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NATO. 75 ANNI DI BELLICISMO

“Noi siamo contro questo Patto Atlantico dato che esso è in funzione antisovietica. Perché non dimentichiamo, infatti, come invece dimenticano i vostri padroni di oltre Oceano, quello che l’Unione Sovietica ha fatto durante l’ultima guerra. Essa è la Nazione che ha pagato il più alto prezzo di sangue. Senza il suo sforzo eroico, le Potenze occidentali non sarebbero riuscite da sole a liberare l’Europa dalla dittatura nazifascista”. (Sandro Pertini)

Il 4 aprile 1949 a Washington fu firmato “Trattato istitutivo della NATO”, il Patto Atlantico, ed entrò in vigore il 24 agosto dello stesso anno.

A 75 anni di distanza quel trattato, nato allora con ovvi intenti bellicisti antisovietici, si rivela nella sua massima pericolosità per i cittadini europei e in generale di tutto il mondo.

Dopo aver violato tutti i patti, per quanto non scritti, di non allargamento a est dopo la caduta del Muro di Berlino e dopo aver portato la minaccia atomica alle porte della Russia, questa Organizzazione misura tutta la propria impotenza davanti all’imminente tracollo annunciato della criminale e fallimentare operazione in Ucraina. Dopo aver massacrato un’intera generazione di giovani ucraini nelle trincee e dilapidato miliardi su miliardi per rifornire un esercito e una classe politica tra le più corrotte che la storia ricordi, ora gli strateghi americani cercano di correre ai ripari.

Nonostante l’avversità a questa folle strategia che nei popoli dei paesi occidentali monta implacabile, per blindare il sostegno finanziario il già prorogato per ben due volte Segretario della NATO, il norvegese Stoltenberg, cerca di rendere permanente e automatico il sostegno a Kiev, prevedendo un contributo pari a 100 miliardi nei prossimi 5 anni, indipendentemente dall’esito del risultato elettorale degli USA. Bell’esempio di adesione alla volontà popolare. Per quanto riguarda invece la volontà popolare nell’Unione Europea, essa è stata già da tempo completamente oscurata da classi dirigenti imbelli, succubi, corrotte, che stanno contribuendo a distruggere quello che resta della democrazia e del benessere economico dei rispettivi paesi. Nessun distinguo tra i socialdemocratici di Scholz e i finti sovranisti italiani.

Il mondo è sull’orlo di un crinale che potrebbe portare a due esiti radicalmente diversi.

Il primo. Messi davanti al fallimento completo – militare, politico ed economico – delle macchinazioni fomentate dalla presente Amministrazione, le classi dirigenti statunitensi capiscono che, anziché indebolire il numero Tre (la Russia) prima di attaccare il numero Due (la Cina) sono riusciti a rafforzare il numero Tre e legarlo a doppio filo al numero Due. Capiscono che è sbagliata la strada di usare ancora più forza, quando la forza tua ti si rivolge contro. Cercano una via d’uscita all’impasse che li costringerà a condividere questo Pianeta con altri protagonisti, come il multipolarismo reclama. Ciò significherà una totale riconversione dell’economia statunitense, da un’economia di guerra permanente contro tutto il mondo, amici e nemici, da un’economia basata sul saccheggio e la speculazione finanziaria a un modello compatibile con il vivere civile e il diritto internazionale. Il compito è più arduo di quanto non possa sembrare a parole.

Il secondo. Giocare il tutto per tutto contro i 5/6 del mondo e con il proprio 1/6 riluttante a costo di rischiare l’olocausto nucleare totale.

Ricordiamo che quando gli USA scesero in guerra nel dicembre del 1941 la propria capacità produttiva era il doppio della somma di quella della Germania nazista e del Giappone militarista. Ora la situazione è radicalmente differente, come l’incapacità di rifornire adeguatamente il proprio alleato ucraino in una guerra regionale.

Nel 1945 i marines riuscirono a portare un’invasione sul territorio delle isole giapponesi a costi elevatissimi e dopo essersi sbarazzati della marina e dell’aviazione imperiale, e solo l’intervento dell’Armata Rossa in Manciuria nell’agosto piegò l’esercito giapponese costringendolo alla resa sotto il pericolo di un’invasione da nord. Figuriamoci che disastri riuscirebbero a fare oggi da soli nelle stesse acque.

Il costante allargamento della NATO e la sempre più supina sottomissione delle classi dirigenti europee non rendono quei Paesi, i nostri Paesi, più sicuri. Anzi! L’articolo 5 del Trattato Atlantico impone ai tutti i paesi firmatari di intervenire in aiuto di qualunque altro membro fosse stato attaccato. Ora è fin troppo chiaro che questo non è un dispositivo difensivo, ma offensivo, perché impone di entrare in guerra automaticamente senza possibilità di verificare la veridicità del casus belli invocato. Quindi, siccome è improbabile che qualunque nazione possa agire senza preventivo nulla osta dell’Egemone, il pericolo di trovarsi in una guerra scatenata da altri e nell’interesse di altri è più che reale. È impensabile che ciò possa conciliarsi con la nostra Costituzione e con le leggi ordinarie.

La fortuna della presente generazione è che gli USA non si trovano di fronte classi politico-militari belliciste come nel 1941-45, ma classi che dimostrano una lungimiranza e un’assennatezza che stanno contenendo i danni e i pericoli della più ottusa classe dirigente che un Paese Egemone abbia mai avuto.

In occasione di questi 75 anni di bellicismo, ripercorriamo la storia di questa Organizzazione dalle fasi che ne hanno preceduto la formazione, fino ad oggi.

 

PREMESSE

«Nel 1943-44 gli esperti sovietici prevedevano una cooperazione interalleata durevole, in particolare con la Gran Bretagna. Nei loro documenti mancava qualunque riferimento a termini come “rivoluzione”, o anche “democrazia”, mentre veniva spesso utilizzata genericamente l’espressione “sfere d’influenza”. Un documento del gennaio 1944 precisava gli obiettivi strategici dell’URSS nel dopoguerra: creare una situazione di pace durevole che consentisse all’URSS di rafforzarsi; trasformare in senso socialista l’Europa continentale entro trenta-cinquanta anni, escludendo ogni rischio di guerra; ottenere frontiere strategicamente difendibili in Cecoslovacchia e Polonia.» [1]

Le difficoltà incontrate dai sovietici nel plasmare la nuova Europa orientale si acuirono fra la conferenza di Jalta (4-11 febbraio 1945) e la firma del trattato di pace con i cinque alleati minori della Germania (Italia, Finlandia, Ungheria, Romania e Bulgaria) il 10 febbraio 1947. Jalta non significò la divisione del mondo: sottolineò, piuttosto, la volontà degli Alleati di continuare a collaborare anche in presenza di conflitti ideologici e strategici sempre più evidenti sul futuro dell’Europa.

I dirigenti sovietici intendevano rifarsi all’esperienza della collaborazione in chiave antifascista tra forze socialiste e borghesi nei fronti popolari di Francia e Spagna negli anni trenta. Questo modello venne ripreso e ampliato per la formazione, dopo l’aggressione nazista all’URSS, di fronti nazionali, che includevano anche i monarchici. Contrariamente alle aspettative dei comunisti esteuropei di una rapida presa del potere sul modello della “dittatura del proletariato”, le istruzioni fornite nel 1943-44 dal Dipartimento per le relazioni internazionali del PCUS, guidato da Dimitrov e dall’ucraino Manuil’skij, prevedevano governi retti da coalizioni parlamentari e riforme agrarie moderate, intese a espropriare i latifondisti criminali di guerra ma non la piccola e media proprietà. Ancora nel 1946, soprattutto in Polonia, Stalin raccomandò prudenza, nella convinzione che la peculiare situazione del paese, materialmente distrutto e privato delle sue tradizionali élite, favorisse una transizione graduale e pacifica al socialismo.

Alla Conferenza di Potsdam dell’agosto 1945, dopo la resa incondizionata della Germania, avvenuta l’8 maggio 1945, le potenze vincitrici (Unione Sovietica, Stati Uniti, Regno Unito e Francia) divisero la nazione in quattro zone di occupazione militare, così come fecero per l’Austria.

Nell’estate 1947 Polonia e Cecoslovacchia si vedono bloccati i crediti statunitensi per la ricostruzione europea (Piano Marshall). Nel maggio del 1947 i partiti popolari in Italia furono espulsi dai governi di coalizione. La cortina di ferro, secondo l’espressione di Churchill (5 marzo 1946), cadde in Europa. Da quel momento il percorso dei paesi europei cominciarono a divergere sempre di più. Mai le nazionalizzazioni dei settori strategici e le collettivizzazioni in agricoltura furono attuate contro la volontà dei diretti interessati: contadini, piccoli e medi imprenditori, bensì attraverso il sistema cooperativo socialista. [2]

L’8 maggio 1949 venne approvato il Grundgesetz, legge fondamentale della Repubblica Federale di Germania. Esso fu promulgato il 23 maggio successivo e la Repubblica proclamata. La Repubblica Democratica Tedesca venne proclamata nel settore sovietico di Berlino il 7 ottobre 1949, facendo seguito alla proclamazione della Repubblica Federale di Germania ad opera del blocco occidentale pochi mesi dopo la fine del Blocco di Berlino attuato dai sovietici.

LA FONDAZIONE

Il trattato istitutivo della NATO, il Patto Atlantico, fu firmato a Washington il 4 aprile 1949, ed entrò in vigore il 24 agosto dello stesso anno. Gli alleati originali erano Usa, Canada, Gran Bretagna, Belgio, Danimarca, Francia, Islanda, Italia, Lussemburgo, Olanda, Norvegia e Portogallo (paese dichiaratamente fascista ma il possesso delle Isole Azzorre era troppo prezioso per fare gli schizzinosi, la Spagna entrò solo nel 1982 dopo la caduta del franchismo).

Nel settembre 1952 si tenne l’operazione Mainbrace, la prima grande esercitazione navale della NATO. Nel 1952 anche Grecia e Turchia entrarono a far parte della NATO. Segretamente venivano istituite organizzazioni paramilitari stay-behind, tra cui l’operazione Gladio, con lo scopo di realizzare la resistenza nel caso di successo di una eventuale invasione sovietica.

La nuova amministrazione Eisenhower scelse di rafforzare l’arsenale nucleare per perseguire la dottrina della “rappresaglia massiccia” secondo la quale gli Stati Uniti avrebbero risposto con ogni mezzo, anche atomico, e senza proporzione a qualsiasi attacco sovietico anche di modesta entità. Se da una parte i paesi dell’Europa occidentale potevano contare sull’impegno statunitense, il quasi esclusivo monopolio di questi ultimi sugli armamenti atomici rese la NATO fortemente dipendente dalle loro scelte.

Il rafforzamento militare della NATO spinse l’Unione Sovietica, che dal 1949 si era dotata anche lei di armi nucleari, ad accrescere i suoi arsenali in una vera e propria corsa agli armamenti. Seguirono Grecia e Turchia nel 1952. Il 9 maggio 1955 la Repubblica Federale Tedesca entrò a far parte della NATO.

LA RISPOSTA A EST

La possibilità di una nuova Germania riarmata generò timore nelle leadership della Repubblica Socialista Cecoslovacca, Repubblica Democratica Tedesca e Repubblica Popolare Polacca: i tre Stati si opposero fortemente alla ri-militarizzazione della Germania Ovest e cercarono di stipulare un patto di difesa reciproca. I leader dell’Unione Sovietica, come molti altri Paesi europei occidentali e orientali, temevano il ritorno della potenza militare tedesca e quindi di una minaccia diretta simile a quella rappresentata dai tedeschi subito prima della seconda guerra mondiale, il cui ricordo era ancora fresco nelle memorie dei Sovietici e degli Europei dell’est. Poiché l’URSS aveva già stipulato degli accordi bilaterali con gli Stati satellite, l’esigenza di un Patto venne considerata a lungo superflua. Il 14 maggio 1955 l’Unione Sovietica, l’Albania, la Bulgaria, l’Ungheria, la Germania Est, la Polonia, la Romania e la Cecoslovacchia firmarono a Varsavia il “Trattato di amicizia, cooperazione e assistenza reciproca”, noto in seguito come Patto di Varsavia.

La consapevolezza che una guerra totale tra i due blocchi, entrambi in grado di disporre di ingenti risorse militari e soprattutto di un arsenale atomico, portò l’amministrazione Kennedy, al governo degli USA dal gennaio 1961, ad elaborare nuove strategie per gli Stati Uniti e per la NATO. Venne così adottata la dottrina della risposta flessibile al posto della rappresaglia massiccia perseguita dalla precedente amministrazione Eisenhower.

Nell’autunno del 1963 scoppiò la crisi dei missili di Cuba. Kennedy scelse di non consultarsi con gli alleati e anche il compromesso che permise la risoluzione della crisi, la rimozione dei missili Jupiter da Turchia e Italia.

DALLA NATO SI PUÒ USCIRE

Già da tempo il presidente francese De Gaulle aveva reso pubbliche le sue rimostranze riguardo al ruolo eccessivamente forte che gli Stati Uniti ricoprivano all’interno dell’organizzazione e del loro rapporto “speciale” con il Regno Unito. Considerando la risposta ottenuta insoddisfacente, de Gaulle iniziò a costruire una forza di difesa indipendente per il suo paese. Voleva dare alla Francia, in caso di invasione della Germania dell’Est nella Germania Ovest, la possibilità di giungere a una pace separata con il blocco orientale invece di essere trascinata in una guerra più ampia tra la NATO e il Patto di Varsavia. Nel febbraio 1959, la Francia ritirò la sua flotta mediterranea dal comando della NATO, e in seguito vietò il dislocamento di armi nucleari straniere sul suolo francese. Nel 1966, tutte le forze armate francesi furono rimosse dal comando militare integrato della NATO e a tutte le truppe NATO non francesi fu chiesto di lasciare la Francia. Tale situazione rimase invariata fino al 2009 quando, in occasione del vertice di Strasburgo-Kehl, la Francia, sotto la presidenza di Nicolas Sarkozy, annunciò il suo ritorno alla piena partecipazione all’Organizzazione.

Anche la Grecia uscì dalla NATO nel 1974 come protesta per l’invasione turca di Cipro. Nel 1980 però fece ritorno nel comando militare dell’alleanza.

IL CONFRONTO SI FA PIÙ ASPRO

Nel 1979 gli Stati Uniti, a seguito di un accordo con i membri della NATO, schierarono in Europa 464 missili da crociera BGM-109 Tomahawk in grado di trasportare anche testate nucleari.

Manifestazioni in Sicilia a Comiso agosto 1983, a Niscemi contro il MUOS.

Dopo l’ingresso della Spagna nel maggio del 1982, la NATO contava 16 nazioni partecipanti che mettevano in campo una forza di circa 5.252.800 militari attivi, tra cui ben 435.000 statunitensi sotto una struttura di comando che arrivò a contare oltre 78 quartier generali.

LA DISTENSIONE DA UN LATO E L’ESPANSIONISMO DALL’ALTRO

Nel 1990 con la firma del trattato START I, si prevedeva la riduzione del 50% delle armi nucleari strategiche. Un cedimento senza contropartita da parte di Gorbacev.

Il primo allargamento della NATO dalla caduta del Muro di Berlino giunse con la riunificazione tedesca del 3 ottobre 1990, quando l’ex Germania dell’Est entrò a far parte della Repubblica Federale Tedesca e quindi dell’alleanza. Per ottenere l’approvazione sovietica di una Germania unita e parte della NATO, fu concordato che truppe straniere e armi nucleari non sarebbero state dislocate a est.

Al vertice di Roma del 1991 vennero dichiarati i nuovi compiti che l’Alleanza si prefiggeva e che poi saranno ufficialmente approvati nel vertice di Washington del 24 aprile 1999. Nei documenti si legge che «l’Alleanza non si considera avversaria di nessun paese», «l’Alleanza vincola in un approccio ampio alla sicurezza che riconosce, in aggiunta alla necessaria dimensione della difesa, l’importanza dei fattori politici, economici, sociali e ambientali». Sulla base di questi principi la NATO iniziò ad essere investita di nuovi compiti considerati parte fondamentale di un processo di pacificazione globale, tra cui la guerra al terrorismo, la limitazione della proliferazione delle armi nucleari, chimiche, batteriologiche, la promozione del benessere sociale, il rispetto dei diritti umani e lo sviluppo della democrazia.

Contestualmente venne posta maggior attenzione verso forze convenzionali flessibili da utilizzarsi in diversi contesti operativi e geografici come operazioni di sminamento, tutela dei rifugiati, disastri ambientali, missioni di peacekeeping e peacemaking.

L’8 luglio 1997, tre ex paesi del blocco sovietico (Ungheria, Repubblica Ceca e Polonia) vennero invitati ad aderire alla NATO, che è stata accettata da tutti e tre, con l’accettazione ungherese approvata in un referendum in cui l’85,3% degli elettori ha sostenuto l’adesione alla NATO. Questo allargamento ricevette diversi sostegni ma anche aspre critiche da parte di alcuni politologi statunitensi che lo definirono un «errore politico di proporzioni storiche».

Nonostante i dubbi tra gli occidentali e le proteste a est, l’allargamento continuò coinvolgendo altri sette paesi dell’Europa centrale e orientale. Estonia, Lettonia, Lituania, Slovenia, Slovacchia, Bulgaria e Romania vennero invitati per la prima volta ad avviare i colloqui di adesione durante il vertice di Praga del 2002 ed entrarono a far parte della NATO nel marzo 2004.

Nel 2008, al vertice di Bucarest (Romania), la NATO acconsentì l’adesione di Croazia e Albania, entrambe poi entrate ufficialmente nell’aprile successivo. Nella stessa occasione venne dichiarato che anche Ucraina e Georgia avrebbero potuto farne parte. Tale dichiarazione suscitò aspre critiche da parte della federazione russa, così come le suscitarono i piani, iniziati già nel 2002, di installazione di un sistema di difesa missilistica in Polonia e Repubblica Ceca.

Il 5 giugno 2017, tra le forti obiezioni della federazione russa, il Montenegro è diventato il 29° membro della NATO mentre il 27 marzo 2020 la Macedonia del Nord ne è diventata il 30° membro dopo che una disputa sul suo nome è stata risolta con la Grecia.

Il 4 aprile 2023 la Finlandia è entrata a far parte della NATO come 31° membro. L’11 marzo 2024 la Svezia.

LA NATO NEGLI ANNI 2000

Nel 2001, in seguito agli attacchi dell’11 settembre, per la prima volta venne invocato dagli Stati Uniti l’articolo 5 del Trattato Atlantico.

Al vertice di Praga del 2002, venne istituito la NATO Response Force, un corpo di risposta rapida, agli ordini del Comando supremo delle potenze alleate in Europa. Nel giugno dell’anno successivo venne intrapresa un’ulteriore ristrutturazione dei comandi militari con l’abolizione del quartier generale del Comandante supremo alleato dell’Atlantico e l’istituzione dell’Allied Command Transformation (ACT), a Norfolk negli Stati Uniti, mentre il Comando supremo delle potenze alleate in Europa divenne il quartier generale delle operazioni del comando alleato (ACO). Nel marzo 2004, durante il vertice di Istanbul, venne dato inizio alla Baltic Air Policing attraverso la quale venne sostenuta la sovranità di Lettonia, Lituania ed Estonia attraverso la fornitura di caccia a reazione per rispondere a qualsiasi intrusione aerea indesiderata. Sempre a Istanbul la NATO varò l’Iniziativa di cooperazione di Istanbul con quattro nazioni del Golfo Persico.

Durante il vertice di Riga del 2006 si porta all’attenzione la questione relativa alla sicurezza energetica.

Il 4 aprile 2009 la Francia fece ritorno alla piena adesione dell’organizzazione compreso il rientro nella struttura di comando militare della NATO mantenendo, tuttavia, un deterrente nucleare indipendente.

Nel 2009 venne annunciato che la NATO avrebbe mantenuto anche lo status quo nel suo deterrente nucleare in Europa potenziando le capacità di puntamento delle bombe nucleari “tattiche” B-61 dispiegandole sul più avanzato caccia Lockheed Martin F-35 Lightning II. Il 15 giugno 2016, la NATO ha riconosciuto ufficialmente la guerra informatica alla stregua della guerra terrestre, navale e aerea; ciò significa che qualsiasi attacco informatico ai membri dell’alleanza potrebbe far invocare l’articolo 5 del Patto Atlantico. Allo stesso modo, il 4 dicembre 2019, la NATO ha anche la guerra spaziale.

Nel 2014, l’Annessione della Crimea alla Russia ha portato le nazioni della NATO ad esprimere una forte condanna con la Polonia che ha invocato l’articolo 4 durante gli incontri di vertice. Al vertice del Galles del 2014, i leader degli Stati membri si sono formalmente impegnati per la prima volta a spendere l’equivalente di almeno il 2% del loro prodotto interno lordo per la difesa entro il 2024, un valore precedentemente indicato solamente come una linea guida informale. Nel febbraio 2015, la NATO si è impegnata a formare una nuova forza di 5000 soldati nelle basi in Estonia, Lituania, Lettonia, Polonia, Romania e Bulgaria.

MISSIONI

Nessuna operazione militare è stata condotta dalla NATO durante la Guerra Fredda. Le prime prime operazioni, denominate Anchor Guard e Ace Guard, condotte rispettivamente nel 1990 e nel 1991, furono provocate dall’invasione irachena del Kuwait.

Intervento in Bosnia ed Erzegovina

La guerra in Bosnia ed Erzegovina ebbe inizio nel 1992 come conseguenza della dissoluzione della Jugoslavia. Il deterioramento della situazione portò alla risoluzione 816 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite del 9 ottobre 1992 con cui venne istituita una “no-fly zone” su tutta la Bosnia-Erzegovina centrale e dal 12 aprile dell’anno seguente la NATO iniziò a far rispettare con l’avvio dell’operazione Deny Flight. Da giugno 1993 a ottobre 1996, l’operazione Sharp Guard assicurò anche sul mare l’embargo sulle armi e l’applicazione delle sanzioni economiche nei confronti della Repubblica Federale di Jugoslavia. Il 28 febbraio 1994, la NATO intraprese la sua prima azione di guerra abbattendo quattro aerei serbo-bosniaci che stavano violando la no-fly zone. Nell’agosto 1995 iniziò una campagna di bombardamenti NATO di due settimane, l’Operazione Deliberate Force, contro l’Esercito della Republika Srpska, a seguito della strage di Srebrenica, in seguito attribuita alla parte avversa. Ulteriori attacchi aerei della NATO contribuirono a porre fine alle guerre jugoslave, portando all’accordo di Dayton nel novembre 1995. Quasi 60000 soldati della NATO presero parte a tali operazioni per poi diminuire di numero nel passaggio alla “Stabilisation Force” in attività dal dicembre 1996 al dicembre 2004, quando le operazioni furono poi trasferite alla European Union Force Althea. Quei territori sono ancora martoriati dalla presenza dei proiettili all’uranio impoverito che hanno falciato non solo i nostri militari, ma continuano a mietere vittime tra la popolazione residente.

Intervento in Kosovo

Nel tentativo di fermare la repressione guidata dai serbi di Slobodan Milošević contro i separatisti dell’UCK e i civili albanesi in Kosovo, il 23 settembre 1998 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato la risoluzione 1199 per chiedere un cessate il fuoco. I negoziati, intrapresi sotto l’inviato speciale degli Stati Uniti Richard Holbrooke, si interruppero il 23 marzo 1999, quindi Holbrooke affidò la questione alla NATO che iniziò il giorno successivo una campagna di bombardamenti di 78 giorni. L’operazione Allied Force prese di mira le capacità militari di ciò che era allora la Repubblica Federale di Jugoslavia.

L’intervento fu criticato riguardo alla sua legittimità e per vittime civili che esso comportò, inoltre indignazione suscitò il bombardamento dell’ambasciata cinese a Belgrado. Finalmente, il 3 giugno 1999, Milošević accettò i termini di un piano di pace internazionale ponendo fine alla guerra del Kosovo. L’11 giugno Milošević ha inoltre accettato la risoluzione 1244 delle Nazioni Unite, sotto il cui mandato la NATO ha poi contribuito a istituire la forza di mantenimento della pace KFOR. Quasi un milione di profughi avevano lasciato il Kosovo e parte del mandato della KFOR fu quello di proteggere le missioni umanitarie, oltre a scoraggiare la violenza. Nell’agosto-settembre 2001, l’alleanza organizzò anche l’operazione Essential Harvest, una missione di disarmo delle milizie di etnia albanese nella Repubblica di Macedonia.

Guerra in Afghanistan

Gli attacchi dell’11 settembre avvenuti contro gli Stati Uniti hanno indotto la NATO a invocare l’articolo 5 per la prima volta nella storia dell’organizzazione. L’articolo afferma che un attacco a qualsiasi membro deve essere considerato come un attacco a tutti. L’invocazione è stata confermata il 4 ottobre successivo quando la stessa NATO ha stabilito che gli attacchi erano effettivamente considerabili ai fini del Trattato del Nord Atlantico. Le otto azioni ufficiali intraprese in risposta compresero l’Operazione Eagle Assist e l’Operazione Active Endeavour, un’operazione navale condotta nel Mar Mediterraneo finalizzata a impedire il movimento di terroristi o di armi di distruzione di massa e a rafforzare la sicurezza della navigazione in generale.

L’ISAF è stato inizialmente incaricata di proteggere Kabul e le aree circostanti dalle mire dei talebani, da al Qaeda e dai signori della guerra delle diverse fazioni locali in modo da consentire l’istituzione dello Stato Islamico di Transizione dell’Afghanistan guidata da Hamid Karzai. Nell’ottobre 2003, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha autorizzato l’espansione della missione ISAF in tutto l’Afghanistan.

Il 14 aprile 2021, il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha affermato che l’alleanza aveva accettato di iniziare il ritiro delle sue truppe dall’Afghanistan entro il 1 maggio. Con il successivo collasso delle forze armate afghane i militanti talebani riuscirono in breve tempo a conquistare il controllo della stragrande maggioranza del paese e a circondare la capitale Kabul. Alcuni politici negli stati membri della NATO hanno descritto il caotico ritiro delle truppe occidentali dall’Afghanistan e il crollo del governo afghano come la più grande débâcle che la NATO abbia subito dalla sua fondazione.

Intervento in Libia

Durante la guerra civile libica, la violenza tra i manifestanti e il governo libico sotto il colonnello Muammar Gheddafi si è intensificata e il 17 marzo 2011 ha portato all’approvazione della risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che chiedeva un cessate il fuoco e autorizzava l’azione militare per proteggere i civili. Una coalizione che comprendeva diversi membri della NATO ha iniziato ad imporre una no-fly zone sulla Libia poco dopo, a partire dall’operazione Harmattan dell’aeronautica francese il 19 marzo. Il 20 marzo 2011, gli stati membri della NATO hanno concordato di far rispettare un embargo sulle armi contro la Libia con l’operazione Unified Protector utilizzando navi del NATO Standing Maritime Group 1 e Standing Mine Countermeasures Group 1 nonché ulteriori navi e sottomarini dei singoli membri della NATO, al fine di “monitorare, segnalare e, se necessario, interdire le navi sospettate di trasportare armi illegali o mercenari”. Il 24 marzo, la NATO ha accettato di prendere il controllo della no-fly zone dalla coalizione dei volenterosi iniziale mentre il comando delle unità di terra è rimasto alle forze della coalizione. La NATO ha dunque iniziato ufficialmente ad applicare la risoluzione delle Nazioni Unite il 27 marzo 2011 con l’assistenza del Qatar e degli Emirati Arabi Uniti. Alla fine della missione nell’ottobre 2011, dopo la morte del colonnello Gheddafi, gli aerei della NATO avevano effettuato circa 9.500 missioni di attacco contro obiettivi governativi.

Guerra civile siriana

Dopo l’abbattimento di un jet militare turco da parte della Siria nel giugno 2012 e il bombardamento da parte delle forze siriane delle città turche di confine nell’ottobre 2012 che hanno portato a due consultazioni di emergenza ai sensi dell’articolo 4, la NATO ha approvato l’operazione Active Fence. L’ultima consultazione è avvenuta nel febbraio 2020, nell’ambito delle crescenti tensioni dovute all’offensiva della Siria nordoccidentale, che ha riguardato attacchi aerei siriani e forse russi sulle truppe turche, rischiando uno scontro diretto tra la Russia e un membro della NATO.

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[1] Stefano Bottoni, Un altro Novecento, L’Europa orientale dal 1919 a oggi, Carocci editore, 2011

[2] Dorothy W. Douglas, Sistemi economici di transizione in Polonia e Cecoslovacchia, Einaudi 1956

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