Una vita vissuta per l’arte e nell’arte.
Così possiamo riassumere la vita del pittore spagnolo Pablo Picasso, scomparso 47 anni fa, vincitore del Premio Stalin per la Pace nel 1950 e del Premio Lenin per la Pace nel 1962.
Anima dotata di profonda sensibilità, si distinse principalmente dapprima con i dipinti del suo “periodo blu”, in seguito con le tele del “cubismo”, un’avanguardia artistica da egli fondata e che rappresenta una delle maggiori innovazioni novecentesche della pittura.
Un’arte, la sua, attenta alla descrizione del sociale. Un fattore importante nella sua formazione artistica ma anche umana, tanto che ne determinerà il suo impegno politico.
Allo scoppio della guerra civile spagnola pubblicherà un pamphlet con vignette di denuncia verso Franco. Dopo i bombardamenti nazifascisti della città di Guernica, avvenuti in appoggio alle truppe franchiste, realizzerà un dipinto, che diverrà famosissimo, a cui darà il nome della città bombardata dove ci fa toccare con mano l’orrore per il massacro realizzato dagli aggressori.
In Francia, all’arrivo delle truppe tedesche, gli verrà imposto il divieto di esporre. Contemporaneamente inizia a collaborare con la resistenza locale e si iscriverà al Partito Comunista Francese, dal quale si staccherà nel dopoguerra dopo aver omaggiato, con il dipinto “Alla salute di Stalin!”, il padre dell’Unione Sovietica e dell’Internazionale Comunista, negli imminenti giorni seguiti alla sua dipartita.
La morte di Picasso, avvenuta l’8 aprile del 1973, segna per l’umanità la perdita di un grande artista e di un grande uomo che ha vissuto, oltre che per l’arte, per la giustizia sociale.
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