*di Gaetano Errigo
Un anno fa a Gioia Tauro 400 portuali venivano licenziati dall’azienda MCT, detentrice dell’appalto del porto per 50 anni, che giustifica quest’atto con il calo dei traffici commerciali. Questa giustificazione fece sorgere diversi dubbi già all’epoca, facendo pensare ad una pessima gestione dell’infrastruttura da parte dell’azienda ed evidenziando come si danneggiava uno dei più grandi porti d’Europa, tra l’altro situato in una posizione fortemente strategica. I lavoratori, con solidarietà di classe, proponevano di ridursi lo stipendio per evitare i licenziamenti, ma alla fine non riuscirono a vincere la vertenza, ottenendo però la creazione di un’agenzia del lavoro che assorbisse i licenziati per metterli a disposizione della MCT e dell’autorità portuale qualora ne avessero bisogno.
In questi mesi l’agenzia si è trasformata in un ufficio di collocamento e nessuno di questi lavoratori è stato chiamato per lavorare, mentre viene ricercata manodopera altrove. Era evidente fin dall’inizio che l’obiettivo delle istituzioni era quello di creare un ammortizzatore sociale e non lavoro, nonostante le promesse del Presidente della regione Calabria Mario Oliverio, che nel 2016 aveva illuso gli abitanti della Piana promettendo 800 posti di lavoro in più al porto.
Ci chiediamo se fosse stato difficile accorgersi, all’atto di istituzione di detta Agenzia, che la normativa avrebbe creato problemi in tal senso e se non sarebbe stato più funzionale dare l’opportunità al richiedente manodopera di stipulare contratti con l’Agenzia, anziché con i singoli lavoratori. Come mai nessuno ci ha pensato? Del resto l’Agenzia era nata per erogare manodopera, non per diventare un fantomatico ufficio di collocamento malfunzionante. Per questo oggi vengono usati lavoratori presi altrove e non dall’Agenzia, ma forse l’Autorità Portuale, in qualità di organo vigilante, saprebbe dare qualche spiegazione su come si è potuta essere superata l’Agenzia per l’assunzione di lavoratori. Inoltre ci si chiede anche quali altri risultati stanno producendo le diverse promesse e rassicurazioni elargite all’atto dei licenziamenti di queste centinaia di padri di famiglia.
Alla MCT è stata revocata anche la concessione di alcune aree del porto, ma più che una punizione da parte della Regione per i licenziamenti e i mancati investimenti sembra un favore, poiché non pagherà le tasse relative al possesso e nessun altro potrà investire in queste aree essendo composte da una banchina minuscola e quindi per nulla funzionali per un altro terminalista.
Dagli uffici della Regione arriva però la soluzione, la Zona economica speciale, che per il Governatore Oliverio sembra essere la panacea a tutti i mali della Calabria, tanto che sta provando ad estenderla a tutti i porti calabresi e all’aeroporto di Lamezia Terme (CZ), nuovo governo permettendo. Ma la Zes è davvero la soluzione? Certo che no, sarà l’ennesimo favore alla ’Ndrangheta e alle multinazionali, perché ridurrà la tassazione su quest’area e sulle attività che vi verranno create, non porterà altri posti di lavoro, ricchezza e sviluppo come vogliono farci credere, ma ancora più sfruttamento per i lavoratori. Non dimentichiamo nemmeno che un’opera del genere per poter funzionare appieno ha bisogno di una fitta e moderna rete di collegamento infrastrutturale, che la Calabria non possiede.
Quale può essere allora una reale soluzione al problema? Innanzitutto il ritiro della concessione alla MCT e l’affido della struttura ai lavoratori, la riassunzione dei 400 operai licenziati, la riduzione dell’orario di lavoro a 32 ore settimanali a parità di salario, in modo da aumentare i posti di lavoro mettendo freno alla disoccupazione e all’emigrazione nella nostra terra e investendo realmente nel potenziamento della rete di infrastrutture calabresi.
È arrivato il momento di fare chiarezza sulla vicenda e dare soluzioni che siano a vantaggio dei lavoratori e non dei padroni, perché finora l’unica cosa chiara è che circa 400 padri di famiglia sono stati licenziati e che il Porto di Gioia Tauro sembra seguire le sorti dettate da quella che sembra, da quanto traspare dalla cronaca degli ultimi mesi, una guerra tra le aziende che amministrano gli scali portuali del continente.