadro della destabilizzazione politica tra il 2014-2015, divenendo anche sindaco della seconda città più grande del paese, Balti, con un incredibile percentuale del 73% dei votanti. Dato al 5% nelle elezioni parlamentari del 2014 venne escluso pochi giorni delle elezioni per i legami con la Russia.

[5] http://www.pcrm.md/main/index.php?action=news&id=10624

[6] http://www.pcrm.md/main/index.php?action=news&id=10634

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