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Se le cose stessero semplicemente così, la produzione capitalistica di armi, attrezzature e vettovaglie acquistate dalle forze armate e dagli apparati di polizia potrebbe sembrare di per sé produttiva e l’unico aspetto improduttivo sarebbe nel loro consumo, dal momento che l’acquirente è pubblico. C’è però una differenza fondamentale che rende questo tipo di produzione di per sé improduttiva, anche quando è effettuata da aziende capitalistiche che sfruttano la manodopera salariata per ottenerne un profitto.Nel caso delle opere pubbliche, le risorse umane e materiali vengono sì sottratte all’allargamento della produzione di plusvalore (quando ad essere colpito dalle imposte è il “reddito d’impresa”), ma vengono impiegate per creare beni destinati ad essere consumati nel processo produttivo. Lo stesso, mutatis mutandis, avviene con l’erogazione dei servizi pubblici, il cosiddetto salario indiretto. Le cure ospedaliere che i lavoratori ricevono rappresentano a tutti gli effetti mezzi di sussistenza senza i quali non potrebbero tornare a lavorare il giorno seguente. Pertanto, in entrambi i casi, il consumo improduttivo di risorse da parte dello Stato trasforma le merci acquistate in beni e servizi che vengono riutilizzati nel processo produttivo di plusvalore e nel processo riproduttivo della forza-lavoro.
Viceversa, la produzione per le forze armate civili e militari ha tutt’altro significato. Essa non compare in alcun modo come materiale nel successivo ciclo di produzione. Le armi acquistate dall’esercito, ad esempio, non entrano dentro alcun processo produttivo di plusvalore. Né il cibo dei soldati serve alla riproduzione della forza-lavoro, non essendo costoro impiegati in alcuna attività lavorativa. Dal punto di vista economico, la funzione della difesa non è quella di produrre valori d’uso destinati a essere consumati all’interno di un processo produttivo di plusvalore o riproduttivo di forza-lavoro; la sua funzione è quella di conservare qualcosa e qualcuno mediante la distruzione. L’effetto economico di questa produzione, dunque, è una grandezza puramente negativa.
Nei periodi che normalmente chiamiamo “pace”, la presenza delle forze armate civili e militari serve a persuadere i nemici dell’ordine costituito e chi vuole rivedere a proprio favore i rapporti di forza all’interno del sistema capitalistico che le relazioni sociali e internazionali non devono essere messe in discussione. L’obiettivo, dunque, è quello di proteggere e conservare le condizioni che rendono possibile la produzione di plusvalore. Come le strade devono essere mantenute in buone condizioni affinché le merci vi possano circolare in sicurezza e rapidamente, lo stesso accade per il diritto allo sfruttamento e per le leggi a tutela della concorrenza, della proprietà privata ecc. La differenza sta nel fatto che la costruzione o la manutenzione delle strade non è un’attività necessariamente improduttiva. Essa è improduttiva soltanto se viene svolta dallo Stato. Non appena le forze produttive sono sufficientemente sviluppate, anch’essa diventa un’attività organizzata capitalisticamente e si vede come tale costruzione non sia altro che produzione di capitale fisso. Al contrario, la protezione dei rapporti sociali mediante gli apparati polizieschi è un’attività necessariamente improduttiva che in nessun caso può produrre plusvalore ma semmai ne costituisce un presupposto. E, come vedremo più avanti, il fatto che queste attività possano essere organizzate capitalisticamente non ne muta il carattere improduttivo.
Inoltre, il mantenimento dei rapporti sociali tra le classi e tra gli Stati che rendono possibile la produzione di plusvalore e la sua accumulazione non ha più nulla di progressivo. In altre parole, il lavoro e le risorse così spese frenano l’ulteriore sviluppo delle forze produttive. O lo distruggono. Il lavoro di conservazione dei rapporti sociali interni e internazionali portato avanti dagli apparati repressivi degli Stati capitalistici implica necessariamente la produzione di un danno per qualcun altro. Un po’ come avviene nel normale processo produttivo dominato dal capitale.
Ciò significa che la produzione destinata ad essere utilizzata dagli organi repressivi dello Stato è improduttiva e necessariamente distruttiva. Essa crea valori d’uso che, prima o poi, verranno inevitabilmente impiegati nel processo distruttivo del capitale costante (mezzi e oggetti di lavoro) e del capitale variabile (forza-lavoro), con ciò diminuendo la produzione di plusvalore. Pertanto, tali spese rappresentano un trasferimento di ricchezza doppiamente negativo. Da un lato, perché a parità di imposizione fiscale, sottrae risorse che pur essendo impiegate improduttivamente sono utili a sviluppare la forza produttiva del capitale e a mantenere la forza-lavoro (opere pubbliche e servizi sociali). Dall’altro, perché utilizza tali risorse per conservare un assetto sociale capitalistico che per sopravvivere conduce inevitabilmente alla periodica distruzione fisica di ricchezze materiali ed esseri umani.In sintesi, la guerra compie su una scala più grande quello che la crisi economica fa in scala più ridotta: fallimento dei concorrenti (nemici) e svalutazioni. Esiti che aprono nuove opportunità di mercato. Non solo per le vendite ma anche per gli investimenti, dal momento che la maggior distruzione del capitale costante rispetto al variabile e la compressione dei bisogni socialmente necessari dei lavoratori diminuiscono la composizione organica del capitale e il salario, con ciò innalzando, rispettivamente, il tasso di profitto e quello di sfruttamento.
Questo ragionamento ci permette di inquadrare il ruolo della produzione di armi anche nel caso in cui l’acquirente sia un’azienda capitalistica. Si pensi, ad esempio, alle imprese di vigilanza privata che si occupano del trasporto di valori o della sicurezza di banche, poste, supermercati ecc. In questo caso non solo abbiamo una produzione di merci effettuata con modalità capitalistiche ma anche un loro consumo apparentemente produttivo, in quanto le armi acquistate rappresentano a tutti gli effetti mezzi di produzione. Guardando la cosa con più attenzione, però, si scopre che neanche questa attività è produttiva, in quanto serve a garantire la proprietà privata e la trasformazione della merce in denaro (cioè a evitare i furti).Se l’utilizzo del capitale è condizione necessaria a qualificare il lavoro impiegato come produttivo, tuttavia non è una condizione sufficiente.
Supermercati, banche, assicurazioni, sono solo alcuni degli esempi di attività capitalistiche che non producono plusvalore ma che lo consumano. Lo stesso si può dire dell’impiego di lavoratori salariati che producono materiale pubblicitario (volantini, cartelloni, video, spettacoli dal vivo e chi più ne ha più ne metta). Tali lavoratori vengono sfruttati e producono merci che potrebbero anche contenere plusvalore, ma dal momento che servono unicamente a garantire la trasformazione della merce reclamizzata (M) in denaro (D), non appartengono alla sfera produttiva di plusvalore bensì alla sfera della sua circolazione. E il fatto che tali lavoratori siano spesso impiegati da agenzie pubblicitarie specializzate non cambia nulla alla questione.Lo stesso accade per le attività di sicurezza. I guardiani che stazionano davanti alle uscite dei supermercati servono a garantire la trasformazione della merce in denaro. Oppure semplicemente a proteggere la proprietà privata (come, ad esempio, quando vigilano le banche e le poste). In entrambi i casi, la loro funzione è improduttiva. Che diventa distruttiva laddove la legge accorda legittimità a quegli imprenditori disposti a far uccidere chi attenta alla proprietà privata.
Pertanto, l’unico caso in cui l’industria delle armi può considerarsi produttiva è quando le sue merci contengono plusvalore e vengono utilizzate per la caccia, la pesca e l’abbattimento degli animali da allevamento. In altre parole, quando il loro utilizzo (produttivo o improduttivo) è parte del processo produttivo di plusvalore o riproduttivo della forza-lavoro.
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