di Enzo Pellegrin*
Insomma un sacco di carte in più, che per i cittadini stranieri è difficile procurare: bisogna andare nel proprio paese, magari volare fino in Bangladesh, chiedere alla burocrazia locale un certificato che magari non hanno nemmeno nelle loro leggi, andare dal traduttore abilitato presso il consolato o l’ambasciata italiana, pagare una somma per traduzioni in italiano spesso discutibile, e infine pagare una ulteriore somma per la procedura formale di legalizzazione alle autorità diplomatiche del nostro paese, le quali si sono sempre distinte non certo per rapidità o trasparenza delle procedure.
Una gimkana burocratica che può costare anche parecchie migliaia di euro allo straniero, non solo per i ripetuti viaggi nei paesi di origine, ma per i costi della procedura di traduzione e legalizzazione del documento.
Una manna per chi specula elettoralmente sull’odio verso gli stranieri: il grande disincentivo economico finisce per escludere di fatto le classi povere straniere dalle prestazioni sociali essenziali. Una fra tutte: la mensa scolastica.
Il servizio giornalistico mostrava il “prodotto” del rigorismo burocratico lodigiano: bambini separati tra i fruitori della mensa e gli esclusi che, non potendo pagare il prezzo pieno, si portavano i panini o la pietanziera da casa, “confinati” in un’aula diversa. Sulla piazza della cittadina elettori del sindaco che si abbandonavano a definire gli stranieri “come le zecche dei cani”.
In realtà, questo tipo di discriminazione non è per niente unica ed isolata.
È pratica diffusa in Lombardia e Veneto.
Analoghi regolamenti discriminatori sono presenti in atti di associazioni di Comuni, per esempio l’Azienda Sociale Sud-Est Milano. Altre amministrazioni lo hanno applicato per le prestazioni disciplinate da leggi nazionali che esigevano solo l’ISEE, escludendo gli stranieri inadempienti all’onere aggiuntivo dall’assegno per le famiglie numerose e dall’assegno di maternità (1).
La legislazione regionale è andata oltre.
La Lombardia ha approvato una delibera di giunta invitando le ASSL a richiedere la documentazione aggiuntiva. Il Veneto ha addirittura emanato una legge regionale nello stesso senso.
Come ben chiarisce una nota dell’ASGI, Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione, gli enti e i comuni che richiedono la documentazione aggiuntiva dicono di basarsi sull’art. 3 comma 4 del DPR 445/2000, a norma del quale “le qualità personali e i fatti sono documentati mediante certificati o attestazioni rilasciati dalla competente autorità dello Stato estero, corredati di traduzione in lingua italiana autenticata dall’autorità consolare italiana che ne attesta la conformità all’originale, dopo aver ammonito l’interessato sulle conseguenze penali della produzione di atti o documenti non veritieri.”
Tale norma, tuttavia, pur contenuta in un Testo Unico in materia di Amministrazione, non può essere eseguita in contrasto con il principio avente medesimo valore di legge contenuto nell’articolo 2 T.U. Immigrazione (D.Lvo 286/98) “Allo straniero è riconosciuta parità di trattamento con il cittadino relativamente alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi, nei rapporti con la pubblica amministrazione e nell’accesso ai pubblici servizi, nei limiti e nei modi previsti dalla legge”.
Ma ciò che più conta, tale disposizione generale è stata superata da altra normazione successiva che dispone in modo particolare, anche qui dietro autorizzazione della legge, proprio con riferimento alle modalità di fruizione delle prestazioni sociali essenziali: il Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 159/2013, che regola proprio l’ISEE ed il suo utilizzo.
Chiarisce il parere dell’ASGI – nella citata nota 2 p. 2 – che “Il DPCM disciplina infatti i criteri di accesso alle prestazioni sociali agevolate prevedendo che le regole ivi stabilite costituiscono “livello essenziale delle prestazioni” ai sensi dell’art. 117 Cost. e dunque tutte le Amministrazioni, allorché erogano una prestazione sociale, sono tenute ad attenersi ai criteri ivi indicati. Ebbene la procedura ISEE è articolata in una DSU – Dichiarazione Sostitutiva Unica (di provenienza dell’interessato) redatta con modalità che non prevedono alcuna distinzione tra italiani e stranieri, tanto è vero che neppure i moduli allegati al DPCM prevedono una simile distinzione: lo straniero è infatti abilitato a inserire nella DSU la dichiarazione di “impossidenza” di beni all’estero. Alla DSU seguono (ai sensi dell’art. 2, comma 6 DPCM) le verifiche di INPS e Agenzia dell’Entrate e infine il rilascio dell’ISEE, che non costituisce quindi autocertificazione ma attestazione pubblica del livello di reddito ai fini appunto dell’accesso a prestazioni sociali agevolate.”
Dunque la procedura di richiedere documenti aggiuntivi per prestazioni per le quali è prevista la procedura ISEE potrebbe essere del tutto illegittima.
E le Amministrazioni dovrebbero saperlo bene, dal momento che contro di loro sono state già da tempo attivate azioni collettive per annullarne i regolamenti.
Ora, nel nostro codice penale, l’articolo 323 (abuso d’ufficio) punisce “Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da uno a quattro anni. La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità.
Abbiamo già sopra sostenuto che, secondo la nostra opinione, i regolamenti come quelli del Comune di Lodi sono atti illegittimi.
Nella configurazione dell’abuso d’ufficio (così come per altri reati contro la Pubblica Amministrazione) non è necessario che tale illegittimità sia certificata da una sentenza del Giudice Amministrativo come il TAR. Il magistrato della procura che indaga, oppure il giudice penale che decide, può dare una propria autonoma ed indipendente valutazione circa l’illegittimità dell’atto (cosiddetta valutazione incidentale).
L’esclusione dalle prestazioni sociali essenziali in base ad un regolamento che viola le leggi è sicuramente un danno ingiusto, così come lo è aver aggravato in modo ingente le spese burocratiche per la presentazione di documenti che la legge non ritiene necessari.
Va però aggiunto che il reato è punito, come si dice in linguaggio tecnico, a titolo di dolo: il Pubblico Ufficiale deve essere consapevole della illegittimità dell’azione e deve voler cagionare un ingiusto vantaggio od un danno parimenti ingiusto.
La Corte di Cassazione, (Cassazione Penale, Sez. III, 6 marzo 2014, ud. 17 gennaio 2014, n. 10810 Presidente Teresi, Relatore Di Nicola) ha osservato come, “nel reato di abuso d’ufficio, debba ritenersi configurato il dolo (intenzionale) qualora si accerti che il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio abbia agito con lo scopo immediato e finale di non perseguire, attraverso la condotta posta in essere, una finalità pubblica, il cui conseguimento deve essere escluso non soltanto nei casi nei quali essa manchi del tutto ma anche nei casi in cui rappresenti una mera occasione della condotta illecita, posta in essere invece al preciso scopo di realizzare, in via immediata ed attraverso la violazione di legge o di regolamento o l’omissione del dovere di astensione nei casi prescritti, un danno ingiusto ad altri o un vantaggio patrimoniale ingiusto per sé o per altri.”.
Ciò significa: se un pubblico ufficiale approvasse un regolamento illegittimo per escludere in modo ingiusto una data categoria di persone (gli stranieri) da un servizio che la legge assegna loro, commetterebbe un abuso, e lo commetterebbe intenzionalmente anche se lo facesse con la scusa di richiedere documentazione integrativa quando la legge non lo richiede.
Se poi, in ipotesi, questo tipo di azione fosse oltretutto affiancata da una martellante propaganda sul tenere fuori gli stranieri dalle prestazioni sociali, sarebbe possibile la commissione di un reato, o comunque varrebbe la pena di indagarci sopra.
Anche perché, a prescindere dalla gravità intrinseca di tale atto – escludere ingiustamente decine e decine di famiglie da prestazioni essenziali ai sensi dell’art. 117 Cost. – è interesse pubblico conoscere le motivazioni per le quali le nostre burocrazie di turno siano molto più abili a creare nuovi ostacoli di quanto siano capaci a risolvere problemi.
Curioso destino quello della città di Lodi. Il precedente sindaco, Uggetti, del Partito Democratico, venne arrestato nel maggio 2016 con l’accusa di aver turbato una gara per l’assegnazione di appalti delle Piscine. Gli occhi investigativi sull’Amministrazione lodigiana si sono già posati e hanno quindi l’allenamento necessario.
Ci sarà dunque un Procuratore della Repubblica che a Lodi indagherà su quanto succede per il bene di tutti, sindaco incluso? Oppure l’occhio della legge su tali temi è focalizzato solo sulle vicende calabresi?
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Note:
1) L’assegno per famiglie numerose ex art. 65 l. 448/98 è una forma di sostegno alle famiglie numerose a basso reddito prevista su tutto il territorio nazionale, da richiedere presso il comune di residenza. Ne hanno diritto cittadini appartenenti a un nucleo familiare con residenza nel territorio comunale, con tre o più figli minori e con ISEE del nucleo pari o inferiore a € 8.650,11, che siano cittadini italiano o comunitari, titolari di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo e loro familiari, rifugiati politici, apolidi, titolari della protezione d’asilo cosiddetta sussidiaria o titolari di permesso di soggiorno per lavoro o con autorizzazione al lavoro e suoi familiari. La legge nazionali non specifica altri requisiti. Simile la situazione avviene per l’assegno di maternità di base ex art. 74 D. Lgs. 151/01.
(*) Avvocato penalista, scrive per www.resistenze.org