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“Patria o Muerte!”

Il 14 giugno del 1928 a Rosario in Argentina nasceva Ernesto Guevara de la Serna (il cognome della madre) e/o Lynch, il cognome della nonna paterna, di chiara origine irlandese.

Forse però quello che non tutti sanno è che il “Che” fu così chiamato da un suo intercalare, equivalente al nostro “cioè”.

Affetto da una forte forma di asma, che tuttavia non gli impedì di compiere numerose e note imprese rivoluzionarie, era anche molto appassionato di calcio e rugby.

Fra le sue abitudini vi era anche quella di bere il mate.

Spesso e giustamente osannato come guerrigliero rivoluzionario, fu anche un grande marxista e politico. Ricordiamo qui alcuni suoi testi fondamentali: Il Partito Marxista-Leninista, Il socialismo e l’uomo a Cuba, La costruzione del partito.

Dopo la rivoluzione cubana, El Che assunse la responsabilità di ministro dell’industria e in questa veste svolse un’importante attività politica e diplomatica tra i paesi socialisti e tenne il celeberrimo intervento all’ONU sulla sovranità (11 dicembre 1964), che – dopo avere denunciato le continue provocazioni imperialiste, l’irrinunciabile strada verso il socialismo assunta da Cuba – termina col celebre grido di battaglia “Patria o Muerte!”.

Ma indubbiamente preferiva la pratica guerrigliera, portando il suo messaggio rivoluzionario e andando sempre in aiuto ai popoli oppressi da dittatori e dal capitalismo, ovunque nel mondo. Fu proprio questo il motivo che lo spinse a un certo punto della sua vita, ad abbandonare la politica istituzionale e a comunicare a Fidel Castro, il suo desiderio di recarsi prima in Congo e poi in Bolivia, dove perse la vita in circostanze oramai note a tutti.

Dotato di una spontanea grande umanità, ancorché prima di essere marxista, fu un medico particolarmente dedito alla cura dei lebbrosi.

Nel celebre libro sulla sua vita giovanile latinoamericana, viene raccontato che una volta attraversò nuotando un fiume infestato da pesci famelici, pur di arrivare dall’altra parte per recarsi appunto in un lebbrosario.

Nel calcio, sua grande passione al pari del rugby, ricopriva con ottimi risultati il ruolo di portiere.

Ancora oggi il libro Diario di Bolivia, resta un testo importante per comprendere le tecniche di guerriglia ed è apprezzato in tutto il mondo, tradotto in centinaia di lingue.

Ricordato e ancora osannato soprattutto dai giovani, in ogni epoca e parte del mondo rischia però di diventare una figura neutrale e commerciale, se noi comunisti non ne difendiamo il suo essere politico, marxista. Assunto oggi sempre più come simbolo di una generica libertà o solo di ribellione, noi comunisti vogliamo invece ricordarlo con queste sue parole:

«e a noi, che in un piccolo punto della carta geografica del mondo compiamo il dovere che predichiamo, e mettiamo al servizio della lotta quel poco che c’è permesso dare: la nostra vita, il nostro sacrificio, capitasse uno di questi giorni di esalare l’ultimo respiro su una terra qualsiasi, ormai nostra, intrisa del nostro sangue, si sappia che abbiamo misurato la portata dei nostri atti, e che ci consideriamo niente più che elementi del grande esercito del proletariato… »

(Ernesto Guevara, aprile 1967)

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