La visita del papa in Romania, appena conclusasi, è stata occasione per rinverdire l’anticomunismo che ha pervaso la Chiesa cattolica, mascherato da solidarismo, fin dall’inizio del Novecento. Ma come i marxisti ben sanno, ogni mediazione tra capitale e lavoro porta allo smantellamento dell’ideologia proletaria, al soffocamento della lotta di classe da parte dei lavoratori e alla vittoria certa della borghesia.
Già con l’enciclica Rerum Novarum del 1891 era stata affermata la cosiddetta dottrina sociale della Chiesa, come pretesa “via media” tra capitalismo e socialismo. A proposito del salario, si afferma che il lavoratore deve avere una retribuzione che gli permetta il giusto sostentamento per sé e per la sua famiglia; ossia quella che Marx chiama la riproduzione della forza-lavoro, ossia ciò che consente al proletario di ripresentarsi l’indomani in fabbrica per farsi sfruttare. «Nel tutelare le ragioni dei privati, si deve avere un riguardo speciale ai deboli e ai poveri. Il ceto dei ricchi, forte per sé stesso, abbisogna meno della pubblica difesa; le misere plebi, che mancano di sostegno proprio, hanno speciale necessità di trovarlo nel patrocinio dello Stato. Perciò agli operai, che sono nel numero dei deboli e dei bisognosi, lo Stato deve di preferenza rivolgere le cure e le provvidenze sue» (Rerum Novarum, 29). Quindi, si sanciscono le ragioni dei padroni come preminenti, lo stato di sfruttamento permanente del proletariato e si demanda allo Stato di “alleviarne” le sofferenze, quindi a spese della collettività. Come si vede, questa “via media” di medio non ha proprio nulla, ma è il puro distillato dell’ideologia dei padroni. Inoltre, se da un lato l’enciclica papale, ammonisce la classe operaia a non aderire a idee rivoluzionarie ed esprime una condanna nei confronti del socialismo e della teoria della lotta di classe, invita gli operai cristiani a formare proprie società piuttosto che aderire ad un’«organizzazione contraria allo spirito cristiano e al bene pubblico» (Rerum Novarum, 40).
In Quadragesimo Anno del 15 maggio 1931, appunto promulgata nella ricorrenza del quarantesimo anno della Rerum Novarum, si enunciano “principi di etica naturale”, dai quali far derivare l’“ordine sociale”. Dall’etica naturale discende la “naturalità” della proprietà privata, pur richiedendo – siamo nei momenti di massima crisi derivanti dal tracollo del 1929 – l’intervento dello Stato “in certi casi estremi” secondo il principio di sussidiarietà (Quadragesimo Anno, 114-116). Sui rapporti tra capitale e lavoro si continua a parlare di “salario giusto”, sempre nel senso filopadronale già precisato. Sull’ordine sociale, addirittura si assumono posizioni, che non possono che trovare il fascismo più che concorde, criticando il capitalismo delle società di capitali anonime, di solito internazionali, che riescono ad imporsi agli stessi stati, a sostegno delle imprese di minore consistenza di solito nazionali. Quindi una presa di posizione in favore del capitalismo nazionalistico e protezionista, anticipando addirittura la svolta autarchica che sarebbe avvenuta dopo le sanzioni del 1935. Sempre in nome dell’ordine sociale, la Quadragesimo Anno si mostra ancora una volta in perfetta sintonia col fascismo, rifiutando lo sciopero e consigliando l’arbitrato della legge attraverso il “giudice” (Quadragesimo Anno, 95). Il comunismo viene definito “empio” oltre che falso (113); la lotta di classe condannata severamente (114) perché dannosa per la società e contraria al Vangelo.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale la Chiesa si schierò sfacciatamente a favore della formazione di un partito confessionale come la Democrazia Cristiana. Questo partito mantenne già una posizione ambigua durante il Referendum istituzionale. Infatti, se i voti ai partiti che si erano espressi per la scelta repubblicana (DC, PCI, PSIUP, PRI e PdAz) nelle successive elezioni del 1946 ottennero complessivamente una percentuale di voti poco superiore all’80%, quella espressa in favore della Repubblica fu pari al 54,3%. L’esame dei voti a favore della monarchia, provincia per provincia, mostra come il voto cattolico fu indirizzato prevalentemente verso la monarchia, risultando questa prevalere al sud e in provincia come Cuneo e Padova a forte influenza cattolica. Evidentemente la monarchia dava più garanzie di anticomunismo di una repubblica ancora da fondare.
La Democrazia Cristiana fu l’artefice dell’espulsione dei partiti del blocco popolare (PCI e PSI) dal governo nel maggio 1947, seguendo i diktat degli USA, che avevano già avviato su scala internazionale il maccartismo, ossia un’azione di persecuzione sistematica dei comunisti nei paesi da loro occupati e, col piano Marshall, di isolamento dei paesi che erano stati liberati dall’Armata Rossa – e su cui quindi non potevano esercitare impunemente la loro nefasta influenza – in cui ancora vigevano dei sistemi misti di condivisione di potere e in cui la dittatura proletaria non era stata ancora istaurata.
La pervasività della Chiesa nella politica italiana raggiunse il suo culmine in occasione delle elezioni del 18 maggio 1948, quando i parroci tuonavano dai pulpiti di votare per “un partito democratico e cristiano”, e non si fermò davanti a nessuna sopraffazione. L’isteria anticomunista superò sé stessa con la “scomunica” dei comunisti del 1° luglio 1949.
In questo clima è da giudicare l’atteggiamento che si tenne nei paesi con presenza cattolica che si avviavano alla costruzione del socialismo, e tra questi la Romania. La monarchia fu abrogata il 30 dicembre 1947 e venne instaurata la Repubblica Socialista di Romania.
Come anche gli odierni commentatori non possono far a meno di ammettere tra le righe, la cosiddetta “persecuzione religiosa” da parte dei comunisti non ha certo interessato una religione, come quella ortodossa, che non rispondeva a un’autorità straniera e soprattutto ultrareazionaria e golpista come la Chiesa Cattolica. Nell’estate del 1948 si verificarono i primi arresti di esponenti cattolici, fino alla ufficiale messa al bando di quella chiesa con l’“Atto di abrogazione” del 1º dicembre 1948.
Certo, sarebbe facile qui rifare la storia dello scontro tra il potere temporale e quello ecclesiastico e vedere come il primo si è sempre dovuto e saputo difendere dallo strapotere del secondo.
Potremmo citare la lotta per le investiture dei vescovi che i sovrani del XI e XII secolo condussero contro la Chiesa fino al Concordato di Worms del 23 settembre del 1122, o il sacco di Roma avvenuto il 6 maggio 1527 da parte delle truppe dei lanzichenecchi arruolati nell’esercito del cattolicissimo Imperatore Carlo V d’Asburgo.
Il potere borghese non è stato da meno. La separazione fra Stato e Chiesa nel 1795 nazionalizzò i beni del clero. Le truppe francesi invasero lo Stato Pontificio e il potere temporale dei papi abolito il 15 febbraio 1798 e proclamata la Repubblica Romana. Roma non è più “cristiana” e “l’ultimo papa” è appena morto. La Rivoluzione francese spazza via il potere pontificio. Il 14 marzo 1800 i cardinali che si sono potuti riunire eleggono Pio VII affermando la continuità del potere pontificio. Napoleone capisce però che l’alleanza con il papa diventa indispensabile per unire un’Europa cattolica contro l’Inghilterra. Il Concordato del 15 agosto 1801 riconosce il cattolicesimo come religione della grande maggioranza dei Francesi, il Primo console nomina i vescovi, mentre il papa accorda loro l’investitura canonica. Vescovi e curati prestano giuramento di fedeltà al governo ed in cambio ricevono un sostentamento. Napoleone, diventato Imperatore, invita Pio VII a recarsi a Parigi per la cerimonia dell’incoronazione, quando pronuncerà la famosa frase nel mettersi da solo la corona in testa. Ma le tensioni continuano. Il 21 gennaio 1808 Roma viene occupata e il 17 maggio Napoleone proclama la loro riunione alla Francia. La bandiera francese viene issata su Castel Sant’Angelo, come ai tempi della Repubblica Romana. Il 10 giugno 1809 il pontefice scomunica Napoleone, che il 20 giugno scrive: “Io ricevo la notizia che il papa mi ha scomunicato, si tratta di un pazzo furioso che occorre rinchiudere”. E infatti nella notte dal 5 al 6 luglio a Pio VII viene intimato di rinunciare alla sua sovranità temporale e, in seguito al suo rifiuto, viene condotto fuori di Roma, condotto a Firenze, quindi a Grenoble e infine a Savona. Il papa tornerà a Roma nel gennaio 1814, dopo le sconfitte napoleoniche, e restaurato con la vittoria della Santa Alleanza al Congresso di Vienna. Il Concordato del 1801 continuerà a essere applicato in Francia fino alla separazione fra Stato e Chiesa del 1905.
I Savoia, all’atto dell’Unità d’Italia, compirono l’“eversione dell’asse ecclesiastico” con due leggi del Regno d’Italia, del 7 luglio 1866 e di soppressione degli ordini e delle congregazioni religiose del 28 giugno 1866, e la legge del 15 agosto 1867 che dispose la confisca dei beni degli enti religiosi. Le leggi di eversione dell’asse ecclesiastico rimasero in vigore fino ai Patti lateranensi del 1929 firmati da Mussolini.
Possiamo dire che il potere proletario non ha mai raggiunto simili vertici di “persecuzione” della Chiesa cattolica. Quello che il presente papa, osannato oggi più da “sinistra” che da destra, ha portato all’attenzione non è altro che una normale applicazione della legge di un paese che si difende dalla sovversione internazionale.
In realtà questi atti dell’attuale papa non sono quindi certo destinati a rinfocolare una disputa storica, ma a favorire l’anticomunismo in quei paesi e in tutto il mondo. Oggi, come recenti statistiche confermano, il rimpianto per il socialismo perduto nei paesi che garantivano lavoro, sicurezza sociale, servizi pubblici, istruzione, sanità, ecc. è fortissimo e non solo fra le generazioni che lo vissero il socialismo, ma anche tra i giovani che si scontrano con la dura realtà del capitalismo trionfante e senza ostacoli di oggi. La quantità di rumeni, per lo più donne, che abbandonano la propria casa, la propria terra, la propria famiglia per venire a fare gli schiavi come badanti o manovali qui in Italia, e in generale nel resto d’Europa, è enorme. Un’intera società è stata sconvolta. È esperienza comune nelle nostre città sentire di queste tristissime storie fra coloro che dovrebbero essere parte di questa Europa, che ci è stata contrabbandata come sogno di libertà e invece si è rivelata l’incubo di una prigione a cielo aperto. Quindi l’anticomunismo serve a tamponare questi sentimenti e svolge, come sempre, la sua funzione antipopolare al servizio delle classi e dell’ideologia dominante.
Ma non è solo il papa a prendere queste posizioni, che sotto al finto “progressismo” e al pentimento d’occasione, nascondono il sostegno alle peggiori politiche imperialiste dell’Unione europea. Non a caso, proprio dalla stessa Romania, lo scorso 9 maggio 2019 – il giorno stesso in cui i popoli festeggiano la sconfitta definitiva del nazismo ad opera dell’Armata Rossa – i leader europei firmavano una dichiarazione del Consiglio Europeo da Sibiu dove, ad accompagnare una serie di frasi ipocrite sui presunti “valori di pace, prosperità e democrazia” dell’UE, si lancia l’ennesimo isterico attacco anticomunista affermando che “trent’anni fa, milioni di persone hanno combattuto per la propria libertà, per l’unità e hanno abbattuto la cortina di ferro”.
Il papa e gli euromani servi del capitalismo europeo si muovono sulla stessa linea rispolverando tutta la propaganda del maccartismo, dell’imperialismo e del fascismo contro la lotta dei popoli e del movimento operaio mondiale, contro il sistema socialista, al fine di disarmare i lavoratori e i popoli e prevenire la loro presa di coscienza nella lotta contro il sistema di sfruttamento capitalistico.
Il messaggio del capo della chiesa cattolica è quindi perfettamente in linea con i progetti dei monopoli capitalistici, relegando i “poveri e oppressi” a destinatari di parole di preoccupazione e carità cristiana ma scomunicando ogni loro aspirazione di emancipazione. Lo stesso che fanno i leader europei quando esprimono ipocritamente le loro preoccupazioni sulla necessità di un’”Europa sociale” che riscopra i “suoi valori originari” (a cui fa eco il “pregate perché l’Europa torni a essere il sogno dei padri fondatori” pronunciato da papa Francesco) – nascondendo che gli unici valori fondanti dell’UE sono gli interessi dei monopoli capitalistici – da difendere dalla minaccia delle “ideologie e regimi del passato”. Questo perverso meccanismo per ingannare e intrappolare i popoli, trova nel concetto di “regimi totalitari” istituzionalizzato nell’UE il suo apice e fonte con cui portare avanti quest’opera di salvaguardia del capitalismo, con l’equiparazione del comunismo al fascismo mentre contestualmente si sdogana e legittima l’estrema destra neofascista (dai “valori cristiani”).
Tutto questo mette in luce tutta la paura che ancora oggi genera nelle classi dominanti lo spettro del comunismo contro cui si continuano a formare moderne Sante Alleanze a dimostrazione di come esso sia l’unica e reale alternativa al capitalismo.