Nazionalismo e realtà di classe dal 1914 al 2016
Di seguito potete leggere la traduzione dell’articolo scritto il 16 ottobre 2016 dal Primo segretario del CC del Partito comunista, Turchia (KP) e editorialista del quotidiano SoL, Kemal Okuyan, che concentra l’attenzione sui disastri stimolati dalla collaborazione di classe e dal nazionalismo, sulle radici storiche della crisi imperialista che hanno portato al tradimento della socialdemocrazia e alla prima guerra mondiale, facendo un’analogia con il mondo in crisi di oggi che scorre in un ambiente caotico.
Nazionalismo e realtà di classe dal 1914 al 2016
Era l’anno del 1914; la prima guerra mondiale sembrava essere solo una questione di tempo. Mentre il momento per gli imperialisti di risolvere i conti si stava avvicinando con fragor di trombe, un nazionalista jugoslavo sparò a Ferdinando, l’arciduca austriaco, accelerando la storia. L’Europa fu il centro di gravità della guerra che divenne quasi inevitabile, e la classe operaia era l’unica forza in grado di fermare una guerra in Europa.
Il centro del movimento della classe operaia era la Germania, paese imperialista in crescita in quel momento. Godendo di milioni di voti, oltre un milione di membri e migliaia di organi d’informazione, il Partito socialdemocratico [SPD] era un partito “quasi-Stato”. I comunisti non avevano ancora rotto con la tradizione socialdemocratica e il marxismo si esprimeva nei partiti socialdemocratici in tutto il mondo.
La maggior parte delle persone credevano che la guerra potesse esser evitata con il movimento operaio internazionale organizzato all’interno della Seconda Internazionale. Germania e Francia, i due paesi confinanti posizionati in blocchi contrapposti, erano anche leader del movimento operaio. Ebbene, i tedeschi erano egemonici e dominavano il movimento, ma il volume totale delle organizzazioni dei lavoratori di entrambi i paesi erano adeguatamente diffusi da riempire di speranza l’umanità. Inoltre, dal momento in cui cominciarono a squillare le trombe di guerra, i socialdemocratici tedeschi e francesi si incontravano, gridando abbracciandosi: “Non spareremo sui nostri compagni”.
Tuttavia, si ometteva che il partito tedesco aveva sviluppato delle “teorie” che legittimavano il colonialismo negli anni precedenti, che legavano il suo futuro alla nascita dello stato tedesco, che accuratamente – in modo sottile ma subdolo – stabiliva il rapporto tra i diritti esistenti della classe operaia e l’economia tedesca che stava divorando le nuove risorse e che, piuttosto che in un partito rivoluzionario, veniva trasformato in un ormone iniettato nella lobby di gestione della stabilità capitalista. Gli altri non erano diversi.
I dirigenti dei partiti “quasi-Stato” sentivano che avrebbero perso i loro privilegi e poltrone prestigiose nei parlamenti se non si fossero sparati a vicenda gli uni dagli altri. La maggior parte di loro aveva origini operaie; erano stati strappati dai luoghi di lavoro e messi in uffici di sindacati o di partito, ridotti al professionismo e lontani dal senso di pietà e saggezza. I Parlamenti deliberarono a favore della guerra uno dopo l’altro. Alcune mani si alzarono a nome dei “valori sacri” sul lato destro dei parlamenti, mentre alcune altre si alzarono a favore della “libertà” sul lato sinistro. Il padrone e il lavoratore vennero uniti per la “patria”. L’operaio tedesco sparava sul lavoratore francese per il bene della “patria”!
Lo fecero. Centinaia di migliaia si uccisero a vicenda. Una manciata di rivoluzionari, che rifiutarono di essere spettatori in questo massacro, vennero espulsi dai partiti socialdemocratici e poi messi dietro le sbarre. Noi diciamo sempre: “Il nazionalismo è collaborazionismo di classe”; l’esempio più vergognoso, ignominioso e sanguinoso di questa realtà è avvenuto nel 1914. L’importanza della distinzione tra patriottismo e arrendersi ai cialtroni succhiasangue della patria apparve così esplicitamente per la prima volta.
Il conto dell’egemonia tedesca era evidente: l’economia era sempre più in crescita, pertanto erano necessari nuovi mercati e fonti di materie prime; per la rivalità con la Gran Bretagna, venne richiesto di distruggere il potere contrattuale della classe operaia che aveva fatto aumentare sempre più il costo del lavoro negli anni precedenti; era necessario ostacolare la ricerca di un sistema egualitario della società e unire i tedeschi intorno a un unico ideale. Essi poterono avventurarsi in una guerra.
I socialdemocratici tedeschi erano sicuramente a conoscenza di questo tipo di ragionamento e di come la crisi del capitalismo trasformasse la guerra in un fenomeno inevitabile. Tuttavia, spianarono la strada alla guerra, invece di condurre una lotta per distruggere il sistema come unico modo possibile di resistere alla realtà esistente. Se la Germania avesse vinto, anche loro avrebbero vinto!
Anche la Russia zarista era in lotta. Una parte degli operai russi e la quasi totalità dei contadini erano sicuri del fatto che lo Zar avrebbe ricompensato i suoi amati servitori in caso di vittoria. Veniva anche promesso Istanbul come grande premio. I poveri affamati si stavano massacrando l’un l’altro per allinearsi alle tasche delle classi ricche.
All’inizio della guerra, una voce isolata si alzò dalla stessa Russia, adottando un esplicito atteggiamento nei confronti di questo disonore. Essendo sempre stato spietato in polemiche, Lenin diede in escandescenza davanti al tradimento del movimento operaio internazionale. Egli non solo scatenò la sua rabbia, ma anche le sue doti intellettuali contro tale tradimento. Rivelò in modo esplicito le ragioni della guerra, mostrando come la socialdemocrazia era decaduta interiormente. Anzi, scrisse “L’imperialismo” in virtù di questa ragione.
Segnalando il fatto che la presente guerra nel settembre del 1914 stava allontanando l’attenzione della classe operaia dalla crisi politica interna, mandando in frantumi l’unità di classe e la sua organizzazione politica d’avanguardia, egli stava cercando di impedire la guerra da considerarsi come un braccio di ferro geopolitico tra le “grandi potenze”.*
Gli imperialisti iniziarono un combattimento sanguinoso; i monopoli fecero enormi profitti in Germania, Italia, Francia e Gran Bretagna; gli scioperi vennero vietati in nome della patria e della nazione, i salari vennero tagliati, i fondi pubblici vennero destinati a questo delirio militarista, quasi ogni settore veniva programmato in conformità al tempo di guerra. I monopoli alimentari producevano cibo in scatola e barrette di cioccolato per il fronte, l’industria tessile inviava cappotti militari e l’industria delle armi forniva munizioni. Per quanto riguarda il capitale finanziario… Alcune fonti dicono che le banche facevano 10.000 $ di profitto per ogni soldato ucciso!
Qual è il motivo di ricordare tutte queste realtà oggi?
Faccio notare tutto ciò per ricordare che ogni strategia che cerca di mettere insieme la classe operaia e il capitale in un modo o nell’altro, a qualsiasi livello, sarebbe una complicità nel crimine storico che riassunto sopra.
Chi pensa che la contraddizione tra il lavoro e il capitale devono essere rimosse oggi per il bene della democrazia, della libertà, del laicismo e degli interessi nazionali, dovrebbe sapere che le argomentazioni di coloro che agirono con la stessa logica in Germania o in Francia nel 1914 non erano meno “persuasive”. Il francese affermava che la sua libertà era in pericolo a causa del dispotismo tedesco e parlavano della liberazione dei popoli dall’Impero Ottomano e l’Impero austro-ungarico. I tedeschi, d’altra parte, si unirono in una battaglia per la vita o per la morte in nome della civiltà contro il regime reazionario russo. Ognuno aveva una scusa ragionevole per schierarsi dietro il suo capo.
Qualcuno potrebbe obiettare: “Ma la Turchia non è un paese imperialista”. Qui non mi dilungo sul dibattito sull’imperialismo. Diventare imperialista, però, è intrinseco per tutti i paesi capitalisti come tendenza; l’avidità dei capitalisti turchi, la passione del profitto e l’ostilità verso il popolo non sono da meno di quella dei fanatici monopoli guerrafondai del 1914.
Tutte le pratiche e le avventure sanguinose a cui abbiamo assistito ieri nel Caucaso e nei Balcani, e in Siria e in Iraq oggi non solo hanno servito gli interessi dei principali paesi imperialisti, ma hanno soddisfatto anche la classe capitalista turca per quanto concerne nuove fonti di investimento, mercati ed energia.
L’affermazione, “nel caso vince il nostro capo, poi vince la classe operaia”, è stata smentita nel corso della storia. Fermo restando che la classe capitalista impiega una piccola porzione di ricchezza per acquisire una piccola sezione di lavoratori, il benessere di questa sezione non è mai stato permanente anche nei paesi più ricchi. Inoltre, milioni di persone fuori da quella piccola minoranza sono condannati alla povertà eterna, disoccupazione e dure condizioni di lavoro.
I grandi monopoli hanno raggiunto tassi di profitto incredibili con l’AKP in Turchia, mentre i salari reali si stanno riducendo in modo continuo. Quando l’assimilazione della classe operaia ai padroni fallisce, la cassetta di sicurezza prevede l’obbligo di rispettare la “volontà nazionale”. La volontà nazionale di oggi è la stessa di quella del 1914; il nazionalismo è una delle armi più influenti delle classi sfruttatrici. Come abbiamo già detto, il patriottismo è la volontà di eliminare dal nostro amato paese gli sfruttatori, ladri e parassiti.
* Lenin, Collected Works, vol. 21, p. 25