PANDEMIA E COMPLOTTISMO: LA FUGA DAL LABORATORIO

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PANDEMIA E COMPLOTTISMO: LA FUGA DAL LABORATORIO

Quello che segue è il secondo contributo di Bartoloni sul tema della pandemia. Il primo, dedicato al tema della “Zoonosi” è disponibile sempre su La Riscossa.Si ricorda che la Scuola popolare di formazione politica Antonio Gramsci ha pubblicato video e atti del seminario “Le menzogne sulla pandemia covid” al seguente link.

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Pandemia e complottismo: la fuga dal laboratorio

Di Alessandro Bartoloni

 

Dopo aver analizzato perché entrare in contatto con animali selvaggi, addomesticarli, devastarne gli habitat e le abitudini è un fatto sociale, analizziamo perché chi nega la possibile fuoriuscita del SARS-CoV-2 da un laboratorio è quantomeno un ignorante (se non peggio).Innanzitutto una considerazione di carattere generale. Una società che si basa sullo sfruttamento della natura, umana e non solo, non è interessata a ricercare come, dove e quando nasce il SARS-CoV-2. Farlo significa ammettere le proprie responsabilità oggettive e prendere seriamente in considerazione tutte le opzioni, incluso l’incidente di laboratorio e il rilascio volontario del patogeno per finalità politico-militari. Tutte eventualità che gli esperti conoscevano bene[1].

Senza considerare i rischi di infezione cui sono soggetti i ricercatori che entrano dentro le grotte per catturare e “tamponare” gli esemplari di pipistrello oggetto di studio[2], già il 24 settembre 2003, a seguito di una contaminazione accidentale in un laboratorio di Singapore avvenuta sedici giorni prima, l’OMS dichiarava: «La possibilità che un’epidemia di SARS possa svilupparsi da un incidente di laboratorio è un rischio di considerevole importanza, dato il relativo alto numero di laboratori che stanno attualmente conducendo ricerche, impiegando Coronavirus della SARS o conservando campioni prelevati da pazienti affetti da SARS»[3]. Ed ecco che, puntualmente, il 6 dicembre dello stesso anno, un tenente-colonnello taiwanese contrae la SARS proprio a seguito di un incidente nel laboratorio militare del Taiwan Military Institute of Preventive Medical Research[4], una struttura dove si lavora sulle armi biologiche.

Ma così come è nella natura di una società basata sullo sfruttamento e la concorrenza produrre incidenti sul lavoro a un ritmo più alto di quello che si avrebbe se la sicurezza non fosse un costo da minimizzare e gli scienziati non fossero obbligati al risultato a ogni costo (publish or perish) e avessero tempo, voglia e capacità di prendere meglio in considerazione le conseguenze socio-economiche delle proprie azioni; altrettanto inevitabile è che tale società produca pericoli e incidenti anche nei laboratori di biosicurezza (BSL) a un ritmo maggiore di quello che si avrebbe altrimenti. Per non parlare del rilascio volontario del patogeno che, a oggi, è un’ipotesi che non può essere esclusa.

E che alla vigilia di questa pandemia i laboratori non fossero sufficientemente sicuri ce lo conferma nientepopodimeno che il professor Yuan Zhiming, direttore del Laboratorio di Biosicurezza Nazionale dell’Istituto di Virologia di Wuhan, che nel settembre 2019, poco più di tre mesi prima della scoperta ufficiale del SARS-CoV-2, manda alle stampe un articolo nel quale vengono elencati i quattro principali problemi che affliggono i biolaboratori del proprio paese[5].

Il primo problema consiste nella «ineguale distribuzione dei laboratori», e in particolare nel fatto che «la maggior parte di questi laboratori è progettata principalmente per il rilevamento di agenti patogeni e la ricerca scientifica, ma non per effettuare manipolazioni specializzate come test industriali e analisi di anatomia patologica. Pertanto, questa distribuzione squilibrata tra regioni e settori porta a una contraddizione tra l’attuale utilizzo effettivo dei laboratori e le richieste emergenti».
Un secondo problema riguarda «l’inadeguatezza dei sistemi di gestione della biosicurezza». A tal proposito, il professore ci dice che
«dalla promulgazione e attuazione del “Regolamento sulla gestione della biosicurezza dei laboratori di microrganismi patogeni”, emanato dal Consiglio di Stato nel 2004, sono stati formulati una serie di altri regolamenti da diversi ministeri e governi locali. Sebbene questi regolamenti coprano integralmente tutti gli aspetti della costruzione, della gestione e dell’eventuale funzionamento dei BSL, la loro applicazione deve ancora essere rafforzata. Inoltre, a causa delle diverse fonti di investimento, affiliazioni e sistemi di gestione, l’implementazione di questi laboratori incontra difficoltà nel far convergere obiettivi e flussi di lavoro di cooperazione. Questo scenario mette a rischio la biosicurezza dei laboratori poiché l’efficienza dell’implementazione e la tempestività delle operazioni sono relativamente compromesse».
Il terzo problema riguarda «la scarsità di risorse per un’operatività efficiente dei laboratori». A tal proposito il professore ci informa che
«a seconda delle dimensioni e della posizione, la costruzione di un moderno BSL costa milioni di dollari e in Cina i fondi per la costruzione vengono generalmente raccolti dallo Stato, dai governi locali, dalle autorità centrali e da altre istituzioni. Inoltre, il 5-10% dei costi di costruzione è necessario per l’operatività annuale. Tuttavia, il costo di manutenzione è generalmente trascurato; diversi BSL di alto livello hanno fondi operativi insufficienti per processi che pur essendo routinari sono vitali. A causa delle risorse limitate, alcuni laboratori BSL-3 funzionano con costi operativi estremamente minimi o in alcuni casi del tutto assenti».
Infine, il quarto problema:
«La mancanza di professionalità. Nel processo di costruzione, funzionamento e gestione dei BSL, sono richieste squadre di professionisti altamente qualificati provenienti da diverse discipline come architettura, scienza dei materiali, aerodinamica, controllo automatico, scienze ambientali, microbiologia, botanica, biosicurezza e ingegneria dei sistemi. Inoltre, le misure e le pratiche di biosicurezza sono vitali nelle operazioni quotidiane di laboratorio, quindi è necessario un supervisore della biosicurezza altamente qualificato, motivato e abile non solo a supervisionare il contenimento, ma anche a gestire il rischio. Attualmente, la maggior parte dei laboratori non ha ingegneri e manager specializzati in biosicurezza. In tali strutture, parte del personale specializzato è composto da ricercatori part- time. Ciò rende difficile identificare e mitigare i potenziali rischi per la sicurezza nel funzionamento dell’impianto e delle apparecchiature con sufficiente anticipo. Inoltre, la consapevolezza sulla biosicurezza, le conoscenze professionali e la formazione sulle tecniche operative devono ancora essere migliorate tra il personale di laboratorio».

Molti di questi problemi di sicurezza sono stati riconosciuti come “cronici” persino dalle colonne del Global Times, il tabloid pubblicato sotto gli auspici del Partito Comunista Cinese[6]. Alla faccia della censura! Una trasparenza che non ha nulla da invidiare a quella degli Stati Uniti dove, nei sette anni compresi tra il 2009 e il 2015, sono ufficialmente occorsi 749 incidenti riguardanti gli agenti biologici sottoposti al controllo della legge sul bioterrorismo[7]. Praticamente, una media di due incidenti a settimana.Infine, c’è il problema del «traffico internazionale dei virus, scambiati da ricercatori senza scrupoli e dirigenti di industrie farmaceutiche: tutti pronti ad accumulare soldi e fama grazie alla paura delle epidemie»[8]. Un problema portato all’attenzione del grande pubblico da Lirio Abbate, che nell’aprile 2014 riassume su L’Espresso l’inchiesta della procura di Roma relativa all’emergenza sanitaria provocata dall’influenza aviaria in Italia. Dalle carte

«si scopre che i ceppi delle malattie più contagiose per gli animali e, in alcuni casi, persino per gli uomini viaggiano da un Paese all’altro, senza precauzioni e senza autorizzazioni. Esistono trafficanti disposti a pagare decine e decine di migliaia di euro pur di impadronirsi degli agenti patogeni: averli prima permette di sviluppare i vaccini battendo la concorrenza. Mettere le mani sui ceppi patogeni nel modo più rapido possibile, evitando la burocrazia sanitaria e le misure di sicurezza, è fondamentale per essere i primi a inventare e commercializzare gli antidoti. Un business delle epidemie che segue una cinica strategia commerciale. Amplifica il pericolo di diffusione e i rischi per l’uomo, spingendo le autorità sanitarie ad adottare provvedimenti d’urgenza. Che si trasformano in un affare da centinaia di milioni di euro per le industrie, sia per proteggere la popolazione che per difendere gli allevamenti di bestiame»[9].
Questo era lo scenario al 31 dicembre 2019, che rende l’ipotesi dell’incidente tutt’altro che fantasiosa. Nel prossimo articolo analizzeremo quanto la classe dominante fosse effettivamente cosciente del rischio zoonotico e della fuga di un virus dai laboratori.

[1] Le considerazioni che seguono sono tratte da A. Bartoloni, Critica marxista della vaccinazione COVID, Transeuropa, cap. 2.

[2] Per i dettagli cfr. Youth in the Wild – Invisible Defender, documentario cinese con sottotitoli in inglese, pubblicato su YouTube il 2 aprile 2020.

[3] SARS case in Singapore linked to accidental laboratory contamination, a cura di WHO, 24 settembre 2003. Cfr. who.int.

[4] Gilles Demaneuf, The Good, the Bad and the Ugly: a review of SARS Lab Escapes, in «Zenodo», 27 novembre 2020, doi: 10.5281/zenodo.4293257.

[5] Le citazioni che seguono sono tratte da: Yuan Zhiming, Current status and future challenges of high-level biosafety laboratories in China, in «Journal of Biosafety and Biosecurity», vol. 1, n. 2, settembre 2019, pp. 123-127, doi: 10.1016/j.jobb.2019.09.005. I corsivi sono miei.

[6] Liu Caiyu – Leng Shumei, Biosafety guideline issued to fix chronic management loopholes at virus labs, in «Global Times», 16 febbraio 2020.

[7] Con il termine “incidente” si include il furto, la perdita e il rilascio involontario di agenti biologici e tossine. Il numero è stato calcolato da Lynn Klotz nel suo articolo Human error in high-biocontainment labs: a likely pandemic threat, (in «Bulletin of the Atomic Scientists», 25 febbraio 2019) a partire dai dati forniti a seguito di una richiesta di accesso agli atti disponibile su theblackvault.com. Si tenga presente che il governo degli Stati Uniti ancora nel 2017 non era a conoscenza del numero preciso di laboratori presenti sul proprio territorio. Per maggiori informazioni, cfr. High-Containment Laboratories: Coordinated Actions Needed to Enhance the Select Agent Program’s Oversight of Hazardous Pathogens, a cura di United States Government Accountability Office (GAO), ottobre 2017, p. 11 (gao.gov).

[8] Lirio Abbate, Il business segreto della vendita dei virus che coinvolge aziende e trafficanti, in «L’Espresso», 3 aprile 2014.

[9] Ibid.

1 Comment

  1. Fulvio Baldini ha detto:

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