Lunedì 22 si è svolto con molto successo uno sciopero proclamato dalle sigle sindacali confederali, CGIL, CISL e UIL. In particolare, lo sciopero vedeva coinvolte le categorie dei trasporti e della logistica e i lavoratori c.d. in somministrazione, ovvero tutto quel mondo di lavoratori precari che completano la galassia dei lavoratori Amazon.
Secondo i primi dati, l’adesione allo sciopero è stata molto rilevante e fino al 75% dei lavoratori sono scesi in sciopero.
Ma perché? Quali sono i motivi dello sciopero? Infatti, una scorsa al sito www.aboutamazon.it, dovrebbe fugare ogni dubbio sulla qualità del lavoro aziendale e sull’attenzione che pone la multinazionale al benessere e alla soddisfazione sia dei clienti che dei dipendenti. La dichiarazione del General Manager del Centro di distribuzione di Passo Corese, Salvatore Schembri Volpe, sintetizza in maniera molto efficace la visione che Amazon vuole, per l’appunto, venderci:
“Amazon ha la capacità di sfruttare la propria dimensione globale e sua cultura dell’innovazione per lavorare sulla sostenibilità, prestando attenzione al tempo stesso alla formazione del personale e al miglioramento dei processi per servire i clienti in questo Paese – oltre a investire nelle comunità locali.”
Sempre sul sito www.aboutamazon.it si trovano interessantissime storie di successo, dove si spiega come molte piccole e medie imprese stiano beneficiando dell’effetto Amazon, oppure la sezione lavorare ad Amazon, dove sono altrettanto interessanti da leggere le storie dei dipendenti [1].
Eppure, lo sciopero ha avuto un grande successo, con la partecipazione di circa il 75% dei lavoratori (consideriamo che molti sono precari, tempi determinati, quindi con ricattabilità elevatissima). E ogni grande centro di distribuzione di Amazon ha altrettante storie di tenore ben diverso [2].
Anzi, le storie che smentiscono il volto buono e umano di Amazon sono decisamente la maggioranza. Non vogliamo, qui, rivangare le storie “clamorose” rilanciate dalla stampa nazionale [3]. Quelle assomigliano molto alla classica eccezione che conferma la regola, quasi come se si trattasse di errori nella retta via della creazione dei posti di lavoro.
Invece dobbiamo proprio focalizzarci sulla regola, sulle condizioni quotidiane dei lavoratori. Perché è proprio dal quotidiano che dobbiamo partire per analizzare i rapporti di forza tra la multinazionale e i lavoratori. E’ proprio nel quotidiano e nella lenta, ma costante e minuziosa azione delle aziende che si comprendono i reali obiettivi dei padroni.
Per esempio: C., lavoratore presso una ditta appaltatrice nel magazzino Amazon di Calenzano, ci racconta qualcosa del famoso algoritmo. Tre anni fa, quando iniziò il lavoro di driver, ogni fermata corrispondeva ad una consegna. Oggi invece, il raggio di azione della fermata è stato allargato, per cui è possibile che ad una fermata corrispondano consegne multiple, a numeri civici diversi,
K., sempre seguendo il filo del discorso, ci dice che le consegne e le fermate, almeno fino a tre anni fa, erano al massimo sulle 90 al giorno. Oggi le fermate variano tra le 150 e le 170 al giorno per un totale di consegne che oscilla tra 220 e 250. Insomma, in termini di produttività, nell’arco delle stesse e immutate 8 ore lavorative del 2017, i pacchi consegnati sono aumentati di quasi il 200%.
8 ore? E no. Infatti, per riuscire a consegnare tutti i pacchi nelle 8 ore lavorative, l’ora di pausa viene ormai regolarmente regalata. Perché lo straordinario non è pratica che piaccia ad Amazon. Sicuramente, non gli piace mettere lo straordinario in busta.
L’aumento costante dei ritmi di lavoro ha altri risvolti, stavolta nell’ambito della sicurezza e della salute. Perché i ritmi di lavoro richiesti non consentono, per esempio, il rispetto pieno del codice della strada. Soste vietate, fermate in doppia fila, limiti di velocità spesso superati. E le eventuali multe? Le pagano i lavoratori. E finiti i punti sulla patente? Semplice, via la patente, via il lavoro. Ma la colpa è del lavoratore, o dei carichi di lavoro imposti dall’azienda che costringono gli autisti a rischiare multe e punti sulla patente?
Ancora, quanto può essere sostenibile un ritmo di lavoro simile? Molti operai ritengono di no, anche tra i più giovani [4].
Già quello che abbiamo detto sarebbe sufficiente per uno sciopero. Ma i motivi non sono solo questi. Infatti, è in ballo la discussione sul rinnovo del CCNL. Al tavolo delle trattative sono rimaste pendenti questioni fondamentali. La richiesta di rendere le domeniche obbligatorie, spalmare i giorni lavorativi su 6 invece che sui canonici 5. Grandi ombre rimangono sulle questioni di inquadramento del personale, stabilizzazione dei precari. E lo stesso articolo 42, la “clausola sociale”, che prevedeva la salvaguardia dei posti di lavoro e del regime contrattuale dei lavoratori nel caso di una azienda che subentrasse in un appalto.
Concludiamo la parte di analisi andando a completare il quadro. Il mondo della logistica, come molti altri settori produttivi in Italia, inizia negli anni ’90 un’epoca di frammentazione sia contrattuale che societaria. L’emergere di corrieri privati su gomma sempre più forti (per contrastare il monopolio di Ferrovie dello Stato), il processo di terziarizzazione degli autisti, l’affidamento al lavoro interinale e alle cooperative [5]. L’era della flessibilità, inaugurata e sostenuta dall’incapacità delle socialdemocrazie europee di mantenersi tali anche senza l’ombrello del socialismo sovietico, garantiva ai padroni una capacità di azione pressoché infinita. Oggi, a maggior ragione, con Amazon che centralizza la piramide del capitale e che sceglie di affidarsi di volta in volta ai corrieri più convenienti sul mercato, comprimendo diritti e salari.
Ed è, come ci ricorda un magazziniere di SDA, tutto legale. Perché qui arriviamo al punto politico.
Facendo un esercizio di speculazione, da un lato abbiamo il Capitale che con infinite forme lavora per ridurre il costo della manodopera e soprattutto agisce per spaccare qualsiasi forma di solidarietà tra i lavoratori. Dall’altra parte, ci sono i lavoratori, la classe operaia. Organizzata nel tempo nelle sigle sindacali storiche e raccolta all’interno del Partito Comunista Italiano, la classe operaia ha visto i propri referenti politici e sindacali retrocedere su tutta la linea. Inutile ripercorrere le tappe di un tradimento, quello che interessa è che il 22 marzo 2021 autisti, magazzinieri, lavoratori precari, terzisti e partite I.v.a. hanno aderito ad uno sciopero, in massa. Hanno spinto le proprie organizzazioni sindacali a lasciare i tavoli concertativi per imporre una linea di ragionamento sul futuro del lavoro e del settore.
Questo risveglio sindacale non può durare un unico giorno: pensare di fare centro con un colpo è pura utopia. Non a caso già lunedì 29 marzo si ripeterà.
Ci permettiamo di dire, però, che serve anche una prospettiva politica che possa accompagnare la lotta sindacale, una prospettiva politica che non sia prona alle logiche del profitto di multinazionali come Amazon, che tolga alle multinazionali gli strumenti giuridici di compressione dei diritti dei lavoratori, una prospettiva politica che preveda il ritorno dello Stato nella produzione e nella distribuzione.
Non ci aspettiamo che questa prospettiva politica arrivi dai partiti di governo, questa prospettiva politica devono tracciarla i lavoratori e i comunisti.
[1] https://www.aboutamazon.it/
[2] https://video.corriere.it/amazon-sciopero-passo-corese-non-sapete-cosa-c-dietro-click/6b5638a2-8b04-11eb-96d7-1b239199ed0f
[3] https://www.repubblica.it/cronaca/2021/01/10/news/licenziato_da_amazon_il_magazziniere_costretto_a_vivere_in_camper_penalizzato_perche_ho_raccontato_la_mia_storia_-281923728/
[4] https://vdnews.tv/video/-primo-sciopero-generale-lavoratori-italiani-amazon
[5] https://www.trasportiinlotta.it/Cooperazione/legendacooperazione.htm