Contro il Muro di Trump e l’Imperialismo: unità dei lavoratori

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Contro il Muro di Trump e l’Imperialismo: unità dei lavoratori

I primi provvedimenti presidenziali da parte di Donald Trump, come l’ampliamento della costruzione del Muro ai confini col Messico e il cosiddetto “Muslim Ban” (ossia il blocco all’ingresso per chi proviene da 7 paesi musulmani: Siria, Libia, Iran, Iraq, Somalia, Sudan, Yemen) sono oggetto di dibattito anche nel nostro paese, oltre che di polemiche e proteste negli USA e in altri paesi. Proponiamo pertanto alla classe lavoratrice nel nostro paese, la posizione dei comunisti messicani basata sul punto di vista indipendente del proletariato messicano fuori dalla condivisione di obiettivi e argomentazioni con qualsiasi settore della borghesia.

Così come annunciato nella sua campagna, il Presidente degli USA, Donald Trump, ha firmato un ordine esecutivo per la costruzione del muro di frontiera tra il suo paese e il nostro, con il proposito espresso di contenere la migrazione di lavoratori messicani e di altre nazionalità che nutrono la forza lavoro nei vari rami della produzione e i servizi di questa nazione nordamericana.

Senza mediazioni diplomatiche, Trump ha assicurato inoltre che la costruzione di questo muro – lungo i 3185 km di frontiera – sarà pagato dal Messico, in un costo che si valuta tra i 15.000 e 20.000 milioni di dollari. L’annunciata riunione con Enrique Peña Nieto, Presidente del Messico, è stata condizionata all’impegno di quest’ultimo di pagarlo. Inoltre, il presidente nordamericano adotta la misura di imporre una tassa del 20% sui prodotti messicani che entrano negli USA per finanziare la costruzione del muro, mettendo di fatto fine agli accordi doganali inclusi nel NAFTA (Accordo Nordamericano di Libero Scambio), che vuole revisionare alla ricerca di condizioni ancora più vantaggiose per i monopoli che rappresenta.

Il Partito Comunista del Messico condanna la costruzione di tale muro frontaliero e presenta il suo punto di vista sul modo in cui i lavoratori devono affrontare l’aggressività imperialista, antioperaia, anti-immigrante e razzista.

In primo luogo, è falso che i lavoratori migranti messicani, centroamericani, latinoamericani, haitiani o di qualsiasi altra nazionalità siano responsabili della misera e le condizioni di vita poverissima della classe lavoratrice nordamericana. Questo argomento demagogico fu proferito già nella Germania degli anni ’30, contro i lavoratori di origine ebraica e dell’Est europeo, e attualmente si ascolta in Unione Europea contro i lavoratori migranti di origine araba e africana. La disoccupazione e la svalorizzazione della forza lavoro sono parte della natura del capitalismo come modo di produzione. Con il razzismo e i discorsi reazionari, si vuole distrarre i lavoratori degli USA dalle principali cause alla base dei loro problemi, tra le quali si evidenzia la crisi di sovrapproduzione e sovraccumulazione, che ha avuto inizio nel 2009 con il suo epicentro proprio negli USA, e che nel suo ottavo anno continua a svalorizzare la forza lavoro, colpendo i diritti sociali e lavorativi. La classe operaia multinazionale che conforma il proletariato nordamericano è inoltre tanto sfruttata quanto la classe operaia di altri paesi, con il fine di accrescere i superprofitti dei monopoli, e la ricollocazione dell’industria che devasta allo stesso tempo città come Detroit, Cleveland, Pittsburg, Minneapolis ha come motivo fondamentale la massimizzazione del lucro dei monopoli dei vari rami dell’industria.

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E’ ugualmente falso che l’attacco ai lavoratori migranti e le misure protezioniste che promuove Trump porteranno alla fine della crisi dell’economia capitalista. L’approfondimento di questa crisi è in corso e di conseguenza un maggior attacco contro l’insieme della classe operaia e di tutti i lavoratori degli USA, che nell’immediato significherà brutali tagli ai servizi sanitari e al cosiddetto welfare, maggiori tagli ai bilanci pubblici per sostenere i profitti del capitale e il salvataggio delle industrie in fallimento.

L’attacco razzista ai lavoratori, intrinseco alla dominazione borghese, si accresce in tempi di crisi, e quindi deve incrementarsi anche la risposta classista. L’unica risposta alla crisi capitalista – che già manifesta i limiti storici della proprietà privata dei mezzi di produzione e di scambio – è lottare per l’unità della classe operaia e le sue rivendicazioni politiche, in primo luogo il potere operaio e il socialismo-comunismo; non ci sono termini medi né stazioni precedenti, e coloro che dicono questo in realtà stanno cercando di prolungare l’agonia, e di conseguenza le calamità che patisce quotidianamente la classe operaia e la famiglia lavoratrice, così come i settori popolari e i popoli del Mondo.

Non vogliamo il muro frontaliero, né il muro di Israele contro il popolo palestinese, né i campi di concentramento contro i migranti africani e arabi nell’UE, né le abusive misure razziste della polizia migratoria messicana contro i nostri fratelli lavoratori honduregni, salvadoregni, guatemaltechi, haitiani. La sofferenza del proletariato, che in molti casi trova la morte in mari e deserti, ci porta a sostenere che non è con nazionalismi né con la retorica populista sulla sovranità nazionale che si riuscirà ad affrontare l’imperialismo, ma con l’internazionalismo proletario.

Noi comunisti, sapendo che non è un compito semplice, facile, né istantaneo, lavoreremo per l’unità della classe operaia del Messico e degli USA, ma anche dei lavoratori migranti di altre nazionalità contro i monopoli che ci sfruttano e opprimono congiuntamente.

La manodopera immigrante è e lo è sempre stata una componente essenziale dell’accumulazione poiché tanto maggiore è il sovra-sfruttamento tanto maggiore l’estrazione del plusvalore derivato da esso. Propagandando il razzismo contro i lavoratori migranti, la borghesia cerca di rendere antagonisti e creare conflitti tra i diversi settori della classe operaia per poter ridurre il valore della sua forza lavoro. Solo l’unità dei lavoratori, ribadiamo, aprirà un cammino certo, senza sciovinismo, senza nazionalismi.

La lotta contro Trump e l’imperialismo nordamericano è relazionata alla lotta contro i monopoli e il capitalismo in Messico, per questo è falsa la vecchia formula borghese proclamata con veemenza negli ultimi giorni: l’”unità nazionale”.

La sovranità popolare non è nell’interesse dei monopoli, poiché la sua unica patria è il profitto. Solo quando il capitalismo sarà rovesciato ed è trionfante il potere operaio, gli interessi sovrani sull’energia, terre, industria, risorse naturali, mari, frontiere, saranno garantiti. Questo è possibile nel contesto della costruzione del socialismo-comunismo nel nostro paese. Ci sono condizioni che maturano perché questa opera si realizzi.

La storia ci insegna come nel XX Secolo, nelle occasioni in cui la classe operaia adottò l’”unità nazionale”, ipotecò la sua indipendenza come classe subordinandosi agli interessi della borghesia, la quale né ha approfittato per massimizzare i suoi profitti e affermare la sua dominazione. Con la “unità nazionale”, si firmarono vari patti operai-padronali nei quali si svalorizzò la forza lavoro, si accettarono senza scrupolo misure di austerità, si restrinsero libertà e diritti democratici e lavorativi. I patti interclassisti sono sempre stati a spese dei lavoratori; in Messico, si sono avute gestioni populiste che avanzarono nella concentrazione e centralizzazione del capitale, producendo un periodo di stabilizzazione che favorì la classe dominante.

La retorica “anti-imperialista”, costellata da un discorso anti-nordamericano, ha nascosto i legami di interdipendenza che si tessono tra i monopoli di entrambi le nazioni, e che si rafforzano con la firma del NAFTA nel 1994, nel frattempo che l’ideologia dell’”unità nazionale” si archiviava per altri tempi.

Ma oggi la classe dominante ha trovato utile rispolverare questa politica dell’”unità nazionale”, con vari obiettivi, in primo luogo ottenendo l’unità della stessa borghesia e le sue espressioni politiche, dalla destra al liberalismo fino alla socialdemocrazia e la nuova socialdemocrazia.

Nel suo discorso a Ciudad Acuña, Coahuila, López Obrador [leader di MORENA, sinistra socialdemocratica ndt] chiama subito a serrare le file con Peña Nieto, dimenticando senza vergogna che lo considerava un presidente illegittimo, mentre era lui, naturalmente, il presidente legittimo del Messico. In esso ha presentato una serie di misure che qualche giorno dopo sono state adottate da Enrique Peña Nieto. Nella stessa direzione si sono allineati rapidamente tutte le camere padronali, i partiti registrati, il potere legislativo, i mezzi di comunicazione, gli intellettuali organici del sistema. In tutta la classe dominante esiste il consenso sull’”unità nazionale”, e il maggior portavoce è Carlos Slim [tra gli otto uomini più ricchi del mondo], che guida uno dei monopoli che ottengono più superprofitti.

gasolinazoLe misure che promuovono sono false soluzioni, placebo, chiacchiere, demagogia. Inganni, in una parola. In mezzo a questa febbre di sciovinismo, i monopoli trovano la forma di negoziare con Trump e l’imperialismo nuove regole che li favoriscono, accordi che si può prevedere avranno un carattere segreto e alle spalle di entrambi i popoli. Inoltre, stanno spianando il cammino affinché la gestione della nuova socialdemocrazia di MORENA [Movimento di Rigenerazione Nazionale] e López Obrador, a cui in questi giorni si è aggiunto il monopolio di TV Azteca e l’ex Segretario di Governo Esteban Moctezuma, conquistano la Presidenza nel 2018.

Ma anche al di sopra di questi obiettivi, ci sta soprattutto quello di attenuare la lotta di classe nel nostro paese – che si è accentuata con l’inizio del 2017, dopo gli effetti della crisi capitalista che si scarica sull’economia popolare, nelle tasche dei lavoratori, con il gasolinazo, la carestia, l’aumento selvaggio dei costi dei prodotti di base, il trasporto, i servizi – e le ondate di protesta, che anche se spontanee per adesso, esprimono il potenziale di lotta della classe operaia e dei settori popolari contro il potere dei monopoli.

Il Partito Comunista del Messico (PCM) chiama i lavoratori a non cadere nella trappola dell’”unità nazionale”, a non cadere nella logica degli accordi interclassisti, né nella conciliazione di classe, e a intensificare la lotta conseguente contro l’imperialismo che è in primo luogo la lotta contro i monopoli in Messico.

Il Partito Comunista del Messico chiama alla lotta per rompere con gli accordi interstatali come il NAFTA, e le nuove forme che acquisisce dopo le prevedibili modifiche alla sua architettura.

Il Partito Comunista del Messico chiama all’organizzazione dei lavoratori migranti nella frontiera del nord, fuori le frontiere nelle grandi città degli USA, e anche nella frontiera Sud del nostro paese, dove i nostri fratelli proletari centroamericani subiscono dalla Polizia Migratoria messicana simili vessazioni a quelle che si subiscono da parte della US Border Patrol [Polizia di frontiera statunitense].

Il nostro appello è all’internazionalismo, no al nazionalismo; il nostro appello è a posizioni di classe, no all’”unità nazionale”. Nostro appello è all’unità con i lavoratori nordamericani, e non con i nostri carnefici, nostri sfruttatori che sono la classe dei borghesi, le cui politiche di fame e miseria forzano milioni di lavoratori del nostro paese a cercare nell’emigrazione lavorativa migliori condizioni di vita; questi borghesi che costruiscono muri di esclusione e ingiustizia sociale nelle nostre città e villaggi, intorno alle loro lussuose zone residenziali e centri commerciali, mentre l’immensa maggioranza sfruttata sopravvive con l’indispensabile.

Proletari di tutti i paesi, unitevi!

L’Ufficio Politico del Comitato Centrale del PCM  

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