Il risultato del referendum con il quale i lavoratori di Alitalia hanno rifiutato la proposta del governo e dei sindacati confederali ha un’importanza cruciale. È un giro di boa per la ricostruzione di un sentimento unitario, di una coscienza di classe tra i lavoratori. Non c’è nulla da festeggiare per la scelta coraggiosa, per la dignità che i lavoratori hanno dimostrato nel respingere quell’accordo ben sapendo a quali rischi andavano incontro. Ma proprio in questo grande gesto di dignità e di coscienza, risiede l’importanza, il punto di partenza del lavoro a cui siamo chiamati.
Non era scontato che ciò accadesse. Pochi mesi fa il governo ha assistito senza battere un colpo al licenziamento di 1666 lavoratori di Almaviva della sede romana, proprio per un no, quella volta da parte dei sindacati. La vicenda Almaviva era suonata come una campana di avvertimento per tutti i lavoratori, proprio in vista di quello che si stava prospettando sul settore delle telecomunicazioni e sulla situazione della compagnia di bandiera. Eppure i lavoratori non hanno ceduto al ricatto, e hanno alzato la testa.
Non si sono lasciati dividere dal gioco delle categorie, con cui il governo tentava di frammentarli, sebbene tra il personale amministrativo e quello apparentemente meno interessato ai tagli, il no sia stato talvolta battuto o abbia vinto con un margine minore. Nel complesso – grazie anche all’azione dei sindacati conflittuali e delle poche, ma presenti, avanguardie politiche in aeroporto – una visione comune, di classe, una lettura strategica di quanto stava accadendo, che non si fermasse all’inizio del piano, si è imposta in modo vittorioso.
Il governo e l’azienda, gestita da anni da gruppi affaristici che l’hanno condotta alla catastrofe continua, hanno accusato il colpo. A nulla sono serviti i sindacalisti confederali, che non hanno più la presa maggioritaria sui lavoratori. È bastato un piccolo comitato per il no, nato principalmente dalla CUB, che però faceva leva sui reali sentimenti della stragrande maggioranza dei lavoratori, per rovesciare la forza di decine di distacchi sindacali, di strutture organizzate e potenti, che nulla hanno potuto di fronte alla rabbia e alla dignità dei lavoratori.
Da subito è partito il terrorismo sul futuro di Alitalia. Da subito è partita l’accusa rivolta ai lavoratori, come già era successo nel caso di Almaviva, di essere i veri responsabili del fallimento dell’azienda con il loro no irresponsabile. Sono poi spuntati: i dati presunti dei costi eccessivi del personale, che risultano nella realtà inferiori ai dati di tutte le altre compagnie aeree corrispondenti; i privilegi dei lavoratori assunti in Alitalia, come se lavorare in pista garantisse chissà quale privilegio.
Il governo non ha parlato invece del carattere criminale della privatizzazione di Alitalia, che ha consegnato la compagnia di bandiera in mano a speculatori di ogni specie. Non ha parlato dell’assenza di qualsiasi strategia nazionale che punti a tutelare il lavoro, sia nel settore in questione, sia nei settori connessi, come il famigerato turismo di cui tanto si parla, ma i cui guadagni sono lasciati nelle poche mani di grandi compagnie internazionali. Non si è detto che mentre Alitalia era in perdita i dividendi agli azionisti non sono mancati, come non sono mancate le buonuscite per i manager. Con le stesse cifre si potrebbero coprire gli stipendi di anni di tutto il personale.
Tutto questo risponde all’esigenza di isolare e criminalizzare i lavoratori di Alitalia facendoli apparire come parassiti, mentre i veri parassiti sono quelli che in questi anni si sono arricchiti sul loro lavoro e sul frutto delle privatizzazioni e dei contributi erogati a fondo perduto dallo Stato. Criminalizzare i lavoratori di Alitalia, farli risultare responsabili agli occhi degli altri lavoratori, facendo leva sul loro sentore di semplici cittadini-consumatori è la leva con cui si vuole evitare ogni emulazione, ogni solidarietà, ogni ricaduta di lotta del gesto di dignità dei lavoratori di Alitalia.
La prima prova di maturità a cui è chiamata la classe operaia è rigettare questa logica. È comprendere che i lavoratori sono prima di tutto tali, e poi cittadini. Che appoggiare anche passivamente l’attacco ad una “categoria” bollata come “privilegiata”, è sostenere le premesse per l’attacco anche al proprio lavoro, con gli stessi mezzi. Come i lavoratori di Alitalia hanno compreso di essere prima lavoratori che assistenti di volo, operai, addetti alla manutenzione, lavoratori di pista, così oggi tutti i lavoratori devono mettere da parte i pregiudizi di categoria e reagire uniti all’attacco padronale.
Proveranno a dividere i lavoratori anche in azienda, lo stanno già facendo. Tanto più sarà efficace l’azione unitaria dei lavoratori, tanto meno il governo e i padroni potranno ottenere. Lo sanno e vogliono ad ogni costo dividere la classe operaia. La spaccatura che segue al referendum dovrà essere subito riassorbita. Chi ha scelto di votare sì per paura di non avere un posto di lavoro, di non poter dare nulla ai propri figli non deve essere considerato un nemico. È una divisione artificiosa che è il prodotto ultimo del ricatto del governo e dell’azione collaborazionista delle dirigenze dei confederali, ma non è una frattura insanabile.
Accanto a questo tutti noi, tutti i lavoratori, dobbiamo essere pronti a sostenere i lavoratori di Alitalia. Gli aeroporti dovranno diventare una Stalingrado se necessario a difendere un punto che è premessa per lo sviluppo di tutte le altre lotte in Italia. Dove la classe operaia ha alzato la testa, lì ogni lavoratore deve garantire il proprio sostegno. Perché se si perde sarà per tutti più difficile, se si vince tutti avremo più speranze.