Walter Ambrosecchio, è uno dei 1666 lavoratori romani che nel dicembre del 2016 furono licenziati da Almaviva, al termine di una lunga vertenza culminata nel rifiuto da parte dei sindacati di siglare un accordo capestro. Da quel giorno è stato tra gli animatori del comitato di lotta dei 1666 lavoratori di Almaviva, oggi è candidato nella lista del Partito Comunista a Roma (per la precisione nel collegio Lazio 1-01 che corrisponde ai municipi I, II, III, IV, V, VI e XV).
A dicembre del 2016 Almaviva licenziò 1666 lavoratori della sede di Roma, al termine di una vertenza tanto surreale quanto drammatica. Puoi ricordarci brevemente quei fatti?
Quel licenziamento parte da lontano, per la precisione dall’Accordo Sindacale di maggio 2016 con il quale si chiuse una prima procedura di licenziamento collettivo. Con quella firma, contro i pareri dei lavoratori, si attestò la separazione dei siti Almaviva di Roma Napoli e Palermo dalle altre sedi italiane di Almaviva C. Il licenziamento di dicembre è stato il compimento di quell’accordo, mentre c’erano lavoratori con il contratto di solidarietà contemporaneo Almaviva ricorreva a lavoro interinale e supplementare a Catania, Milano e Rende. Il tutto ha portato al licenziamento degli impiegati con più anzianità contrattuale dopo la riapertura a ottobre 2016 della procedura di licenziamento per Roma e Napoli. Un’infame e vergognosa pagina della storia del lavoro di questo Paese.
Oggi a poco più di un anno di distanza quale è la vostra situazione?
La maggior parte dei lavoratori hanno impugnato il licenziamento. Pochi giudici hanno avuto il coraggio di stabilire con una sentenza l’illegittimità del licenziamento, di definirlo come quello che è effettivamente stato: un atto ricattatorio e discriminatorio. I giudici del lavoro danno sempre meno ragione ai lavoratori, che spesso sono costretti a subire anche le condanne al pagamento delle spese legali. Il problema dell’oggettività del giudizio esiste e va risolto il prima possibile. La maggior parte dei lavoratori Almaviva ha aderito al progetto di ricollocazione della Regione Lazio, le cosiddette politiche attive decise con il Jobs Act. Sin qui si son rivelate un groviglio di inutili intoppi burocratici e fallimenti organizzativi tipicamente italiani.
La vicenda Almaviva è stata forse la più tragica per l’impatto occupazionale, ma purtroppo non si può dire si tratti di un caso isolato. E’ un intero settore esposto continuamente a crisi e ricatti. Quali sono per te le ragioni?
Negli anni i vari rinnovi del contratto collettivo nazionale han reso possibile l’utilizzo di contratti precari. Gli inutili interventi legislativi non hanno disciplinato il problema del dumping e della delocalizzazione. I padroni che hanno la possibilità di risparmiare sul costo del lavoro lo fanno, in questi anni gli sono stati fornite tutte le armi possibili e le utilizzano liberamente per fare i loro interessi, e per fare profitto. La soluzione è l’internalizzazione dei servizi e non certo la clausola sociale sbandierata come la soluzione di tutti i problemi. La stabilizzazione del lavoro può e deve condurre a garanzie minime di diritti e salari per tutti, sotto i quali sia impossibile scendere.
Come giudichi l’operato del governo, dei sindacati e delle istituzioni sia durante le trattative, sia dopo i licenziamenti?
La loro condotta è stata vergognosa. Hanno permesso tutto con un’opposizione di sola facciata. Hanno permesso a un’azienda di licenziare 1666 persone senza aver mai portato in visione un bilancio, hanno ascoltato inermi un infame piano industriale che prevedeva un taglio salariale a lavoratori part time a quattro ore. I segretari nazionali confederali che dopo essersi esposti nell’ultimo giorno della vertenza hanno permesso lo spacchettamento della vertenza, salvando la sola sede di Napoli. Questa “salvezza” ha portato alla firma di un accordo che prevede la non maturazione del tfr, l’azzeramento degli scatti di anzianità maturati, il controllo individuale del lavoratore e la flessibilità oraria. Il governo da parte sua ha assegnato a Almaviva altri appalti pubblici e ha sovvenzionato le attività estere di Almaviva per milioni di euro.
Il 4 marzo ci saranno le elezioni politiche, e tu sei candidato a Roma per il Partito Comunista. Quali sono le ragioni di questa scelta?
Sono comunista da sempre e lo sarò per tutta la vita. Per me è un dovere essere Comunista. Significa lottare contro lo sfruttamento, contro un sistema sbagliato, per una vera lotta di classe oggi più che mai necessaria.
Nel programma del Partito Comunista vedi elementi di soluzione rispetto alla condizione dei lavoratori dei call center, che come te subiscono ricatti e vedono ridursi costantemente i loro diritti?
Nel programma del Partito Comunista si parla di internalizzazione dei lavoratori in appalto, salario minimo intercategoriale, rottura con i diktat europei che hanno portato all’attacco dei diritti acquisiti dei lavoratori. Precarietà e lavoro sottopagato sono realtà da combattere per tutti lavoratori e non solo nel settore dei call center.
Se il 4 marzo diventassi deputato, quale sarebbe il tuo primo impegno?
Sarebbe un enorme privilegio rappresentare chi in questi anni ho avuto al mio fianco. Chi lotta ogni giorno per diritti fondamentali come il lavoro o il diritto alla casa. Il mio impegno sarebbe dare voce a quegli sguardi di rabbia pieni di dignità che mi porto dentro , urlare il fallimento del capitalismo , il “nostro” impegno non può essere che questo.