L’episodio, che ha visto la morte del giovane di 15 anni, Ugo Russo, e ha coinvolto il giovane carabiniere di 23 anni, è balzato agli onori della cronaca e sembra che sia l’unico degno di venire posto alla pubblica attenzione, monopolizzata in questi giorni dal noto problema epidemiologico.
Si sono subito scatenate le opposte “tifoserie”, tra il “tolleranza-zero” di chiaro stampo reazionario e il “pietismo” sociologistico.
Sappiamo che Napoli è una città eterogenea, dove esistono quartieri borghesi e quartieri popolari, periferici proletari e sottoproletari, dove si è creato un “vuoto” colmato, prima economicamente e socialmente, poi culturalmente e politicamente, dalla criminalità organizzata. Questa criminalità è tutto fuorché una forza che si oppone al sistema borghese, i modelli culturali sono di imitazione a tutti i costi della borghesia. I loro comportamenti sono funzionali a quella classe, non solo per la manovalanza che procura la droga che scorre a fiumi in quel “mondo di sopra”, ma anche perché spesso costituisce la forza d’urto criminale con cui la borghesia mafiosa regola i propri conti e opprime chi si sforza di lavorare onestamente in mezzo a notevolissime difficoltà. Tutto questo lo si vede nel controllo del territorio delle varie famiglie camorristiche che gestiscono spaccio di sostanze stupefacenti, estorsioni, contrabbando ecc.; lo si vede dagli omicidi nel centro storico e dalla microcriminalità che ormai sta raggiungendo livelli preoccupanti con ragazzi giovanissimi che vanno in giro a derubare le persone, bullizzare coetanei, finanche a devastare locali commerciali e che forniscono un esercito per la malavita.
Dietro tutto ciò c’è la responsabilità politica di una classe dirigente, trasversale a tutti i partiti borghesi, che deve rispondere di anni e anni di chiacchiere fumose e inconcludenti che hanno portato la terza città d’Italia, ex polo industriale di primo livello, a essere luogo di criminalità, spaccio, abbandono scolastico ecc. Ma questo non è solo frutto di incapacità: è un preciso modello economico che è funzionale allo sviluppo capitalistico italiano, che ha bisogno sempre più di vasti territori improduttivi, mercati di sfogo della sovrapproduzione capitalistica, discarica ecologica, terra-acqua-aria per il dominio imperialista. Ricordiamo che Napoli è sede del comando militare NATO situato in Italia, che costituisce uno dei due comandi strategici operativi in Europa.
Il risultato è l’emigrazione di centinaia di migliaia di napoletani – e con essi milioni di meridionali – nel Nord Italia e nel resto d’Europa, mentre per chi resta c’è lavoro senza diritti, malpagato e precario.
Chi si occupa da anni dei problemi di questa città, dice che la risposta per combattere la criminalità organizzata non può essere solo militare, coercitiva, ma deve essere culturale e sociale, garantendo istruzione e lavoro. Ma i comunisti sanno che le analisi sociologiche trovano il loro limite nelle effettive possibilità di soluzione praticabili in questa società, basata sul massimo profitto di pochi. Cosa può interessare a chi macina milioni di profitto se interi territori vengono devastati socialmente, ecologicamente e militarmente?
Al contrario. Che ora, sulla scorta di questo avvenimento, non si dia il là ad una ventata di “securitarismo”, che avrà come destinatari non la microcriminalità, ma la giusta rabbia e mobilitazione della classe operaia delle città! Fantasie? Vediamo cosa è successo coi decreti sicurezza. Sotto la diatriba tra ONG e governo Lega-M5S sono passate delle norme liberticide che minacciano proprio le possibilità di manifestazione operaie. Oggi quei decreti sono messi in discussione, tranne che per la parte attinente alle libertà di manifestare, che tutti i governi borghesi che si sono alternati attaccano da anni.
Solo col lavoro, il riconoscimento dei diritti può esserci dignità e progresso, per tutti: anche per quei figli delle famiglie meno abbienti, ove le persone si alzano alle 4 del mattino o vanno a dormire alle 2 di notte per meno di 10 euro al giorno.
Il Partito Comunista reclama un vasto programma di interventi pubblici volti ad eliminare le differenze vigenti fra i diversi quartieri di una stessa città, differenze di possibilità e di occasioni. Interventi che toccano il lavoro, il diritto alla casa, i trasporti, l’edilizia scolastica e in generale. Questo è tutto fuorché reddito distribuito a pioggia, ma lavoro dignitoso per operatori culturali e sociali, per tecnici e lavoratori manuali.
Per fare ciò è necessario che i lavoratori prendano coscienza che il capitalismo è la malattia che incancrenisce i rapporti sociali e che è necessario porsi sul terreno di un cambiamento radicale della società e dei rapporti di produzione: è necessario che siano i lavoratori a prendere il potere e che siano loro a decidere come e perché produrre.
Il socialismo è oggettivamente l’unica soluzione!