di Silvana Felice
A settant’anni dalla strage di Portella della Ginestra, vogliamo ricordare i fatti che successero quel 1° maggio e tutti i lati oscuri in cui è ancora avvolta.
1962: esce il film di Francesco Rosi (iscritto al PCI) “Salvatore Giuliano”. In una delle prime scene del Film, vediamo Giuliano sparare, senza alcun motivo, sulla folla inerme di Montelepre (suo paese). La figura che ne esce fuori è quella di uno spietato bandito, cinico e sanguinario. Il messaggio è però distorto, ossia quello di un Giuliano unico fautore dell’intera strage, quasi a voler fare intendere una passiva accettazione delle false conclusioni sulla strage di Portella, le stesse date dalle forze di Pubblica Sicurezza e dal Ministro dell’Interno Mario Scelba.
1950: a Castelvetrano viene ucciso Salvatore Giuliano – in concomitanza con l’apertura del processo di Viterbo sui fatti di Portella – in circostanze poco chiare, dal colonnello dei Carabinieri Antonio Perenze (secondo la ricostruzione ufficiale, successivamente smentita anche dallo stesso).
1° maggio 1947: Portella della Ginestra, contadini provenienti da numerosi paesi della provincia di Palermo, si erano riuniti per festeggiare la giornata dei lavoratori (tradizione che si ripeteva fin dai fasci siciliani; interrotta poi durante il ventennio fascista e ripresa dal 1° maggio del 1944, a liberazione, dell’isola, avvenuta) e la vittoria del Blocco del Popolo alle elezioni regionali del 20 aprile. Intere famiglie intente a festeggiare e ascoltare il comizio in una fase di grande avanzata della lotta del movimento contadino e di occupazione delle terre che metteva in discussione il dominio dei grandi proprietari terrieri. Intorno alle 10.00 sale sul palco il Segretario della Camera del Lavoro di Piane degli Albanesi, quando all’improvviso, dalle alture partono i primi colpi di mitra. Le raffiche durarono per 10 minuti. 11 morti, 37 feriti ufficiali (90 reali) di cui 3 morirono nei giorni a venire. La strage è ancora oggi avvolta nel mistero. Quello che sappiamo è che fu la Banda Giuliano a sparare e non fu la sola. Secondo alcune ricostruzioni, infatti, nelle alture circostanti la Piana c’erano altre squadre appostate e pronte a sparare: Giuliano e la sua banda posti sui “roccioni del Pelavet”, Ferreri e altri suoi uomini nelle postazioni basse – armati di mitra Beretta – e i mafiosi sul “cozzo Valanca”.
Sul posto furono ritrovati 800 bossoli, di cui solo 6 proiettili repertati (5 di calibro 9 e 1 di calibro 6,5). Ma la maggior parte dei feriti aveva lesioni alle parti basse, lesioni che non possono essere prodotte da dei mitra. È infatti constatato che la metà dei feriti è stata colpita da schegge di granata.
Le granate, durante il periodo bellico, erano in uso dalla X-Mas di Borghese. Sappiamo infatti che un nucleo della X-Mas sbarcò a Palermo, in gran segreto, qualche giorno prima e fece un sopralluogo con Giuliano sui luoghi della strage. Giuseppe Casarrubea (Presidente dell’ “Associazione vittime Portella della Ginestra”) ipotizzò che Giuliano compì quel “primo orrendo eccidio” e altri, perché aveva avuto il compito di colpire, insieme alla mafia, per conto di “precisi mandanti politici”. La banda Giuliano, secondo queste ricerche, eseguì l’eccidio insieme ad una pattuglia della X-Mas. Ad avvalorare, ulteriormente, la tesi di un possibile coinvolgimento della X-Mas nell’attentato, sono le parole di alcuni testimoni oculari (i 4 cacciatori che Giuliano aveva sequestrato prima della strage) i quali sentono il grido “hurrà”: particolare grido di vittoria in uso nella X-Mas.
A tre ore dalla strage di Portella della Ginestra, l’ispettore Messana, capo dell’Ispettorato di Polizia in Sicilia, – corpo creato nel ’45 per la repressione del banditismo in Sicilia, formato da uomini sia del corpo dei Carabinieri che della Polizia – dichiara che il responsabile della strage è Salvatore Giuliano.
Il giorno dopo, 2 maggio, alla Camera dei Deputati, il Ministro dell’Interno Mario Scelba, avvalora la tesi di Messana con una sua dichiarazione, depistando le indagini dalla matrice politica a quella del banditismo.
Chi sono i protagonisti di questa storia e come sono strettamente collegati tra loro:
Le sue imprese vengono subito notate da parte del nascente Movimento Indipendentista Siciliano, a cui aderisce, fino a diventare Colonnello dell’EVIS (Esercito Volontario Indipendentista Siciliano). Qui entra in contatto con esponenti della X-Mas, con Borghese e con Ferreri.
A Portella della Ginestra, il suo compito è quello di giustiziare il segretario regionale del PCI, Li Causi (il quale non arrivò mai a Portella e c’è chi sostiene che fu avvertito da Messana).
Durante il secondo conflitto mondiale operò lungo la linea Gustav – insieme a Giuliano e Pisciotta – per rifornire le truppe tedesche di viveri e altro.
Dopo essere stato condannato all’ergastolo per l’uccisione di un carabiniere e, dopo lo scioglimento dell’EVIS, fa perdere le sue tracce.
Qualche mese prima della strage di Portella viene rintracciato dal Capo Mafia di Alcamo – Vincenzo Rimi. Aldisio, Messana e il Padre di Ferreri si incontrano e concordano per la sua (di Ferreri) impunità per i reati pregressi. Rientra, così, nella Banda Giuliano, ma stavolta come informatore di Messana; riferendogli tutti i propositi della banda. I due si incontrano settimanalmente ad Alcamo, ma all’incontro del 30 aprile al posto di Messana si presenta Rimi, il quale ordina a Ferreri che a Portella dovrà sparare sulla folla.
Viene ucciso – immediatamente dopo la strage – insieme al padre, lo zio e altri due uomini, in circostanze poco chiare, dal maresciallo dei carabinieri Giallombardo.
Durante il processo di Viterbo accusa come mandanti della strage l’on. Cusumano Geloso, l’on. Alliata, l’on. Bernardo Mattarella e il Ministro dell’Interno Mario Scelba.
«Banditi, mafia, polizia: eravamo come la santissima trinità». (Pisciotta, processo di Viterbo).
Il suo nome compare in un elenco delle forze alleate, per aver commesso crimini di guerra. Nel ’45 fu chiamato a dirigere l’Ispettorato di Sicurezza in Sicilia – invece di essere arrestato per i suddetti crimini per cui era ricercato – per la repressione del banditismo.
Durante questo mandato la Banda Giuliano ha il suo massimo splendore (puro caso?).
Li Causi lo accusa di essere il vero capo del banditismo in Sicilia.
Nel ’70 tenta un colpo di Stato, senza successo (a cui partecipa il figlio di un noto mafioso siciliano).
«Quella donna era l’unica di cui Giuliano avesse veramente paura» (Frank Mannino, detto Ciccio Lampo; processo di Viterbo)
Gli altri personaggi:
Si trova sul luogo dell’attentato a Togliatti, ad opera di Pallante[1], proveniente dalle fila dell’indipendentismo siciliano.
Al processo di Viterbo viene accusato da Pisciotta di essere uno dei mandanti della strage.
Siciliano ed allievo di Sturzo. Fu il Ministro che represse nel sangue decine di manifestazioni di inermi operai comunisti e socialisti, negli anni ’50 e ’60.
Fu accusato da Pisciotta di essere tra i mandanti della strage di Portella.
Subito dopo la strage di portella e 2 giorni prima dell’uccisione di Ferreri, vengono assaltate diverse sedi Comuniste e Camere del Lavoro (9 morti e diversi feriti).
Dall’autunno del ’46 molti furono i sindacalisti, comunisti e “capi popolo” uccisi dal banditismo e dalla mafia senza che nessuno sia mai stato punito. Non fatti isolati o di delinquenza comune, ma una organizzata ondata di violenza assassina contro l’ascesa del movimento operaio-popolare e dei comunisti.
Tra questi ricordiamo:
L’obiettivo vero – dichiarato da Mike Stern[3] nei diversi documenti della CIA – di tutte le stragi e le uccisioni fu quello di creare una rivolta da parte del popolo, che sarebbe poi stata repressa nel sangue così da poter finalmente dichiarare il PCI fuorilegge. In questo Mike Stern era appoggiato da James Angleton il quale «non vuole disperdere il potenziale anticomunista dei sabotatori della RSI».
William Colby, (ex capo della Cia) nel 1981, dichiarò: «l’Italia è stato il più grande laboratorio di manipolazione clandestina. Molte operazioni organizzate dalla CIA si sono ispirate all’esperienza accumulata in questo paese, e sono state utilizzate anche per l’intervento in Cile».
Nel maggio del 1947, il PCI venne estromesso dal governo di “unità nazionale” dopo il viaggio di De Gasperi negli USA, lo stesso avvenne anche in Francia. La storia di Portella e tutte le altre ci insegnano come siano grandi i giochi di potere che ci circondano, e di come siano stati feroci le repressioni nei confronti di chi lottava per i propri diritti, per l’emancipazione della classe lavoratrice e dei contadini dall’oppressione capitalista e per la conquista della società socialista.
A settant’anni dalla strage e, nella giornata internazionale dei lavoratori, vogliamo ricordare tutte le vittime e dare giustizia a chi non ne ha avuta a partire dall’affermazione del carattere politico di questo massacro, primo di una lunga serie, con il quale la borghesia italiana ha imposto il suo dominio sulla classe lavoratrice.
«Vinto, chi ti vendicherà?
Tu, se ti hanno colpito, cammina con chi è ferito.
C’è in noi deboli, compagno, quel che ti vendicherà.
Nessuno o tutti – o tutto o niente.
Non si può salvarsi da se
O i fucili – o le catene.
Nessuno o tutti – o tutto o niente.»
(Bertolt Brecht)
[1] Pallante: per l’attentato a Togliatti fu condannato a soli sette anni di carcere, dei quali solo due effettivamente scontati. Una volta scarcerato, fu assunto alla Forestale: un impiego pubblico.
[2] Mattarella: già sottosegretario e Deputato Italiano, padre dell’attuale Presidente della Repubblica e di Piersanti, Presidente della Regione Siciliana, ucciso il 6 gennaio del 1980 sotto la propria abitazione. Le indagini si diressero subito nei confronti della mafia nonostante la moglie, testimone oculare dell’omicidio, avesse riconosciuto in Giusva Fioravanti – capo dell’eversione nera di quegli anni – N.A.R., l’assassino del marito.
[3] Stern: nel 2006 fu insignito della medaglia d’oro come “combattente della libertà” dall’allora presidente del consiglio Silvio Berlusconi in visita negli USA.
* La ricostruzione fatta in questo articolo si basa sui libri e sulle ricostruzioni fatte dal professor Giuseppe Casarrubea, dal film e dal libro del regista Paolo Benvenuti, dagli atti (desecrtati) del processo di Viterbo e dal procedimento penale per gli omicidi Mattarella – La Torre e altri.