Nuova campagna d’Africa. Gentiloni manda truppe in Niger

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Nuova campagna d’Africa. Gentiloni manda truppe in Niger

In terra d’Africa non soffia buon vento. È recente la notizia della dichiarazione dei principali capi di governo europei, a margine del G5 Sahel, riunitosi nel castello di La Celle Saint-Cloud, vicino Parigi. Il G5 Sahel vede periodicamente riuniti i governi di cinque paesi dell’omonima regione, cioè di Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger. Nella conferenza stampa seguita all’incontro, i leader europei hanno annunciato la partecipazione dei rispettivi paesi a una forza congiunta dei 5 paesi, creata ufficialmente per il contrasto al terrorismo.

Le dichiarazioni dei leader europei

Fra le dichiarazioni spicca quella del Primo Ministro italiano Paolo Gentiloni, che annuncia che il Governo «si impegnerà seriamente, dopo l’approvazione in Parlamento, per l’addestramento di forze che possano contribuire alla stabilità e alla lotta contro il terrorismo nel Sahel. Partiremo con un’operazione bilaterale con il Niger che naturalmente ha un interesse specifico anche per quanto riguarda i flussi migratori dalla Libia».

La cancelliera tedesca, Angela Merkel, definisce l’intervento “urgente”: «Non possiamo permetterci di aspettare, il terrorismo islamico si propaga rapidamente». Sulla stessa linea il presidente francese Emmanuel Macron, che chiede a UE e Unione Africana stanziamenti di almeno 500 milioni, contro i “soli” 240 milioni attualmente sul piatto (di cui 100 stanziati dall’Arabia Saudita, 30 dagli Emirati Arabi, 50 dalla UE e 60 dagli USA).

L’intervento italiano, Gentiloni: «è interesse nazionale»

La missione italiana vedrà l’impiego 470 militari e 130 veicoli italiani. Una dichiarazione, quella del premier Gentiloni, che apre in realtà anche ad altri interventi futuri. Gentiloni definisce l’impegno italiano collegato «all’andamento di diverse campagne militari internazionali», e cita quella in Iraq, dove «sono presenti circa 1000 militari ed è possibile che una parte di queste forze non siano più indispensabili nel prossimo periodo».

L’Italia è fra i paesi interessati, fra le altre cose, anche dalla questione relativa all’immigrazione, che specie in campagna elettorale diventa un tema scottante. Gentiloni ha infatti richiamato proprio questo argomento, affermando che l’intervento militare in Niger è legato a «un interesse crescente, nazionale oltre che europeo, ad essere più presente: nelle prossime settimane, dopo l’approvazione del Parlamento, cominceremo con una missione di addestramento delle forze nigerine che parteciperanno alla forza congiunta del G5 Sahel».

 

Gli interessi economici in Africa e nel Sahel

È noto da tempo che il Sahel rappresenta un’area economicamente importante, se non irrinunciabile per paesi che basano buona parte dell’economia sullo sfruttamento di risorse provenienti dall’Africa. L’intera regione del Sahel è infatti ricca di petrolio e uranio, quest’ultimo particolarmente importante per la tenuta delle centrali nucleari francesi. La Francia possiede tre miniere di uranio tra il Niger e il Mali, paese che non a caso ha visto un intervento militare francese nel 2013, formalmente volto a “ristabilire la sicurezza”, ma l’obiettivo reale –facilmente indovinabile- di garantire gli interessi di colossi dell’energia come Total in seguito al colpo di Stato che vide la reazione degli islamisti. Si stima che solo in Niger la Areva, multinazionale francese dell’energia nucleare, estragga il 30% del fabbisogno di uranio delle sue centrali nucleari in tutta la Francia. Interessi profondamente minacciati dall’esplosione dello jihadismo.

 

Il piano di Confindustria per “sviluppare nuovi mercati” in Africa

L’interesse economico non è solo francese, ma viene anche da importanti settori del capitale italiano. Secondo l’OCSE, l’Italia è il terzo maggiore investitore in Africa con 11,6 miliardi di dollari, preceduta dalla Cina (38,4 miliardi) e dagli Emirati Arabi (14,9 miliardi). In prima linea fra le multinazionali Italiane c’è l’ENI, che opera in 16 paesi africani con oltre 8 miliardi di investimenti.

Un ruolo importante nella definizione degli interessi italiani in Africa è sicuramente giocato dalla Confindustria. È indicativa in tal senso una dichiarazione risalente allo scorso giugno di Giorgio Squinzi, ex presidente di Confindustria, che affermò che «l’Africa è il continente del futuro su cui la UE dovrebbe puntare maggiormente con la sua politica estera». Ma ancor di più la recente dichiarazione di Vincenzo Boccia, attuale presidente, che elogia il Governo italiano per aver spostato l’atteggiamento della UE sull’Africa «da visione emergenziale a visione europea».

In un articolo pubblicato oggi sul Sole 24 Ore, quotidiano di Confindustria, si parla proprio della proposta di «un piano per l’Africa» per lo «sviluppo di nuovi mercati» e «basato sulla formazione linguistica, tecnica e manageriale di giovani africani; sulla diffusione di scuole superiori per dirigenti bancari e industriali, sul finanziamento di start-up industriali». Proposte curiose se si pensa che sono riferite a paesi con elevati tassi di analfabetismo, malnutrizione e mortalità infantile, in cui la priorità non è certo formare dirigenti di banca… ma tant’è.

 

Sicurezza o costante instabilità?

Il leitmotiv della sicurezza, nazionale e internazionale, accompagna da anni ogni intervento militare. A questo viene oggi collegata la questione della gestione dei flussi migratori. Ma è davvero questa la soluzione per i problemi dell’Africa e dell’Europa? I gruppi islamisti che oggi minacciano la stabilità dei paesi del Sahel (e gli interessi delle multinazionali dell’energia) si alimentano proprio grazie agli interventi e alle politiche imperialiste delle potenze globali e regionali, sia direttamente (come avviene in Medio Oriente, dove i gruppi islamisti sono stati foraggiati per anni proprio da paesi come Usa e Francia per destabilizzare governi come quello siriano) sia indirettamente, perché fondano il proprio consenso anche grazie alla retorica contro l’invasione di potenze estere. Un dato da considerare assieme a quello sulla natura di gran parte dei governi africani, formati da élite corrotte se non da veri e propri fantocci delle ex potenze coloniali, privi di ogni legittimità e consenso in un tessuto sociale dominato da logiche tribali e di clan, che in situazioni di crisi diventa terreno fertile per l’estremismo islamico. Quale può mai essere l’effetto di un intervento militare straniero in un contesto del genere, tra l’altro con il consenso prestato da governi, come quello del Niger, privi di ogni legittimità?

Quello che è certo è che mai nessun intervento militare nella storia è riuscito a portare la “stabilità” e la “sicurezza” di cui tanto si parla. A 15 anni di distanza, l’Afghanistan e l’Iraq sono terre devastate, in balia proprio delle organizzazioni jihadiste che si voleva eliminare. L’unica sicurezza che esiste è quella legata agli interessi delle multinazionali, non quella dei lavoratori e dei popoli che subiscono questo tipo di interventi.

 

La contrarietà dei comunisti: «è atto imperialista»

Fra le voci critiche in Italia quella del Partito Comunista. Il segretario Marco Rizzo in una nota ha definito «un atto imperialista» l’intervento italiano: «Un atto che si inserisce nel quadro della politica neocolonialista dei paesi dell’Unione Europea e della Nato per la spartizione del continente africano. Lo stesso Gentiloni ha parlato espressamente di apertura anche ad altri paesi della regione, lasciando intendere che il Niger farà solo da apripista».

 

Interesse della nazione o delle grandi compagnie?

Secondo il leader comunista Rizzo «Si dice di voler arginare l’immigrazione, ma non si dice in che modo lo si farà e a quale prezzo. Di certo non garantendo uno sviluppo per i popoli africani che consenta occupazione e una vita dignitosa nel proprio paese. L’Italia va solo a difendere gli interessi delle grandi compagnie energetiche e minerarie, spesso fonte di impoverimento e sfruttamento dei popoli, cause primarie dell’immigrazione. Questa missione militare peserà sui conti dello Stato, con nuovi fondi sottratti alla spesa sociale, ma per le missioni all’estero non si taglia mai! La pace, la fine dell’immigrazione, potranno essere ottenute solo rovesciando queste politiche. Serve uscire dalla Nato e ritirare le truppe all’estero».

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