Ancora morti sul lavoro. Dall’inizio dell’anno sono 413 i lavoratori morti sul luogo di lavoro secondo l’osservatorio indipendente di Bologna che arrivano a 841 se si considerano anche quelli sulle strade e in itinere. Uno di questi è Paolo Paolucci investito lo scorso mercoledì (31 luglio) sulla A14 mentre era intento a sistemare dei coni spartitraffico tra Vasto sud e Vasto nord. Di seguito le riflessioni del segretario abruzzese del Partito Comunista, Antonio Felice.
«Se muore un operaio la colpa è del padrone, se ad uccidere questo operaio è un altro operaio la colpa è del sistema capitalistico che ci rende schiavi. Questa volta è toccato a Paolo, una persona mite, non certamente un rivoluzionario, ma al tempo stesso era un lavoratore che cercava una diversa soluzione al problema del lavoro. Paolo lavorava sulle autostrade – MAN AT WORK – la scritta che tutti noi leggiamo sulle lavagne luminose delle autostrade, il “man” era anche Paolo. La cooperativa che aveva creato dava lavoro a tante persone: italiani avanti con l’età che non avevano possibilità di reinserirsi nel mondo del lavoro, extracomunitari ecc. Sicuramente la cooperativa oltre a dare lavoro, dava anche paghe sufficienti a poter vivere. Ma, e c’è sempre un ma, questa cooperativa era fatta di operai. Ha dovuto combattere con gli appalti e soprattutto i subappalti che le grandi aziende praticano per trarre il massimo profitto.
Ho avuto l’onere e il privilegio di aver lavorato con lui, di aver condiviso con lui un periodo seppur breve della mia vita lavorativa. Ma ovviamente una cooperativa che ha come obiettivo primario la condizione dei lavoratori, non può sprecare né tempo, né tantomeno soldi per omaggiare il capocantiere. E così, tra una contestazione e un’altra, questa cooperativa è stata portata al fallimento e il subappalto è stato affidato ad una società amministrata da un solo imprenditore che come prima cosa ha dimezzato la paga oraria. Paolo non ha avuto alcun problema a rimettersi in gioco per continuare a fare il suo lavoro, questa volta come dipendente e, nella dinamica dell’incidente, in un posto che sicuramente non doveva toccare a lui per l’esperienza che aveva.
È stato ucciso da un altro operaio, anche lui con un lavoro faticoso e pericoloso, che porta in giro i materiali per le fabbriche e dalle fabbriche. Costretto a vivere su un camion che nonostante tutti i comfort che può avere resta sempre un lavoro pesante e pericoloso. Costretto a trasportare merci in tempi sempre più stretti con orari da rispettare pena le sanzioni. E questo perché il capitalismo non permette alle aziende di avere magazzino. È molto più produttivo non immobilizzare i soldi in merci quanto è più produttivo, speculare in borsa.
Paolo è una vittima di questo sistema come è vittima il suo uccisore.
Tale episodio che ci tocca da vicino, si somma alla strage silenziosa di questo sistema sanguinario che ha normalizzato lo sfruttamento, concentrando la ricchezza di mezzo pianeta nelle mani dell’1% della popolazione. La vicenda di Paolo è l’ulteriore conferma della necessità di un cambio netto e radicale di un sistema che fallisce ogni giorno davanti agli occhi inermi e indifferenti di miliardi di persone che sono state culturalmente allenate a pensare che un altro mondo non sia mai più possibile.
Noi riaffermeremo sempre con maggiore forza e determinazione, che oggi più che mai è possibile costruire un sistema diverso che redistribuisca la ricchezza consegnando a chi la produce il governo del proprio avvenire: i lavoratori.»