Il 22 giugno del 1941 le orde naziste si avventavano contro l’Unione Sovietica, il primo stato socialista del mondo, il loro nemico giurato.
Come finì è impresso nel cuore di tutti i comunisti, di tutti gli uomini e le donne amanti della pace. La bandiera rossa che sventola vittoriosa sul Reichstag.
Quella grande epopea non va giù a tutti i nemici del proletariato, a tutti i nemici dei popoli. E quindi ogni occasione è buona per gettare discredito su quella pagina e immancabilmente su chi guidò la resistenza di tutti i popoli sovietici contro il nazifascismo, G. V. Stalin.
La prima occasione la dette Khruscev, che riversò a palate menzogne su Stalin con il famoso “Rapporto segreto” al XX Congresso del PCUS, tre anni dopo la morte del grande dirigente. Prima si era nascosto e distinto come uno dei suoi collaboratori.
La menzogna che venne propalata, tra le innumerevoli altre, tutte puntualmente smentite dal prezioso libro del compagno G. Furr “Khruscev mentì”,
è quella che Stalin fu completamente preso alla sprovvista dall’invasione, che avesse trascurato i rapporti dei servizi segreti e che, dopo l’invasione, fosse rimasto inerte, quasi inebetito, fino al famoso discorso ai popoli sovietici del 3 luglio.
Questa menzogna viene smentita attraverso documenti che attestano un’attività incessante di oltre 14 ore al giorno di Stalin fin dal primo giorno dell’invasione. Riportiamo la sua agenda del primo giorno, dove si può vedere la fittissima rete di appuntamenti
Per chi conosce il russo, riportiamo anche il seguente video dove il documento viene puntualmente commentato
La seconda menzogna, ripresa a piene mani dagli anticomunisti di tutte le risme, è quella che gli ufficiali dell’Armata Rossa fossero stati decimati dalle “purghe” stalinane e che quindi l’esercito fosse guidati da sbarbatelli sprovveduti.
Ricordiamo che nel 1939 l’Armata Rossa, guidata da un certo Zhukov, diede una legnata storica in Manciuria al più forte e aggressivo esercito dell’epoca in Asia, l’esercito imperiale giapponese. Inoltre l’epurazione degli anni ’30, avendo eliminato tutte le quinte colonne interne colluse con lo spionaggio nazista, preservò l’Unione Sovietica dal disastro. Mentre ricordiamo che queste attività di spionaggio e collusione furono una delle cause che portò al collasso in due settimane nel 1940 del più forte e ben armato esercito dell’Europa continentale, l’esercito francese.
Inoltre la strategia di non ammassare tutte le difese sovietiche in prima linea, dove sarebbero state accerchiate dalla fulminee manovre della Wehrmacht, come era avvenuto in Polonia e in Francia, si dimostrò efficace e consentì all’Armata Rossa di creare delle sacche di resistenza alle spalle del nemico che avanzava, di allungare le sue linee di comunicazione e debilitare la più possente ed armata macchina da guerra che l’umanità avesse mai visto. Questa strategia consentì di fermare l’orda nazista alle porte della tre grandi città sovietiche – Leningrado, Mosca e Stalingrado – trasformate dalla indomita volontà del popolo sovietico in fortezze inespugnabili. I più seri ed informati commentatori, riportando anche le considerazioni dei generali tedeschi, sono concordi che la guerra per i nazisti era segnata già nell’inverno del 1941 alle porte di Mosca, quando essi furono ricacciati indietro. Le condizioni climatiche avverse, il famoso “generale inverno”, fu quello che salvò dal disastro immediato l’esercito tedesco, che riuscì ad attestarsi su linee più arretrate. Quindi non fu certo il gelo a salvare Mosca, ma l’eroismo dell’Armata Rossa, dei partigiani che rendaveno la vita impossibile attaccando alle spalle e dell’indomita volontà del popolo.
Contariamente a quanto Hitler si aspettava l’URSS non crollò ai primi colpi. Questo non si spiega se non con l’attaccamento dei cittadini sovietici alla propria patria e alla dirigenza del Partito Comunista e alla sua guida massima, impersonata da G. V. Stalin.
Sarebbe ora che anche i “commentatori” e gli “storici” se ne facessero una ragione.