NON SI PUÒ TRANSIGERE SUI PRINCIPI

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NON SI PUÒ TRANSIGERE SUI PRINCIPI

di Alberto Lombardo (Ufficio Politico)

Ogni passo di movimento reale è più importante di una dozzina di programmi. Ma se si fanno dei programmi di principio (invece di rinviarli sino al momento in cui un programma sia stato preparato da una più lunga attività comune), si elevano al cospetto di tutto il mondo le pietre miliari dalle quali si giudica il livello del movimento di partito.

(K. Marx – Lettera di accompagnamento alla Critica del programma di Gotha)

Uno dei destini più barbari che la “storia” ha riservato ai nostri Maestri, Marx in primis, è quello di essere citati a sproposito. L’esempio che riportiamo sopra è tra i più emblematici. Provate a leggere solo la prima frase, che è quella che più spesso viene riportata. È evidente che il senso generale del pensiero di Marx non solo viene stravolto, ma viene completamente capovolto. E questo è quanto spesso succede quando si “manovrano” i “classici” non per afferrarne il vero insegnamento, ma per veicolare idee stravolte, buone solo a dimostrare una tesi precostituita. Quante volte abbiamo sentito dire che Marx “avrebbe sbagliato le previsioni”, che Marx ha una concezione “deterministica” della storia, contrapposta a una “idealistica” e addirittura “crociana” di Gramsci? Che Engels ha fatto del materialismo dialettico una forma di positivismo …

Ognuna di queste affermazioni viene “dimostrata” col taglia e cuci. Niente di più facile oggi, nell’era del fantastico mondo di Facebook in cui siamo tutti liberati dalla necessità di leggere i classici dall’inizio alla fine, tanto c’è Wikipedia che ci spiega tutto e la rete dove i nostri influencer ci ammanniscono tutto quello che ci serve e ci gratifica. Leggo un articolo su internet scritto dal guru che di volta in volta ho scelto come riferimento e già so tutto: dalla tecnica monetaria, alla medicina.

Chi approfitta di tutto questo è ovviamente chi ha in mano non tanto tutta la produzione dei contenuti della rete, cosa ovviamente impossibile, quanto la sua manipolazione e veicolazione.

Riesce così agli agenti della borghesia di potere aggredire alle spalle il proletariato, travestendosi da suoi alleati. Questa è una tecnica che solo negli ultimi decenni si è potuta mettere in opera, grazie proprio alle più sofisticate tecniche (quello che si fa) e tecnologie (con quali strumenti si fa) del controllo dell’informazione.

Ai tempi dello zar, il massimo che il potere poteva fare era sguinzagliare spie e agenti provocatori e infiltrarli nei movimenti spontanei per individuarne i più attivi e colpirli individualmente: è vietato e pericoloso parlare contro il potere costituito. Col XX secolo si inaugurano sofisticati procedimenti di sottomissione e adesione ideologica delle classi dominanti che il potere liberale non aveva fino ad allora sperimentato a pieno. L’imperialismo ha sempre saputo ricorrere a forme di irreggimentazione per fare le proprie guerre e portare i proletari a scannarsi tra di loro; ma ancora gli oppositori venivano marchiati a fuoco come “disfattisti”. Lo stesso movimento politico delle “suffragette” che invocavano il diritto di voto per le donne fu oggetto di una repressione poliziesca e una intimidazione violenta. Il fascismo fu un passo in avanti nell’uso della massa organizzata dal capitale come arma contro il movimento operaio attraverso l’uso del travestimento e l’assunzione di forme estetiche che scimmiottavano, capovolgendone il senso, quelle socialiste; tutto ciò però veniva associato a una repressione del dissenso ancora più spietata e terroristica.

Oggi però il potere borghese è in grado di organizzare il dissenso. Cioè non di reprimere un movimento in conseguenza di una manifestazione di opposizione, ma addirittura di suscitarlo prima, preventivamente, cogliendo i segnali di malumore e “creando” movimenti “spontanei” per usarli alternativamente o congiuntamente contro il malumore popolare, contro altri poteri borghesi concorrenti, contro governi ostili o scomodi (“primavere arabe” e “rivoluzioni colorate”, “manifestazioni contri i dittatori socialisti” dell’America Latina e “fatti di Hong Kong”). Non che non esistano più “movimenti” genuini in Italia, come testimoniano i NoTav, i NoMuos, e altri. L’esperienza dei compagni che militano da anni dentro di essi fanno da argine all’intrusività del pensiero borghese. Ma appunto vediamo che la differenza numerica tra movimenti storici che riescono a raccogliere un numero di adesioni pari a una frazione di movimenti nati ieri. Oggi le grandi manifestazioni con partecipazioni oceaniche li organizza il potere borghese e con una forza mediatica impressionante.

L’estetica dei movimenti eterodiretti prevede un’articolazione sempre uguale basata sulla riconoscibilità semplificata basata su un elemento unificante, per esempio gli ombrelli a Hong Kong.

In Italia ne abbiamo visti di tutti i colori: “viola”, “gialli”, “verdi”. Avendo esaurito la scala cromatica, ora si passa all’ittica. L’elemento di riconoscibilità semplificata qui è la “sardina”. Si badi bene che l’attinenza con lo slogan dal quale ha preso origine non ha nessuna importanza, può essere qualunque cosa. La forza del messaggio sta nella sua semplicità e nella replicazione ossessiva.

Ma non è solo un fatto di marketing, ossia di estetica accattivante. Non è un prodotto che si deve vendere una tantum. È un messaggio che deve andare a intercettare pulsioni intime già presenti nella categoria dei soggetti presenti. Costoro devono essere scossi dal proprio torpore nel quale giacciono per una motivazione che devono già nutrire dentro di loro. Di solito questa motivazione deve esacerbare paure vere o indotte precedentemente ad arte. A Hong Kong si intercetta la paura che il sistema giudiziario cinese possa limitare i diritti fin oggi posseduti, anche se la probabilità di un cittadino di Hong di incappare in quelle disposizioni (estradizione dei criminali) è inferiore a quello di subire un incidente stradale, a meno che non sia un delinquente matricolato. Ma non sono delinquenti quelli che scendono in piazza. Sono cittadini che sono stati sobillati dalla paura. Quindi paradossalmente quei giovani che scendono in piazza si trovano a difendere criminali che in qualunque paese dovrebbero marcire in galera.

In Italia, un paese in cui per fortuna ancora esiste un sentimento antifascista preservato dalle tradizioni familiari, in un momento in cui la destra razzista e xenofoba ha sollevato il suo “popolo” per una chiamata alle armi con motivazioni altrettanto strumentali – peraltro accusando il governo di oggi per cose che ha fatto essa stessa nel governo precedente – l’appello contro il pericolo del “fascismo” casca a fagiolo.

Facciamo alcuni esempi relativi ad altre situazioni.

La lotta contro la mafia è stata una delle battaglie che i comunisti e tutto il movimento operaio siciliano ha condotto fin dall’immediato dopoguerra con un tributo di sangue che occorrerebbe un intero articolo solo per ricapitolarlo per sommi capi. Ebbene, ogni anno a Palermo migliaia di studenti, giovanissimi, sono “deportati” con una nave per partecipare a una manifestazione officiata dai principali esponenti di questo potere borghese, una manifestazione che veicola una visione della mafia completamente distorta, del tutto comoda alla visione secondo la mafia è una “cultura” sbagliata da sradicare che non ha alcuna attinenza con aspetti economici o sociali (di classe manco a parlarne!). Persino figure storiche come il militante comunista Peppino Impastato vengono piegate a questa insulsa e innocua “narrazione”. Il “cortocircuito” che si crea è il seguente: “la mafia è una cosa brutta, lo Stato combatte la mafia, quindi lo Stato è una cosa bella”; chi attacca o anche solo critica lo stato (borghese) è mafioso; questo è il momento di unirci tutti per combattere “la piovra”. Sia detto tra parentesi, nei quartieri popolari di Palermo il popolo minuto odia qualunque divisa perché essa rappresenta proprio quello Stato dal quale hanno sempre ricevuto le peggiori sopraffazioni e quindi il corto circuito funziona al contrario: lo Stato è cattivo, lo Stato combatte la mafia e quindi la mafia è bella. Un ottimo risultato per chi dice che vuole sradicare la mafia! E infatti chi davvero combatte tutti i giorni la mafia nei quartieri popolari dice che ci vogliono meno divise da poliziotto e più divise di insegnanti. Fino a qualche anno fa esponenti comunisti e dell’opposizione sociale riuscivano a portare una posizione autonoma, fino a quando si scatenò la repressione poliziesca e fioccarono le denunce penali. Da quel momento la piazza fu “blindata” e una partecipazione – per quanto critica e separata – fu impossibile e tutte le componenti del movimento e persino esponenti democratici se ne dissociano. Se oggi si volesse tentare di andare in quella piazza con una posizione alternativa, l’unico risultato sarebbe di portare acqua al mulino del potere borghese: fare numero nel caso migliore, farsi arrestare nel peggiore. Comunque si susciterebbe certamente in quell’orgia di “antimafia da parata” la repulsione dei presenti.

E quindi ci si deve limitare a una campagna da esercitare coi soliti metodi nutriti di costanza e umiltà, fatti di incontri, dibattiti, discussioni individuali per far coagulare piano piano, tra numeri al momento certamente piccoli, la coscienza e la consapevolezza di quello che accade. Cercare di superare questa fase pensando che “visto che c’è una grande massa riunita lì fuori” si possa “andare pesca” è completamente irrealistico.

Altro esempio opposto. Manifestazione di lavoratori indetta dai sindacati concertativi su una piattaforma riduttiva, perdente, che definire di retroguardia è nobilitarla. Intanto sottolineiamo una differenza fondamentale con un movimento generato dal potere borghese come organizzazione del dissenso: la manifestazione dei lavoratori invece nasce da una necessità di classe, ma viene sviato e ingabbiato dagli agenti della borghesia. Già questo fatto lo colloca in una prospettiva che non può essere assimilata alla prima. Cosa fa il partito? Naturalmente ci va. Porta le sue posizioni, parla coi lavoratori che naturalmente saranno divisi tra chi respinge le nostre parole e chi magari si ferma a parlare. Anche se il risultato dovesse essere nullo in termini di consensi espliciti ottenuti nell’immediato, anche se non ci siamo immersi in un mare grande ma abbiamo parlato solo con alcune decine di lavoratori, il risultato politico è alto. Avremo la possibilità di ritornare su quel posto di lavoro domani e dopodomani guadagnando credibilità anche solo per il fatto che non andiamo solo per chiedere il voto, ma che mostriamo il nostro interesse di classe. Per loro natura quei lavoratori sono portati naturalmente a riconoscere come le nostre posizioni sono quelle che essi vorrebbero abbracciare ma non osano, perché intrappolati dalla logica rinunciataria del sindacato concertativo. Il terreno è fertile.

Quanto alle manifestazioni “Friday for future” o delle “sardine”. Non è che si deve stabilire se andare o no in base alla quantità di partecipanti, ma in base alla possibilità che il nostro messaggio possa essere recepito anche se da una minoranza, avendo inoltre ben chiara la natura della genesi di quel movimento. E non solo perché i nostri militanti potrebbero essere impegnati in un’attività più redditizia politicamente, ma perché andarsi a mescolare in certe situazioni è proprio negativo. Analogo discorso si potrebbe fare per qualunque altra manifestazione di massa: da “Non una di meno” alle manifestazioni dei “forconi”. Certo a una manifestazione di “sovranisti” dove c’è già il cappello della destra è proprio squalificante anche solo farsi vedere, invece settori “sovranisti” che non hanno nessuna collocazione di classe, che sono pervasi di tecnicismi al limite del complottismo, con molta fatica potrebbe essere utile dialogare. Una regola precisa è proprio difficile darla, devono essere i militanti e i dirigenti del luogo che possono giudicare, certamente in sintonia e coordinamento centrale e non di testa propria. Comunque il criterio non può essere “piatto ricco, mi ci ficco” come si fa a poker.

Per i comunisti un aiuto all’analisi e alla successiva modalità di intervento rispetto al rapporto coi movimenti è una sola: DISTINGUERE tra quelli CONTRO il sistema e quelli CON il sistema. Se in Francia, ad esempio, i ‘gilet gialli’ stavano tendenzialmente nella prima categoria (e infatti il potere borghese li attacca con una virulenza poliziesca “sudamericana”), da noi le ‘sardine’ stanno per la maggior parte nella seconda (e vengono blandite ed esaltate).

Che questo movimento sia eterodiretto non c’è alcun dubbio, che di spontaneo non ci sia nulla e che dietro ci sia una accurata preparazione è palese. Si tratterebbe di capire perché certi settori della borghesia monopolistica si danno tanta premura per creare tutto ciò. Naturalmente il conflitto che si è aperto in questi giorni sul MES è uno dei punti di frizione molto acuta tra settori del capitalismo italiano quelli europeisti e quelli antieuropeisti. Occorrerebbe un altro articolo per esaminare i nessi che legano gli interessi economici dei vari settori della borghesia italiana alle rispettive proiezioni politiche. Basti qui sottolineare che dev’essere chiaro come il sole per i comunisti che non c’è un capitalismo buono e uno cattivo. In realtà il risultato che si ottiene è il seguente cortocircuito: “sei contro Salvini, Salvini è contro il MES, tu devi stare col MES, quello che ne dicono contro sono solo bugie dei fascisti”.

Questo “cortocircuito” vuole intruppare tutti contro il nuovo pericolo “fascista”, dal PD alle sardine, dalla nuova legge elettorale PD-Lega alla risoluzione che equipara comunismo e nazismo. Per fare questo devono però demonizzare la Resistenza e soprattutto i comunisti, con ricostruzioni storiche incredibilmente menzognere tipo: «pagine truci, come scontri a fuoco scatenati dai comunisti “che intendevano mantenere una supremazia numerica e politica su ogni altra forza”. Vicende molto comuni in Emilia e in Romagna, cuore dei partigiani rossi, che non esitarono a venire a patti strategici con i nazisti per eliminare i partigiani rivali». Chi non capisce questo infame gioco neanche troppo sottile o è privo di capacità di analisi o è complice.

Magari in una piazza la ricezione del nostro messaggio può essere più probabile, mentre in altre vi sono delle condizioni proprio negative. Per esempio a Palermo i compagni hanno giudicato proprio inattuabile l’intervento. La predominanza dell’elemento politico egemonizzato dall’orlandismo e del PD era così schiacciante da rendere inutile persino il tentativo. Altri elementi dell’opposizione hanno invece effettuato questo tentativo non portando le bandiere, ma solo uno striscione di un’associazione. Sono stati isolati e alla fine scacciati. Ebbene neanche il risultato di capitalizzare questo atteggiamento come denuncia della protervia degli organizzatori hanno ottenuto. Quei pochi che avevano simpatia per loro, l’hanno mantenuta; tutti i “democratici” che erano lì ed hanno assistito alla scena, li hanno bollati da provocatori che volevano mettere il cappello politico sulla manifestazione ottenendo alla fine un risultato negativo. Non escludiamo che in altre piazze con una egemonizzazione meno caratterizzata e una capacità di mobilitazione del nostro partito i risultati potrebbero essere diversi. Ma abbiamo tutti visto a Firenze, in una regione rossa in una piazza anche volendo un minimo ricettiva, la maggioranza assoluta dei manifestanti si sono scagliati contro un compagno che esponeva una bandiera rossa con falce e martello.

Una cosa essenziale lega tutte queste situazioni e deve caratterizzare la nostra voce a livello centrale.

In questo contesto, è essenziale che il partito comunista alzi il più forte possibile la sua voce per smascherare la strategia della borghesia davanti alle classi popolari. Qualunque limitazione in questa campagna, condotta ricordiamo con armi largamente impari, è esiziale.

A proposito della manifestazione sindacale, per esempio, dovendo andare i nostri militanti a portare un volantino e a tentare di parlare a quei lavoratori, il partito nella sua propaganda nazionale centrale potrebbe mai pensare di attutire la polemica contro le dirigenze sindacali? Certo che no! questo rende la penetrazione nell’immediato del messaggio dei nostri compagni più difficile? Certo che sì! Sarebbe più facile seguire la tattica “entrista” che certi settori teorizzavano negli decenni passati. Ciò arriva a garantire ad alcuni militanti magari di assumere qualche ruolo di visibilità secondario dentro un’organizzazione reazionaria, ma a scapito della forza del proprio messaggio. Ma alla lunga esprimere una posizione intransigente a livello nazionale su questo o quel tema, non indebolisce l’intervento dei militanti nei luoghi di lavoro o nei territori dove intervengono. Anzi, una posizione netta e intransigente, anche tagliente se occorre, non può che aiutare il militante che conduce un’azione di agitazione o propaganda in un terreno ostile ma fertile. Invece in un terreno infertile non che sia negativo andare, se si ritiene che comunque l’effetto di “visibilità” possa superare gli altri aspetti negativi.

Il nostro compito di agitatori e propagandisti non è quello di vendere saponette, non è quello di imbellettare il nostro messaggio per renderlo accettabile e far sì che il nostro cliente acquisti almeno una volta il nostro prodotto. È infinitamente più difficile. Consiste nel far acquistare un prodotto scomodo, di cui il nostro interlocutore proprio non vuole sentir parlare, perché lo andiamo a disturbare nel suo guscio della “narrazione” rassicurante che il potere ha creato per lui, anche se essa non costituisce che una menzogna che si scontra con la realtà che egli vive e di cui vive l’oppressione. Solo se riusciamo a entrare in sintonia con i suoi problemi riusciamo a scuoterlo.

I suoi problemi li conosce senza che glieli andiamo a raccontare noi. La soluzione che noi prospettiamo è il socialismo. Nel mezzo dobbiamo essere in grado di far intravedere un percorso di lotta realistico, concreto, ma non opportunistico, gradualista, riformista.

Pensare di poter risolvere questo problema storico del movimento comunista attraverso elementi estetici è riduttivo. Il tema di elaborare una strategia rivoluzionaria in una situazione non rivoluzionaria nei paesi a capitalismo avanzato è il problema storico su cui il movimento dei partiti comunisti e operai si interroga oggi e nessuno di essi fa cenno ai problemi dell’innovazione estetica.

1 Comment

  1. Michele Addonizio ha detto:

    Concentrare le nostre forze nel rapporto con gli operai nei luoghi di lavoro e nei quartieri proletari ,con i giovani e nella crescita del partito

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