Tutti assolti in appello gli imputati al processo per le morti da amianto alla Olivetti di Ivrea.
Le parti civili nel processo sono state condannate «alle spese processuali del grado».
Questa è la giustizia dei padroni.
Secondo la sentenza tutti gli imputati non sono responsabili del decesso tra il 2008 e il 2013 di venti ex lavoratori che avevano lavorato in reparti contaminati da fibre di amianto e che si sono ammalati di mesotelioma pleurico, patologia correlata all’esposizione all’amianto. Si tratta di ex lavoratori Olivetti, esposti all’amianto in particolari fasi di lavorazione o a contaminazione ambientale nelle strutture di uffici e mense. Il talco, utilizzato nel montaggio di parti meccaniche ed elettroniche, conteneva tremolite di amianto, che secondo la procura generale è stato usato in Olivetti fino al 1986, mentre gli avvocati difensori hanno sempre sostenuto che quel tipo di materiale nocivo fosse stato impiegato solamente fino al 1981.
«In pratica – spiega uno degli avvocati – il dirigente è considerato responsabile solo per i primi due anni di esposizione del lavoratore all’amianto. In questo caso De Benedetti è stato in carica a partire dal 1978 e i dipendenti erano stati colpiti dalla patologia in un periodo precedente.».
Quindi non si nega – e non lo si potrebbe fare – che si siano usate sostanze nocive, che i lavoratori non siano stai messi al corrente dei rischi che correvano, né tanto meno adeguatamente protetti. Solo che la legge prevede che la colpa si può attribuire al dirigente se l’effetto si manifesta entro i due anni, se invece la malattia si dovesse manifestare dopo, allora la responsabilità decade. Il gioco è evidentemente truccato, perché malattie così subdole, sebbene ampiamente studiate nei loro effetti, non possono mai dare luogo a manifestazioni nei tempi previsti dalla giustizia borghese. Nell’avvicendarsi gli uni con gli altri, i dirigenti sfuggono all’individuazione dei responsabili diretti delle morti.
Inoltre la sentenza di I grado, riformata in appello, condannava gli imputati per omicidio colposo, cosa che costituisce comunque – a nostro avviso – una inammissibile sottovalutazione delle responsabilità, come abbiamo già recentemente commentato (https://www.lariscossa.info/2018/04/02/ancora-morti-sul-lavoro-fatalita-criminalita/).
No, neanche quello!
Il caso di Ivrea non è un caso isolato. In questi anni in tanti tribunali italiani ci sono state molte assoluzioni connesse con questo tema: Fs, Breda, Alfa Romeo, Pirelli.
Bruno Pesce, coordinatore del settore sanità dell’Associazione Familiari Vittime Amianto, dichiara:
«Purtroppo questa sentenza riflette però un certo andamento, specie di questi ultimi anni, forse condizionato anche da qualche pronunciamento particolare della Cassazione, dove si vede che la criminalità d’impresa, anche quando provoca tanti morti, ha una sorta di considerazione speciale. … perché se le morti sono dovute a scelte economiche industriali, dove si vuole comunque andare avanti con l’utilizzo di determinati materiali perché conviene, ma anche perché tutto sommato, in fin dei conti, la vita di coloro che lavorano e la loro salute vengono messi dopo altre priorità… bisognerebbe delimitare meglio il confine che stabilisce una responsabilità quando le morti sono provocati da attività produttive… a quanto pare ci sono maglie talmente larghe di interpretazione e gli imputati in questo ambito godono di tutele che le vittime dei reati non hanno. Pensiamo anche alla prescrizione, che è un obbrobrio quando ci sono dei morti. La prescrizione premia chi ha commesso il reato. E chi l’ha subito?»
Negli ultimi 20 anni si è assistito a più che un raddoppio delle morti di mesotelioma, 50 casi all’anno solo a Casale, vuol dire un caso alla settimana di mesotelioma, oltre 2200 morti, il 70-80% cittadini che hanno subito un’esposizione ambientale. L’Eternit provocò un disastro ambientale, che poi è stato dichiarato prescritto nonostante le cause e gli effetti di questo disastro siano ancora in atto.
Gli operai però lo sanno che quando muore uno di loro la colpa è sempre del padrone.