Il 2 maggio 2014 verrà ricordato come uno dei giorni più violenti di tutti i primi anni 2000, una ferita ancora aperta al centro di quell’Europa che pretende di dare lezioni di civiltà in tutto il mondo, ma che in realtà ha mostrato tutta la sua ipocrisia e collaborazionismo criminale indifferente ai fatti prima, e riscrivendo la storia tragica del massacro di Odessa poi.
Siamo in Ucraina, il paese è da poco sconvolto dalle rivolte che hanno portato ad un colpo di stato, un vero e proprio golpe o se preferiamo chiamarlo alla maniera statunitense, un regime change. L’operazione inizia nel novembre del 2013 e culmina, a suon di proteste di piazza e atti di terrorismo false flag come la strage ad opera di cecchini su Piazza Maidan (100 persone uccise da tiratori scelti mercenari poi scoperti essere georgiani), con l’istaurazione di un regime ad interim di ispirazione ultranazionalista nel febbraio del 2014; le proteste però continuarono fino a dicembre dello stesso anno. Formalmente si imputava al governo di Viktor Yanukovic, legittimamente eletto (le elezioni sono state certificate da tutti gli organismi e gli osservatori internazionali) e illegittimamente destituito, la sospensione degli accordi di alleanza tra Unione Europea ed Ucraina, una non meglio precisata corruzione governativa, ma soprattutto il legame politico del governo Yanukovic che prevedeva di entrare all’interno della sfera di influenza esercitata dalla Russia. Questo è giustificato dalle evidenti similitudini culturali, come l’ampia percentuale di russofoni all’interno di un paese, l’Ucraina, che ha al suo interno regioni, come il Donbass e la Crimea, appartenute alla stessa Russia fino al secolo scorso. È evidente che a quanto detto si sommava la necessità geopolitica e strategica della stessa Russia a mantenere uno stato cuscinetto tra sé e i paesi Nato all’interno dell’UE. Le necessità dei russi, per dinamiche geopolitiche che la storia insegna, non hanno niente a che vedere con la morale e i sentimenti, concorreva alla sicurezza dell’intero continente e stiamo vedendo oggi le conseguenze della forzatura di questa scelta. Questo era chiaro non solo per i russi, ma anche a chiunque aveva interesse a destabilizzare quella regione incastonata tra la Nato e la Russia. Non di meno – e si tende a dimenticarlo – questo era il volere popolare che ha ispirato il governo di Viktor Yanukovic.
Il golpe venne sostenuto da tutti i governi NATO. È noto che l’organizzazione del patto atlantico inviò agenti infiltrati per sollecitare le operazioni militari collaterali alle semplici proteste di piazza. L’operazione fu finanziata in gran parte dal governo degli Stati Uniti con la vergognosa cifra di 5 miliardi di dollari. Soldi sporchi di sangue.
A Odessa, il 2 maggio, quindi nei giorni successivi all’istaurazione del governo ultranazionalista ad interim, una parte di popolazione non ci sta e si raduna in piazza Kulikove, dove viene organizzato un presidio pacifico permanente in difesa della democrazia e del governo legittimamente eletto di Viktor Yanukovic. I manifestanti proposero altrimenti un referendum che concedesse maggiore autonomia alle regioni russofone poste più ad oriente rispetto a Kiev. Il governo decide di sedare i manifestanti inviando a Odessa le cosiddette “Forze di Autodifesa di Maidan”, vere e proprie organizzazioni paramilitari di stampo ultranazionalista facenti parte l’organizzazione politica “Pravy Sector” (Settore Destro). Questi battaglioni composti da avanzi di galera e ultras, circondano in poco tempo piazza Kulykove, mettendo in trappola i manifestanti, uomini e donne, che chiedevano di fatto una soluzione politica pacifica, nonostante i già violenti scontri perpetrati nei mesi antecedenti.
Circondati, i manifestanti vengono assaltati, caricati e massacrati dai paramilitari. Stretti nella morsa, non possono scappare fuori dalla zona circoscritta e scoppia un vero e proprio caos. Molti di questi uomini e donne, in preda alla paura, decidono di entrare all’interno della Casa dei Sindacati, il palazzo che si affaccia su piazza Kulykove. Consapevoli della netta minoranza e della sorte certa, decidono di ereggere delle barricate improvvisate con elementi di arredo trovati all’interno, questo è testimoniato in parte dalle foto fate subito dopo la strage.
Subito i gruppi paramilitari decidono di circondare l’edificio, un grosso numero di bombe Molotov vengono gettate in corrispondenza dell’ingresso alla Casa dei Sindacati che prende fuoco. Lentamente l’incendio si sprigiona su tutta l’area adiacente all’ingresso minacciando di espandersi ulteriormente, i manifestanti sono bloccati all’interno del palazzo, calore ma soprattutto fumo tossico, si diffonde velocemente in tutta la struttura con le persone all’interno condannate sempre di più ad una morte atroce. Non aiuta l’intervento dei pompieri, chiamati e accorsi in piazza per domare l’incendio, i paramilitari del regime di Kiev decidono di attaccarli impedendo loro di intervenire per sopraffare le fiamme.
I manifestanti, una volta compreso di essere sostanzialmente intrappolati in una prigione di fiamme e fumo, provano ad uscire da vie alternative laterali; chi ci riuscì venne però ucciso da colpi d’arma da fuoco dalle stesse milizie che circondavano l’intero perimetro del palazzo. Stessa tremenda e letale sorte per chi in preda alle fiamme e bloccato ai piani superiori, decise di lanciarsi dalle finestre, una volta spiaccicati sull’asfalto trovarono un neonazista pronto per finirli. Non vi fu scampo neanche per i manifestanti che rimasero sul retro della struttura meno coperta dalle fiamme: subirono la repressione a colpi di spranga degli ultranazionalisti che riuscirono ad entrare forzando l’ingresso secondario della Casa dei Sindacati. Chi morì subito e chi ancora rantolante, venne finito arso vivo avvolto dalle fiamme.
Gli atti di violenza subiti dai manifestanti arrivano ad un livello difficile da descrivere, realmente inenarrabili, che fecero sprofondare la civiltà umana ad un livello che ci sembrò dimenticato fino a quel giorno. Nelle foto scattate subito dopo la strage è possibile vedere un campionario completo di violenza perpetrata dalla mano disumana della ferocia nazista e suprematista. Corpi bruciati, teste fracassate, arti spezzati, atti di una efferatezza inaudita; fatti atroci come non se ne vedevano, con le dovute proporzioni ma con pari motivazioni repressive, da quel lontano 21 luglio 2001 all’interno della scuola Diaz durante il G8 di Genova, un’altra mattanza di cui non si parla mai abbastanza.
I morti accertati in quella che da quel giorno prenderà il nome de “La Strage di Odessa”, saranno in tutto 48, ma il conteggio non è mai stato davvero accertato. Molte inchieste che seguirono gli atroci fatti parlano di un numero ancora superiore, ma soprattutto molti più feriti, tanti dei quali per paura di ritorsioni vennero curati clandestinamente. Nell’elenco delle vittime trova posto anche il compagno Vadim Papura, all’epoca diciassettenne, appartenente al movimento giovanile comunista di Ucraina e del Partito Comunista d’Ucraina (Partito messo fuorilegge dal 2015). Nella mattanza gli animali ultranazionalisti non hanno risparmiato neanche una donna incinta, una delle impiegate che prestavano servizio di pulizia all’interno degli uffici; strangolata e stuprata aveva tentato di resistere. Il suo corpo senza vita è stato fotografato su una scrivania a pancia in su, scoperta e con l’evidente stato di gravidanza in bella vista. Lo scatto verrà mostrato poi come trofeo in un annuncio diffuso dagli ultranazionalisti: “abbiamo eliminato la mamma! Gloria all’Ucraina”; in questo slogan si gioca con il fatto che la città di Odessa viene altresì definita “Mamma Odessa” dunque si mette in relazione il nome popolare con l’omicidio della povera impiegata incinta.
In merito a questi fatti nessun governo NATO ha fatto pressione al regime di Kiev di chiarire l’accaduto, il sangue dei manifestanti di Odessa è stato a lungo mischiato in questi otto lunghi anni nell’indifferenza atlantista, omertosa e ipocrita. Perfino Human Rights Watch e Amnesty International sono arrivati a chiedere al governo ucraino un’indagine approfondita e imparziale sulle violenze, senza tuttavia ottenere risposta, né dal regime di Kiev, né dai governi occidentali affinché esercitassero qualche pressione in tal senso. La foglia di fico che copre la vergogna dei fatti di Odessa è rappresentata dalla Commissione Parlamentare d’inchiesta al governo di Kiev alla quale tutti i principali responsabili politici si sono rifiutati di rispondere; dunque, l’iter si è concluso con un verbale finale manipolato nel dichiarare le responsabilità degli eventi. Per il governo non esiste alcun colpevole che ha provocato la strage di Odessa, non è stato fatto alcun processo in merito.
La scure della censura è poi ricaduta successivamente anche negli organi di informazione generalisti e di fede atlantista. Wikipedia ha infatti rinominato la “Strage di Odessa” come “Incendio di Odessa”, identificando lo scontro non come atto repressivo di indubbia matrice ultranazionalista e anticomunista in risposta a proteste contro la negazione di un governo legittimamente eletto e destituito con la forza, ma al contrario giustificando il nuovo governo come diretta determinazione delle proteste di EuroMaidan, quindi quasi legittimato da quest’ultime come segno di spontanea autodeterminazione del popolo. Se prima gli antefatti alla strage ponevano come causa il processo di impeachment subito da Viktro Yanukovic, nella pagina Wikipedia revisionata, Viktor Yanukovic si sarebbe dato alla fuga a seguito della cosiddetta Rivoluzione: una differenza politica enorme. Inoltre, quello che nella vecchia versione di Wikipedia fu un rogo appiccato di proposito, preceduto e seguito da violenti linciaggi nei confronti degli aggrediti, causando 48 vittime, nella versione revisionista dell’accaduto le morti diventano 42, manifestanti che si trovavano fortuitamente nell’edificio dove divampò non più un rogo, ma un incendio.
Se molte delle vittime risultano ancora sconosciute per via del silenzio calato sopra questa drammatica vicenda, i carnefici hanno nome e cognome. Il 21 febbraio scorso, infatti, il governo russo e la Duma di stato hanno dichiarato di conoscere le identità dei macellai che hanno causato la strage, la Federazione Russa adotterà tutte le misure necessarie per trovare i suddetti autori e assicurarli alla giustizia per punirli.
A tutte le vittime e i parenti delle vittime della strage di Odessa, compiuta dalla mano nazista del regime di Kiev, va il nostro più accorato ricordo. Da quel giorno molte cose sono cambiate e si sono evolute per il peggio: il silenzio dei mandati della strage, voluto dai burattini della NATO e il burattinaio statunitense, ha ristagnato in un clima sempre più infame nel segno della menzogna per i soliti scopi suprematisti. Stiamo assistendo tutt’ora ad una pericolosa escalation che sembra essere l’anticamera di un ulteriore innalzamento del conflitto su larga scala o per lo meno non si sta facendo niente che concorra ad evitare tutto questo.
Tutti noi compagni dobbiamo impegnarci ogni giorno affinché questo non avvenga, sul posto di lavoro, all’interno delle nostre famiglie, tra gli amici, cercando la forza di organizzare una grande sollevazione di massa contro i disegni infami dei burattinai oltreoceano, facendo pressione popolare sui nostri governi.
Lo dobbiamo a Vadim e a tutti i compagni che hanno dato la vita per le nostre idee, affinché la loro atroce morte non sia vana.
Noi non dimenticheremo.